mercoledì 30 gennaio 2019

Pino Daniele e la memoria corta di Sanremo

di FRANCESCO TRONCARELLI



Pino Daniele non ha mai amato la luce abbagliante dei riflettori, neanche quando rivestiva i panni dell’idolo nazionalpopolare della nostra musica. E anche la sua morte avvenuta quattro anni fa, nella notte mentre era nella sua casa in Toscana, riflette quello che era una suo modo di vivere, appartato, semplice con gli affetti più cari, la famiglia innanzitutto cui era legatissimo, ma anche gli amici e i colleghi.

Era un artista a tempo pieno, fuori dal can can mediatico e dai giri che contano, un grandissimo artista. Amante della musica e delle sue radici napoletane che ostentava con garbo e intelligenza e che poco prima della sua scomaparsa stavo riproponendo con il tour di “Nero a metà”.

Sorridente, con quello sguardo da buono che ingentiliva un fisico importante, i capelli imbiancati e il pizzetto nero, l'indimenticato Pino ha avuto una carriera ricca di soddisfazioni e successi, meritatissimi. La sua è stata una lunga storia durata quarant’anni, in cui è stato sinonimo di Napoli in musica. Quella colta, sempre alla ricerca di un ponte tra la ricchezza sonora della città e il mondo di fuori, fino a pescare nel blues e nel jazz tinte e atmosfere determinanti per la sua produzione. Ma anche quella più decisamente popolare, con brani che hanno aggiunto colore e cuore alla sua terra.

Insieme a Troisi di cui era grande amico (aveva curato la colonna sonora dei suoi primi film: Ricomincio da tre, Le vie del Signore sono infinite, Pensavo che fosse amore…), aveva rappresentato negli anni Ottanta la rinascita artistica di una città spesso considerata solo centro del malaffare e che invece è sempre stata punto di riferimento di una cultura profonda e dai contenuti importanti.
Ecco perchè Pino Daniele era così amato, apprezzato, applaudito.

Ma in questo contesto di una carriera fatta di concerti, esibizioni e reunion con i suoi amici artisti James Senese, Tullio De Piscopo, Federico Zurzolo compagni di quella stagione felice e feconda rappresentata dal gruppo "Napoli Centrale", con Sanremo c'è stato sempre un rapporto difficile, fatto di indiferrenza da parte del festivale distanza da parte del cantautore.

Sì, al festival, quello che ora lo vuole premiare da morto dopo averlo snobbato da vivo, Daniele ha trovato praticamente sempre e solo porte chiuse. «Mi hanno eliminato - diceva con tono semiserio Pino in un’intervista a Maurizio Seymandi su Radio Italia del 1992 - Anche l’anno scorso e l’altro anno» proseguiva senza far trasparire alcuna delusione, che ovviamente c'era.

Nel 1991, infatti, si era presentato al Festival in veste di autore di Loredana Bertè. Per lei aveva scritto "In questa città", brano di una bellezza rara che racconta del ritorno alla musica della cantante dopo tre anni di silenzio e sofferenze causate dal matrimonio con Björn Borg. Nonostante il significato importante e la qualità superiore del barno, il pezzo fu eliminato quasi subito, concludendo il Festival al 18esimo posto.

«Per incoraggiarti l’anno prossimo, cosa ti posso dire?» chiese il giornalista al Nero a metà sempre nell’intervista a Radio Italia. Pino allora risponde: «Mi puoi dire: “Provaci ancora a Sanremo l’anno prossimo” Perché mi sono scoraggiato dopo tutti questi anni. Che poi io c’ho pure una simpatia per San Remo» conclude con la solita battuta pronta come era nel suo stile- È il protettore delle barche, e io sono un uomo di mare».


E non fu fortunato nemmeno in altre edizioni, i suoi brani furono cassati senza appello in fase di presentazione. Una breve storia triste insomma come si usa dire, senza soluzione di continuità fino alle due partecipazioni come pezzo da novanta da esibire al grande pubblico televisivo quando "la musica" era cambiata, leggi Pino Daniele era comunemente considerato un grande artista.

La prima volta a Sanremo così è stata nel 2001, invitato dalla allora padrona di casa Raffaella Carrà. Cantò “Napule è”, “Quando”, “Gente di frontiera” e “Tempo di cambiare” concentrando cioè in un mini recital il meglio della sua produzione che risultò molto gradita dai telespettatori. Otto anni più tardi venne invitato alla 59ª edizione del Festival da Paolo Bonolis, conduttore di quell’edizione che andò benissimo ottenendo numeri eccezionale in termini di ascolti.

In quell’occasione sul palco del Teatro Ariston Pino Daniele portò nuovamente la canzone “Napule è” e fu subito magia. Un'interpretazione intensa e suggestiva di questo famoso pezzo del suo repertorio ascoltata in religioso silenzio dal pubblico in sala, un'esibizione da brividi che andava dritta al cuore di chi era davanti al televisore, suggellata al termine da una standing ovation calorosa e spontanea.

Al contrario del Club Tenco, che lo ha ospitato più volte, l’ultima nel 2012 quando fu invitato a sorpresa da Enzo Avitabile nella serata di consegna delle Targhe Tenco e dove lui stesso vinse la Targa come migliore album nel 1995 (“Non calpestare i fiori nel deserto”), nel 1989 e 1993 per la canzone in dialetto (“Schizzechea” e “Sicily”), Sanremo non ha dunque mai dato spazio alle sue qualità di autore e interprete.


Pino Daniele a Sanremo 2009

Quella ribalta per spiccare il volo che è stata offerta a Vasco, Zucchero, Ramazzotti, Pausini e Mengoni, per citare alcuni dei nomi più quotati della nostra musica, non è stata mai concessa a Pino Daniele, che è dovuto diventare appunto Pino Daniele per esserci. Il riconoscimento alla carriera che tardivamente lo premia da morto, per di più da quattro anni, non è quindi un attestato alle sue indubbie qualità, ma una mera citazione di un grande che non c'è più e che non può far sentire la sua voce, ricevere un applauso, rispondere grazie.

Ed è soprattutto un premio alla carriera forzato perchè diventa alla memoria, una memoria corta peraltro perchè dimentica il fatto che il festival ha sempre ignorato questo artista. E' insomma meno, molto meno dell'"Ei fu" di Alessandro Manzoni in morte di Napoleone. Il 5 maggio infatti celebrava giustamente a caldo lo stupore del mondo intero per la scomparsa del grande corso, il premio alla carriera a chi da tempo non c'è più oltre ad arrivare a tempo scaduto serve a poco e niente, non certo al caro estinto. Per lui è sufficiente l'affetto del gente che si emoziona ancora per le sue canzoni. Quelle che lo hanno reso immortale. Quelle che Sanremo non ha mai voluto.

lunedì 28 gennaio 2019

Lazio, la grande illusione. Le Pagelliadi

di FRANCESCO TRONCARELLI

 
7+ a Correa l'anno 1900 - Una grande Lazio ha messo alle corde i campioni d'Italia dimostrandosi finalmente in palla e capace di imbastire decine e decine di azioni e di tenere il boccino per quasi tutta la partita. Doveva vincere, poteva vincere, ma la Juve che è sempre una (vecchia) signora squadra alla prima occasione ha ristabilito la parità, poi si è presa un rigore che a parti inverse te lo sognavi e l'illusione di una vittoria possibie è svanita. E' andata così purtroppo, ma il plauso va comunque ai nostri ragazzi a cominciare dall'argentino che ha dato ai compagni quel Tucu di classe che ci vuole per crescere. Bravo.

6 e mezzo a Lupo Alberto - Il Ciuffo biondo che fa impazzire il mondo ha fatto pure impazzire il Can de Trieste e compagnia bella. Lanci, dribbling, doppi passi, ha sfoderato tutto il repertorio. Però perchè Dino je passi er Crodino c'è bisogno che ogni tanto la butti dentro pure lui. Il gorilla è impaziente, pure i tifosi.

6 e mezzo Lucas 2.0 - E chi lo Leiva dal campo. Piazzato davanti la difesa ha dato la spinta al gruppo e pure il fritto. Un fritto speciale perchè l'olio che mettono certi compagni di merende non è proprio extra vergine, ma tant è basta che il sapore sia buono. E grazie a lui lo è.

6 + a dillo a Parolo tuo - Lo stacanovista non si è mai fermato, quando si è fermato un attimo per asciugarsi il sudore, zac, c'hanno pizzicato. La Luna consiglia, fatelo giocare in accappatoio.


6 e mezzo a Bastos e avanzos e Bravehart Wallace - Boldi e De Sica, Pablo e Pedro, Ficarra e Picone, Greggio e Iachetti, Franco e Ciccio, Ric e Gian. Dio li fa e poi li accoppia. Vedendoli insieme in molti hanno pensato a "Oggi le comiche" temendo cappellate a raffica e sfracelli vari, ma smentendo ogni pronostico i nostri eroi sono passati dall'avanspettacolo biancoceleste allo spettacolo con le feste per aver azzeccato tutti i momenti topici del match, annullando Ronaldo all'Acquedotto e i suoi camerieri. Certo qualche respinta alla viva il Parracco e qualche svirgolata ci sono state, ma nulla rispetto alla catastrofe temuta e annunciata. Bene, bravi, bis. Sperem, come avrebbe detto Nereo Rocco.

6+ a Innamoradu - Ineccepibile. Come Red Canziain a "Ora o mai più", ogni giudizio è una sentenza.

5 e mezzo al Sergente - Diciamolo, avrebbe potuto dare molto di più. Come Ornella Vanoni da Amadeus che si è addormentata in diretta nonostante il tiraggio del volto la facesse sembrare sveglia.

5 a Sylva Strakoshina - Dice vabè il rigore, ma il primo gol jel'ha messo su un piatto d'argento. Come quella volta che gli si sono presentati due finti letturisti dell'Acea e lui dalla guardiola li ha fatti passare consentendogli di svaligiare l'abitazione del primo piano. Aridatece er citofono.

5 a veni, vidi, Lulic al 71° - Vecchio scarpone quanto tempo è passato (Gino Latilla, Sanremo 1953).

5  al Ciro d'Italia - Ei fu siccome Immobile nel magnasse il gol del 2 a 0 come un Pannella qualsiasi alla fine di un maxi digiuno. Dal "Manuale della cucina" di Suor Germana: Per far crescere bene i vostri ragazzi, fateli mangiare aleno cinque volte al giorno. Saranno così forti e sani e pronti per la giornata. Amen.

Appunti di gioco
di Roberto Taglieri

Domenica, 27 gennaio 2019

La Juventus fa fuori la Lazio. All’Olimpico nel posticipo della 21 sima giornata i biancazzurri, che avevano dominato per 75 minuti passando anche in vantaggio, vengono raggiunti dalla rete di Cancelo e superati nel finale grazie ad un rigore trasformato da Ronaldo per l’1-2 finale. Dopo la sconfitta di Napoli per la squadra biancoceleste è il momento di affrontare l’altra grande del Campionato, ma stasera Simone Inzaghi deve reinventare la difesa. Senza Acerbi squalificato, Marusic che sconta ancora una giornata e Luis Felipe infortunato è il turno di Bastos e Radu centrali; sulla fascia destra la novità è Parolo, infine ci sono sia Luis Alberto che Correa. Anche Allegri deve fare i conti con molte defezioni: senza Mandzukic, Cuadrado, Barzagli, con Pjanic, Khedira e Cancelo mezzi acciaccati il tecnico toscano manda in gioco un 433. Ci sono Bonucci e Rugani dietro, a centrocampo c’è Betancur ed in avanti Dybala è con Ronaldo e Douglas Costa. La pioggia ed almeno 50.000 spettatori fanno da cornice all’inizio della gara, con la Lazio che senza alcun timore prova a fare la sua partita. Wallace ha sulla testa un pallone d’oro al 12’ ma spreca sparando alle stelle. Al 19’ dalla distanza Correa fa fare un tuffo a Szczesny, che alla mezz’ora si ripete sul tiro di Luis Alberto. Gioca solo la Lazio, i bianconeri si mantengono rintanati, in attesa di ripartire in contropiede. Al 38’ la migliore opportunità ce l’ha Parolo sul sinistro in area: ancora una volta il portiere ci mette un guanto e salva la sua porta. Da segnalare che Bonucci, infortunato alla caviglia, è costretto ad abbandonare per Chiellini e poco prima della fine del tempo Rugani salva a porta vuota sul pallonetto di Immobile che aveva scavalcato anche Szczesny. Nella ripresa subito Ronaldo si butta sul traversone di Douglas Costa ma non riesce ad intercettare, poi Luis Alberto sfiora il palo di sinistro su assist di Milinkovic. Bastos di testa su angolo sfiora la traversa, ma sull’altro corner arriva il gol, anzi l’autorete di Emre Can, che spinge di testa nella sua rete il calcio d’angolo di Luis Alberto. Immobile poco dopo si divora il raddoppio sparando alto da posizione defilata, poi fanno altrettanto prima Luis Alberto e poco dopo Milinkovic, legittimando così il vantaggio laziale. Esce Douglas costa per Cancelo al 69’, che però appena in campo pareggia, raccogliendo una respinta di Strakosha, dopo che Dybala aveva calciato forte in porta. Al 77’ il tiro di Correa finisce tra le braccia del portiere, poi escono uno stanchissimo Luis Alberto per Berisha ed Immobile per Caicedo. La Juve spinge ma la partita era ben controllata dai biancocelesti, che all’86’ commettono una grave ingenuità e sono puniti. Lulic strattona Cancelo in area e Guida decreta il rigore: va alla battuta Cristiano Ronaldo che ribalta il risultato siglando con un forte tiro il vantaggio bianconero e anche il gol vittoria. Quella che oggi doveva essere una resa incondizionata è invece diventata una partita che se fosse terminata con la Lazio vittoriosa non avrebbe scandalizzato nessuno. I biancazzurri hanno fornito un’ottima performance, purtroppo la Juve è squadra che offre prestazioni in sordina e poi fa della classe e del divario tecnico l’arma in più. Peccato, perché i tifosi laziali ci avevano creduto ed invece devono fare i conti con una classifica difficile. I biancazzurri con 11 punti in 10 partite passano in sole due settimane dal quarto all’ottavo posto a quota 32 a pari merito con l’Atalanta. Ed ora, Coppa Italia a parte, ci saranno Frosinone, Empoli e Genoa: se la Lazio giocherà come stasera però saprà tornare in alto.

 LAZIO   JUVENTUS   1–2      59’ Emre Can (aut)  74’ Cancelo  88’ Ronaldo (rig.)
LAZIO: Strakosha, Bastos (89’ Neto), Wallace, Radu, Parolo, Milinkovic, Leiva, Luis Alberto (80’ Berisha), Lulic, Correa, Immobile (82’ Caicedo).  All: Inzaghi
JUVENTUS:  Szczesny, De Sciglio, Bonucci (40’ Chiellini), Chiellini, Alex Sandro, Emre Can, Betancourt, Matuidi (60’ Bernardeschi), Douglas Costa (69’ Cancelo), Ronaldo, Dybala.  All: Allegri
Arbitro Guida

domenica 27 gennaio 2019

Luigi Tenco, l'ultima notte

di FRANCESCO TRONCARELLI




Il 27 gennaio del 1967, la parabola umana e artistica di Luigi Tenco si chiudeva tragicamente nella stanza 219 dell’hotel Savoy di Sanremo, dopo aver cantato per l’ultima volta la canzone su cui aveva puntato tutto per ottenere un’affermazione presso il grande pubblico. Una vicenda che ancora oggi nonostante il tempo trascorso, suscita interesse, dubbi e molte domande destinate a restare senza risposta, oltre al naturale dispiacere per la fine così drammatica di questo grande cantautore. Sono in molti a domandarsi "perchè", sono in tanti a restare ancora adesso smarriti per quella fine così tragica.

Il Festival rappresentava l’antitesi assoluta dei suoi principi, tesi piuttosto ad una ricerca artistica orientata verso la mediazione di ideali, sentimenti, aspirazioni e grandi speranze. Ma il passaggio sul palco del Casinò era diventato quasi obbligato per la sua carriera, non solo per le pressioni dei discografici che volevano farlo diventare un personaggio popolare e quindi vendibile sul mercato (vedi la scelta della affermata e internazionale Dalida come partner nella esecuzione e relativo paparazzato flirt), ma anche per una sua scelta maturata seppur tra mille dubbi e perplessità, che intravedeva in quella partecipazione un riconoscimento definitivo delle sue qualità.

Anticonformista e anticonvenzionale, con una personalità fragile ed inquieta, dotato di una voce aspra e profonda venata da quella malinconia che contraddistingueva il suo modo di essere artista, il mancato ingegnere Luigi Tenco avviato alla musica dalla passione per il pianoforte e il sassofono, era un personaggio in anticipo sui tempi, tra i primi a dissacrare la rima cuore-amore (“Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare” 1962), che cantava in modo struggente i sentimenti (“Angela”, “Lontano lontano”) e la disperazione esistenziale (“Vedrai vedrai”, “Un giorno dopo l’altro”).

A ventinove anni, con alle spalle una delle più importanti etichette italiane, la RCA, andava a Sanremo dunque per la sua consacrazione. Non a caso alla vigilia del festival, il suo ottimismo era palpabile, come si avverte da una delle ultime interviste rilasciata al settimanale “Sorrisi e Canzoni”: “Il pubblico mostra un interesse nuovo per quella linea melodica che si allaccia al folklore. Il problema è quindi quello di inserire, nel mondo sonoro di oggi, canzoni che si ispirano ad antiche melodie. Il campo è così vasto che ogni cantante può attingervi secondo la propria vena, mantenendo intatta la propria personalità”.


U entusiasmo da idealista e appassionato della sua musica, tipico di chi come lui nonostante una naturale predisposizione a situazioni crepuscolari era convinto che un giorno “il mondo cambierà”, e che ben presto però si sarebbe scontrato con la mercificazione dell’arte così come la intendeva lui e ovviamente con le esigenze commerciali dell’industria discografica elevate alla massima potenza nella kermesse festivaliera.

E “Ciao amore, ciao”, ultimo brano della sua produzione, è proprio la rappresentazione di questo travaglio artistico che Tenco aveva avuto negli ultimi tempi della sua vita prima di quella drammatica notte del 26 gennaio del 67, un cambiamento da autore sensibile e al tempo stesso insoddisfatto, alla ricerca della canzone che doveva aprire una nuova strada nella musica leggera italiana. Una canzone popolare nel vero senso del termine e non solo di protesta.

La sua attenzione e creatività era infatti indirizzata non più e non solo su componimenti dedicati all'amore, ma sui problemi sociali e politici di una Italia che sembrava aver ottenuto la sua stabilità e il suo benessere economico tendendo però a rimuovere ingiustizie palesi e difficoltà nel quotidiano tramite la spensieratezza delle canzonette dei juke box.

In questo contesto “Ciao amore, ciao” è la canzone più sofferta di Tenco. E non tanto perché ha accompagnato il suo tragico epilogo ma per come è arrivata al festival, cioè alla versione definitiva che tutti conoscono, attraverso alcuni stati evolutivi del testo.

Il titolo originale infatti era “Li vidi tornare”, e si riferiva ad un brano dai sapori antimilitaristi come si sarebbe detto all’epoca, che raccontava il sogno di un bambino che immagina di vedere tornare a casa i soldati morti in guerra. Parole semplici ma profonde e che fanno riflettere, fra le quali c’era una citazione da “La spigolatrice di Sapri” del poeta Luigi Mercatini :


Li vidi passare
vicino al mio campo
ero un ragazzino
stavo lì a giocare
Erano trecento
erano giovani e forti
andavano al fronte


col sole negli occhi
E cantavano cantavano
tutti in coro
ciao amore ciao amore
ciao amore ciao… 



Il tema della guerra poi venne abbandonato a favore di un riferimento più attuale e diretto per il nostro paese quale poteva essere quello delle migrazioni interne e i relativi cambiamenti che si determinavano nella vita di chi lasciava la sua terra per tentare una nuova vita nella città e soprattutto nella modernità.

Il testo definitivo che venne composto dopo una cena al ristorante Antico Falcone di Roma sul retro di un menù e vari tovaglioli, parla infatti di un contadino che, stanco della vita di campagna e del lavoro nei campi soggetto alla variabilità delle condizioni atmosferiche (“guardare ogni giorno, se piove o c’è il sole”), si decide a partire per la città (“andare via lontano a cercare un altro mondo”), alla ricerca di nuove esperienze e opportunità (“dire addio al cortile, andandosene sognando”).

Quel cambiamento tanto agognato, genera però addii alle persone amate e un profondo smarrimento davanti alla realtà metropolitana che disconosce valori e tradizioni consolidate (“in un mondo di luci, sentirsi nessuno” ed ancora “saltare cent’anni in un giorno solo, dai carri dei campi, agli aerei nel cielo”).

Tanto che si arriva a pentirsi della decisione presa (“e non capirci niente e aver voglia di tornare da te”),  perché sopraffatti dallo spaesamento che si prova in un ambiente che non ti appartiene e che tutto sommato ti emargina. Un disagio quasi premonitore di quello che Tenco proverà sul palcoscenico al momento della sua sofferta interpretazione, davanti al pubblico presente nel salone delle feste del Casinò e quello del piccolo schermo.


Il brano fu infatti eseguito da Tenco e da Dalida in occasione della prima serata del 17° Festival di Sanremo, che si svolse il 26 gennaio 1967. Poco prima di salire sul palco, Tenco disse al conduttore della manifestazione Mike Bongiorno “Questa è l’ultima volta”, “che canti un brano folk” rispose il presentatore, “no con tutto” la precisazione del cantante che riconsiderata a posteriori rivela un disagio forte e inquietante dell’artista per la situazione che stava vivendo.

L'esibizione eccessivamente sotto tono di “Ciao amore, ciao” da parte del cantautore, fu condizionata, si disse, dall'assunzione di barbiturici ed alcol, tanto che lo stesso maestro Giampiero Reverberi fece fatica a seguirlo. Altri sostennero invece che l’esecuzione fu volutamente lenta in polemica con la versione della cantante francese che ne aveva fatto a giudizio di Tenco una "marcetta". Al termine di tutte le esibizioni di quella serata, “Ciao amore, ciao” aveva ottenuto solamente 38 preferenze su 900, risultando dodicesima su sedici brani in gara e fu quindi, per il momento, eliminata.

 L'ultima speranza era affidata alla commissione di ripescaggio, composta dall’organizzatore Gianni Ravera, dai giornalisti Rai Ugo Zatterin e Lello Bersani e dal regista televisivo Lino Procacci ched preferì recuperare, nonostante l’opposizione del giornalista Lello Bersani che poi si dimise, “La rivoluzione” interpretata da Gianni Pettenati e Gene Pitney.

L'eliminazione di “Ciao, amore ciao” fu comunicata al cantautore mentre stava dormendo su un tavolo da biliardo. Alla notizia Tenco ebbe uno scatto d’ira e se la prese con Marcello Minerbi del gruppo Los Marcellos Ferial, imputandogli di essere stato colui che l'aveva introdotto nel mondo della musica. Poi calmatosi grazie alle parole di Dalida, bevve qualcosa con lei, il suo ex marito e produttore Lucien Morisse e il reporter Renato Casari che gli scattò alcune foto e si ritirò nella sua
stanza per sempre.

.


Quello che sia successo prima del ritrovamento del suo cadavere alle 2 e 10 del 27 gennaio da parte di Dalida e Lucio Dalla (lei in lacrime e con le mani sporche di sangue per aver abbracciato il suo corpo esanime sul pavimento, lui sconvolto con indosso un pellicciotto perché svegliato dal trambusto e senza pigiama), da una certezza assoluta, è diventato nel tempo uno dei misteri d’Italia, al di là delle indagini, anche recenti, della magistratura che hanno confermato il suicidio dell’artista.

Resta sicuramente il dolore e lo stupore per la sua morte che comunque non fermò il festival e che venne archiviata in fretta dagli inquirenti mentre il circo di Sanremo andava avanti col matrimonio di Pitney, i flash impazziti e la passerella dei divi della canzone. Per cercare di capire quella tragedia ci viene incontro quello che scrisse il premio Nobel Salvatore Quasimodo qualche giorno dopo in un puntuale e illuminante articolo pubblicato su il settimanale “Tempo” la cui attualità per certi meccanismi tuttora in vigore, è peraltro impressionante:

“I cantanti, i divi, sono esseri viventi e non prodotti da lanciare sul mercato e da gettare via quando i gusti dei consumatori reclamano una nuova etichetta. Così avviene nel mondo dello spettacolo e soprattutto oggi in quello dell’industria discografica che va forte, a giri di miliardi. Chi è furbo capisce che le qualità sono difetti agli occhi del pubblico e che solo ciò che è generico e non agita le opinioni dei benpensanti va bene, è lecito.

“I capelloni, i beat, i folk e i canti di protesta sono accolti purché non superino l’avanguardia rivoluzionaria della Vispa Teresa. Luigi Tenco ha voluto colpire a sangue il sonno mentale dell’italiano medio. La sua ribellione che coincideva con una situazione personale di uomo arrivato alla resa dei conti con la carriera, ha però ancora una volta urtato contro il muro dell’ottusità. Chi non è in grado di domandare un minimo di intelligenza a una canzone non può certo capire una morte”.




mercoledì 23 gennaio 2019

Oscar, ecco le nomination

di FRANCESCO TRONCARELLI



Oscar 2019: ecco i titoli, gli attori, i registi e gli altri lavoratori del cinema che potranno ambire alla prestigiosa statuetta il prossimo 24 febbraio e i titoli più gettonati sono quelli che godono i favori della critica e che già hanno vinto molto. 

Otto titoli per il miglior film alla prossima edizione degli Oscar sono l'exploit Marvel "Black Panther" (primo film dei supereroi candidato alla mitica Statuetta senza volto), "BlacKkKlansman" di Spike Lee, il biopic su Freddie Mercury "Bohemian Rhapsody", "La favorita" di Yorgos Lanthimos, "Green Book" con Viggo Mortensen e Mahershala Ali, "Roma" di Alfonso Cuarón l'outsider targato Netflix, "A star is born" e "Vice" su Dick Cheney. 

Un'annata che candida l'altra America, quella dei supereroi neri, delle tate messicane, dei film che denunciano il razzismo in America sotto varie forme, che siano il sopruso contro una giovane coppia di Harlem, i pregiudizi nei confronti di un virtuoso del piano di origini giamaicane o la violenza del Ku Klux Klan.

LE NOMINATION

Miglior colonna sonora
In gara per la Miglior colonna sonora quelle di: «Black Panther»; «BlacKkKlansman»; «Se la strada potesse parlare»; «Il ritorno di Mary Poppins»;
Miglior montaggio
«BlacKkKlansman», «Bohemian Rhapsody», «Vice», «Green Book»,
Miglior attore non protagonista
Mahershala Ali «Green Book», Adam Driver «BlacKkKlansman», Sam Elliott «A Star is Born», Richard E. Grant, «Can You Ever Forgive Me?» e Sam Rockwell per «Vice»

 Miglior attrice non protagonista
La cinquina in gara: Amy Adams per «Vice»; Maria de Tavira per «Roma»; Regina King «Se la strada potesse parlare»; Emma Stone per «La favorita» e Rachel Weisz per lo stesso film
Miglior film straniero
Il tedesco «Never Look Away»; il giapponese «Shoplifters»; «Capernaum» del Libano; «Roma» (Messico) e il polacco «Cold War»
Miglior Attore
Christian Bale («Vice»), Bradley Cooper («A star is born»), Willem Dafoe («Van Gogh - Sulla soglia dell’Eternità»), Rami Malek («Bohemian Rhapsody»), Viggo Mortensen («Green Book»)
Miglior Attrice
 
Lady Gaga
Yalitza Aparicio per «Roma», Lady Gaga per «A star is born», Glenn Close per «The wife», Olivia Colman per «La Favorita» e Melissa McCarthy per «Can you ever forgive me» («Copia originale»)
Miglior regia
Le nomination per il premio alla Miglior regia sono: «BlacKkKlansman» di Spike Lee, «Roma» di Alfonso Cuaron, «Cold war» di Pawel Pawlikowski, «Vice» di Adam McKay e «La favorita» di Yorgos Lanthimos
Miglior Canzone
«When A Cowboy Trades His Spurs For Wings» da «The Ballad of Buster Scruggs»; «All The Stars» da «Black Panther»; «I’ll Fight» da «RBG»; «The Place Where Lost Things Go» dal «Ritorno di Mary Poppins»; «Shallow» da «A Star Is Born»

 Miglior film
Gli otto film che si contenderanno l’Oscar sono: «Bohemian Rhapsody»; «Black Panther», «BlacKkKlansman», «La favorita»; Green Book»; «Roma»; «A Star Is Born» e «Vice»

Miglior film d’animazione
«Gli Incredibili 2», «Isle of Dogs», «Mirai», «Ralph Spacca Internet», «Spider-Man: Into the Spider-Verse»
Miglior cortometraggio documentario
«Black sheep», «End game», «Lifeboat», «A night at the garden», «Period»
Miglior scenografia
«Balck Panther», «La favorita», «First Man», «Il ritorno di Mary Poppins»
Miglior fotografia
«Cold war», «La favorita», «Never Look Away», «Roma» e «A star is born»
Miglior effetti speciali
«Avangers Infinity War», «Christopher Robin», «First Man», «Ready Player One», «Solo: A star»
Miglior Trucco
«Border», «Mary regina di Scozia» e «Vice»

Miglior Sceneggiatura non originale
Joel e Ethan Cohen per «The Ballad of Buster Scruggs», Nicole Holofcener e Jeff Whitty per «Can you ever forgive me» («Copia originale»), Barry Jenkins per «If Beale street could talk» («Se la strada potesse parlare»), Eric Roth, Bradley Cooper e Will Fetters per «A star is born», Charlie Wachtel, David Rabinowitz, Kevin Willmott e Spike Lee per «BlackKklansman»
Miglior Sceneggiatura originale
Deborah Davis e Tony McNamara per «La Favorita», Alfonso Cuaron per «Roma», Paul Schrader per «First Reformed», Adam McKay per «Vice» e Nick Vallelonga, Brian Currie e Peter Farrelly per «Green Book»



lunedì 21 gennaio 2019

Lazio, vedi Napoli e poi...Le Pagelliadi

 di FRANCESCO TRONCARELLI 




6 e mezzo a Correa l'anno - Allora diciamolo subito: Rocchi ci ha messo pesantemente del suo, regalando una punizione inesistente (e primo giallo di Acerbi) che ha determinato il secondo gol del Napoli e l'andamento della gara. Poi però c'è da dire che Lazio, tranne che agli inizi della ripresa quando è ripartita con l'innesto del Tucu, è apparsa evanescente, irritante, assente. I tre pali loro vogliono dire qualcosa. Insomma ancora una volta è sembrata una 500 mascherata da Ferrari. Troppa differenza di valori in campo, o meglio la nostra qualità non si è vista, quei pochi che ce l'hanno erano ancora alle lenticchie e lo spumante di Capodanno. Il probema è che co' sta sconfitta sembra già di essere in Quaresima..

6+ al Ciro d'Italia - La partita del bomber de noantri è la fotografia della Lazio vista contro i napoletani. Dalle stalle alle stelle e ritorno. Il gran gol che ha segnato ha illuso un po' tutti nella (im)possibe rimonta. Poi è entrato ancora una volta in campo l'arbitro e amen. 


6 a Sylva Strakoshina - Anche a sto giro gliene hanno dette di tutti i colori. Na sega? Po' esse, fatto è che senza le sue parate, e relativo lato B (leggi i legni presi), il passivo sarebbe stato ancora più pesante. E namo su.

6- a veni, vidi, Lulic al 71° - Tanto fumo e un po' d'arrosto. Avete presente Nino Frassica?

6- ad Antonio Elia Acerbis - Quattro anni di seguito a giocare senza soluzione di continuità. Poi arriva un ... e il record finisce. Come cantava Albertone? te c'hanno mai mandato a quel paese...


5 e mezzo al Sergente - E' partito in quarta è finito in folle. Nè più nè meno di Toto Cutugno a "Ora o mai più".

5 + a Innamoradu - Della serie vorrei ma non posso. Un po' perchè questi so avvelenati un altro po' perchè non ce stanno a capì niente nè lui nè i compagni de merende.

5 a Lucas 2 (quello che ride) - All'inizio s'è involato, alla fine s'è involtino.

5 a dillo a Parolo tuo - Un altro. Come Vincenzo Mollica senza occhiali che sembra la sora Lella.


5- a Lupo Alberto - Ha fatto la fine di Teo Teocoli: è sparito.

5- a Patric del Grande Fratello - Si è presentato con la calzamaglia come Dorellik. E anche lui ha fatto ride come quell'indimenticabile personaggio.

5- - a basta Bastos - Appunto, basta.

4 a Lukakau Meravigliao - Come Ornella Vanoni. Inguardabile.


Appunti di gioco
di Roberto Taglieri

Domenica, 20 gennaio 2019
Il Napoli esce vincitore contro la Lazio. Al S. Paolo nel posticipo della ventesima giornata sono Callejon e Milik nel primo tempo a siglare le reti del doppio vantaggio partenopeo, nella ripresa Immobile riesce solo ad accorciare: 2-1 il risultato finale che condanna i biancazzurri. Prima di ritorno al “S. Paolo” con gli azzurri di Ancelotti che non possono schierare Allan, Koulibaly, Hamsik ed Insigne. In difesa Albiol è mezzo acciaccato ma è ugualmente della gara; ci saranno Callejon, Diawara, Ruiz e Zielinski a centrocampo mentre in avanti Milik fa compagnia a Mertens. Inzaghi dal suo canto oltre a Wallace, infortunato perde anche Marusic, squalificato; nell’occasione Lulic si sposta a destra e Lukaku va dall’altro lato; per il resto la formazione è la solita, con il consueto 352 che prevede in attacco Luis Alberto ed Immobile. Uno stadio mezzo vuoto fa da cornice al fischio iniziale di Rocchi; al 5’ il cross di Leiva trova la testa di Milinkovic; è sua la prima palla gol della gara con Meret che salva d’istinto in corner. Risponde il Napoli con Milik, mal controllato da Radu, che in area colpisce di prima intenzione e prende un palo al 12’. Il tiro a giro di Milinkovic è parato al 18’, poi sotto la pioggia escono i padroni di casa: Milik nell’area piccola prende un altro palo in torsione e dopo qualche minuto tira da fuori ma sbaglia mira per pochissimo. Al 24’ Milinkovic impegna ancora Meret, ma intanto si fa male Luis Felipe ed Inzaghi manda dentro Bastos. Alla mezz’ora da un giro palla veloce Mertens serve Callejon che alla prima occasione la mette dentro con un tiro a fil di palo su cui Strakosha non può nulla, ma intanto dormono Radu e Lukaku. Poco dopo arriva pure il raddoppio, con la punizione perfetta di Milik, che dai 20 metri col sinistro la mette sul primo palo per il 2-0 napoletano. La Lazio prende due schiaffi terribili, prova ugualmente a rimettersi in carreggiata cercando di pressare gli avversari, ma non ottiene alcunché. Nella ripresa Inzaghi passa alla difesa a 4, facendo entrare Correa che alla prima azione calcia sul portiere e poi al 51’ tira di testa ma spedisce sul fondo. In ripartenza al 56’ ancora Milik colpisce un altro palo e sul prosieguo dell’azione impegna di nuovo Strakosha, che  mette in angolo. Al 58’ Immobile al volo colpisce benissimo ma trova Meret e stavolta i biancocelesti sono sfortunati; invece al 65’ Correa serve Immobile tutto spostato a sinistra, che colpisce perfettamente a girare e accorcia le distanze. Luis Alberto impegna Meret in corner, poi ci prova Correa, ma al 70’ per la Lazio si fa ancora più dura. Acerbi per doppia ammonizione viene espulso e lascia i suoi in 10: esce Milinkovic per Patric ed anche il Napoli sostituisce Diawara con Verd. Ora la Lazio fa fatica a tenere gli avversari, i biancazzurri cercano di tenere il campo e fanno il possibile per arrivare dalle parti di Meret, ma verso la fine Strakosha salva sul nuovo entrato Ounas e questa è l’ultima grande opportunità della gara, che termina 2-1 dopo 4’ di recupero con i biancazzurri in avanti. La Lazio come già successo a Napoli parte bene ma poi naufraga contro i partenopei, che oggi hanno dimostrato superiorità nonostante le numerose defezioni. I biancazzurri perdono il quarto posto e rischiano pure di essere risucchiati nelle retrovie: domenica prossima con una difesa da inventare all’Olimpico c’è la Juve. Ora saranno prevedibili anche le critiche, dopo la storia della squadra difficilmente migliorabile o quella della Ferrari: con la disponibilità economica dei biancazzurri ci si aspetta qualcosa di più da una società che non può lasciare immutata la sua squadra in questo momento difficilissimo.

    
NAPOLI  LAZIO    2-1      33' Callejon  37’ Milik  65’ Immobile
NAPOLI: Meret, Malcuit, Albiol, Maximovic, Rui, Callejon (87’ Hysaj), Diawara (71’ Verdi), Ruiz, Zielinski, Mertens (81’ Ounas),Milik. All. Ancelotti
LAZIO: Strakosha, Luiz Felipe (26’ Bastos), Acerbi, Radu, Lulic, Leiva, Parolo, Milinkovic (71’ Patric), Lukaku (46’ Correa), Luis Alberto, Immobile. All Inzaghi  
Arbitro Rocchi

domenica 20 gennaio 2019

Indimenticabile Audrey

di GIOIA TRONCARELLI


"Ricorda, se mai avrai bisogno di una mano, la troverai alla fine di entrambe le tue braccia.  Scoprirai di averne due: una per aiutare te stessa, la seconda per aiutare gli altri” - Audrey Hepburn


Ventisei anni fa se ne andava Audrey Hepburn, uno dei personaggi più amati dello spettacolo, un’artista capace di coniugare lo charme di cui era dotata alle acclarate qualità di interprete raffinata e sensibile.

Occhi da cerbiatto e sorriso vispo, l’attrice inglese è sempre stata considerata un'icona di stile, complice sicuramente anche la sua celebre interpretazione in "Colazione da Tiffany" dove con il tubino nero e gli occhiali da sole faceva colazione davanti la vetrina della famosissima gioielleria americana con un cornetto e un cappuccino.

Il grande successo del film datato 1961, tratto dal romanzo breve di Truman Capote “Breakfast at Tiffany's", deve la sua fortuna oltre alla presenza di Audrey che porta sullo schermo il particolare  personaggio di Holly Golightly, anche alla sua performance canora sulle note di “Moon River”, brano principale della famosa colonna sonora scritta da Henry Mancini, uno dei più quotati compositori per il cinema.

Non a caso la canzone vinse l'Oscar per la Miglior Colonna sonora l’anno successivo, e in quella sede lo stesso autore affermò che ebbe l'ispirazione per la composizione del brano osservando l’attrice recitare  “con quella sua dote di malinconia e di sommessa tristezza”. Negli anni successivi molti artisti come Frank Sinatra, Mina, Luois Armstrong ed Elton John, hanno interpretato il brano, ma la sua a distanza di tempo, resta sempre la migliore: semplice, diretta e malinconica.

Nonostante i numerosi e grandi successi al cinema  (“Sabrina” con Humprey Bogart, “My first Lady” con Rex Harrson, “Vacanze Romane” con Gregory Peck, “Guerra e pace” Mel Ferrer, per citarne alcuni tra i più conosciuti) e molteplici premi e riconoscimenti ricevuti (fra i tanti un Oscar, tre Golden Globe e tre David di Donatello), l'attrice decise sul finire degli anni '80 di ritirarsi dal mondo dorato dello starsystem per dedicarsi alla famiglia e alle persone più bisognose. Una sorta di crisi di coscienza, o meglio di presa di coscienza, che rivelava le sue qualità umane al di là dello stereotipo della diva. Numerosi infatti sono stati i suoi viaggi nel mondo per portare un aiuto concreto a chi soffriva, riuscendo anche ad instaurare rapporti di amicizia con la gente del posto, grazie anche alla conoscenza di diverse lingue straniere che aveva appreso negli anni precedenti.

La Hepburn inoltre è stata ambasciatrice dell'Unicef, e per il suo impegno ha ricevuto la Medaglia presidenziale della libertà e successivamente il Premio Umanitario Jean Hersholt. Ad oggi i suoi progetti umanitari sono portati avanti dal figlio Luca Dotti, che qui Italia insieme all'Unicef ha creato il gruppo "Amici di Audrey" che porta avanti la sua missione: aiuti e sostegno in diversi paesi del terzo mondo.

Il suo impegno e la sua dedizione per gli ultimi vennero interrotti nel '92, durante uno dei suoi viaggi in Somalia, quando ricevette la brutta notizia di avere un male incurabile.
Se ne andava così tristemente il 20 gennaio del '93 a soli 63 anni, lasciando un grande vuoto in tutti quelli che l’avevano applaudita prima come attrice e dopo come donna impegnata nel sociale.

La dolce Audrey lasciava la vita terrena ma entrava nel mito e nell’immaginario collettivo come icona di stile, eleganza, delicatezza. La sua figura ancora oggi è una delle più pubblicate sui media ed utilizzata dalla moda. Ad accrescere questa popolarità incredibile ci sono le iniziative che di volta in  volta la riguardano; come il francobollo raffigurante il volto dell'attrice emesso dalle poste americane o la pubblicità cinese per una bevanda o le foto di scena tratte da “Vacanze romane”.

Senza contare poi la clamorosa asta da Christie’s a Londra, in cui è stata battuta per 467.200 sterline la copia del tubino nero disegnato e creato da Givency per "Colazione da Tiffany", (l'originale, invendibile, si trova a Madrid al Museo del costume).
Immancabile, ovviamente, la Stella con il suo nome nella Hollywood Walk of Fame, al 1652 di Vine Street. Una stella che continua a brillare.

giovedì 10 gennaio 2019

David Bowie, indimenticabile starman


 di FRANCESCO TRONCARELLI


La notizia arrivò all'improvviso rimbalzando immediatamente sui social e sconvolgendo tutti gli appassionati di rock, il dandy che cadde sulla terra era morto. Era da tempo malato di cancro. Si era spento in silenzio nella notte di tre anni fa. Le accorate parole del figlio Duncan Jones sul suo profilo Twitter, la conferma di uno smmarrimento totale non solo per i familiari ma per la sterminata massa di estimatori: «Mentre molti di noi condivideranno questa perdita, vi chiediamo di rispettare la privacy della famiglia in questo momento di dolore”.

Vera e propria leggenda del rock, David Bowie aveva compiuto 69 anni tre giorni prima, giorno in cui era uscito il suo ultimo lavoro, il 28esimo album della sua lunga carriera, "Blackstar", sette canzoni, tra cui il singolo omonimo, già pubblicato il 20 novembre precedente e sigla della serie TV "The Black Panthers", e il pezzo "Lazarus", lanciato da un video tra l'enigmatico e l'inquietante, che era il brano portante anche del musical scritto da Bowie in scena in quel periodo a New York.

Soprannominato il Duca bianco, Bowie è stato un vero e proprio personaggio della musica internazionale, un artista di razza che con la sua produzione sempre di altissima qualità, ha attraversato più di cinquant'anni di suono modificandosi sempre, capace di attingere per i suoi album da generi diversi, riuscendoli a contaminare sapientemente. E’ passato dal folk acustico all'elettronica, dal glam rock al soul e diventando un modello di riferimento per più di una generazione di artisti.

Camaleontico nel vero senso del termine, nel corso della sua carriera è stato capace insomma di reinventare il suo stile e la sua immagine creando alter ego come Ziggy Stardust, Halloween Jack, Nathan Adler e The Thin White Duke (il “Duca Bianco” appunto). Fisico androgino, atteggiamenti ispirati alla riservatezza e al mistero, comunicativo anche nel suo silenzio, istrionico, teatrale, star e divo irraggiungibile, un artista di una categoria superiore alla media in tutti i sensi. 

Registrato all’anagrafe di Londra come David Robert Jones è stato un cantautore, un polistrumentista, un attore, e un compositore. Come attore, dopo alcune piccole apparizioni, ha avuto un ottimo successo nel 1976 come protagonista del film di fantscienza "L'uomo che cadde sula terra" di Nicolas Rege. Tra le sue interpretazioni più note si ricordano Furyodi Nagisa Oshima del 1983, "Absolute Beginners" e "La del 1986, "BAsquit" di Julian Schnabel del 96 nel quale intrpretava il ruolo di Andy Warhol.

Era sposato con la top model somala Iman Mohamed Abdulmajid ed era padre di due figli, Duncan Zowie Haywood (nato nel 1971 dal precedente matrimonio con Mary Angela Barnett) e Alexandria Zahra (nata nel 2000).
Considerato una rock star internazionale per talento e successi conseguiti negli anni ed artista fra i più ricchi del mondo, era stato inserito al 23º posto nella lista dei 100 migliori cantanti secondo Rolling Stone, bibbia del settore. Tra i suoi brani divenuti delle hit planetarie “Life on Mars?, “Space Oddity, “Starman ed "Heroes".
Dopo gli esordi nel rhytm & blues con alcuni gruppi studenteschi Konrads, King Bees, Manish Boys,  aveva iniziato la carriera solista nel 1967 con il suo album di esordio che porta il suo nome a cui segue due anni dopo “Space Oddity”, un viaggio nel folk-rock psichedelico caratterizzato da ballade intimiste e che contiene la canzone che da il titolo all'album, liberamente ispirata al film di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello Spazio. Un album considerato unanimemente come un capolavoro e una pietra miliare del rock.

Una curiosità. Bowie è stato uno dei pochi artisti divenuti dei big planetari (Rolling Stones, Tom Jones) a incidere in italiano. Verso la fine del  1969. Col suo entourage decise di tentare l'ingresso nel mercato italiano dei 45 giri con la pubblicazione di Space Oddity anche con il testo tradotto. Le parole del brano, intitolato “Ragazzo solo, ragazza sola”, vennero scritte da Mogol.
La registrazione avvenne ai Morgan Studios di Londra il 20 dicembre, con Claudio Fabi in veste di produttore e consulente per l'accento italiano di David (il quale era convinto che il testo fosse stato tradotto fedelmente), e il 45 giri fu pubblicato dalla Philips nel febbraio del 1970. La canzone ha fatto parte della colonna sonora del film “IO e te" diretto da Bernardo Bertolucci.

Bowie è stato un gigante della musica, uno degli artisti più carismatici e completi della scena internazionale di cui si sentirà sicuramente al mancanza. Aveva annunciato il ritiro irrevocabile, conscio della battaglia che stava perdendo contro il male del secolo, ma è uscito dalla luce dei riflettori, regalando ai fan di tutto il mondo l’ultimo disco, che ovviamente schizzò subito ai vertici delle classifiche subito dopo la sua scomparsa, al di là del suo valore intrinseco che ci sta tutto.

David Bowie, il dandy che cadde sulla terra non c’è più da tre anni. Ora lo spazio è la sua casa. Per sempre.

sabato 5 gennaio 2019

Renzo Arbore: sì al Premio a Sanremo a Peppino di Capri

di ROBERTO TAGLIERI

 

Anche Renzo Arbore si schiera con i personaggi dello spettacolo che sostengono l'inizativa per un premio alla carrriera a Peppino di Capri.  E non poteva essere diversamente perchè lo showman che ha trionfato in video col programma "Guarda stupisci" su Rai 2 oltre ad essere un grande conoscitore della musica è anche un fan dell'artista che ha rivoluzionato la musica napoletana.

Tra l'altro il programma che ha condotto con Nino Frassica ed Andrea Delogu si occupava proprio delle canzoni napoletane, in particolare di quelle umoristiche, che hanno segnato un'epoca del nostro costume e che sono intelligentemente riproposte per farle apprezzare di nuovo al pubblico. Una proposta accolta con successo dalla platea televisiva come anno dostrato gli acolti registrati.

"Conosco Peppino da sempre - ha detto Arbore ai microfoni di Non è mai venerdì su Radio Italia anni 60 -, lo seguo dagli inizi della carriera quando apparve con tutta la sua verve e la sua voce a singhiozzo per cantare Malatia, lo accompagnavano i Rockers guidati dal chitarrista Mario Cenci. E lo ammiro anche perchè è un gran signore, una persona alla mano che ha dato tanto alla musica e che merita senza dubbio un premio a Sanremo".
 

Arbore è l'ultimo ad agggiungersi a un nutrito gruppo di sostenitori dell'inziativa per il riconoscimento di un premio al prossimo festival a Peppino di Capri lanciata dal giornalista Francesco Troncarelli e composta da personaggi dello spettacolo come Carlo Verdone, Maurizio Costanzo, Lillo e Greg, Michele La Ginestra, Carla Vistarini, Alberto Salerno, Gerry Bruno e giornalisti come Ivan Zazzaroni, Paolo Giordano, Giorgio Verdelli e Emanuele Carioti che si aggiungono ai tanti che hanno aderito alla petizione on line rivolta a Claudio Baglioni.

venerdì 4 gennaio 2019

My way, 50 anni di un successo

di FRANCESCO TRONCARELLI


E pensare che non la voleva neanche cantare. "Frank, ho una cosa speciale per te" gli aveva annunciato al telefono Paul Anka, ma The Voice nicchiava, non sembrava interessato a tornare in sala d'incisione, Natale poi era alle porte e il tepore della sua villa a Malibù che si affacciava sul Pacifico ci metteva il resto.

Poi nel giro di qualche giorno, complice la figlia Nancy che ascoltando il pezzo ne aveva subito intuito la forza, si realizzò tutto. Arrangiamento a misura di Sinatra del fidato Don Costa e buona la prima per la registrazione. Il 30 dicembra del 68 "My way" era un disco e nel Capodanno del 1969, giusto 50 anni fa, veniva eseguita per la prima volta al Cesar's Palace di Las Vegas davanti a un migliaio di fan estasiasti.

"My Way" enfaticamente cantata dal caro e inossidabile "Ol' Blue Eyes" accompagnato dal crescendo incalzante della musica, divenne in poco tempo un successo stratosferico ancora oggi riproposto ovunque. Quel brano da quel capodanno di 50 anni fa è diventato uno standard internazionale con centinaia di cover e tuttora è una delle canzoni più eseguite e conosciute nel mondo che frutta quasi un milione all'anno per i diritti d'autore.

Ma è soprattutto la canzone che identifica immediatamente il suo interprete principe, Frank Sinatra, ovvero la voce più aristocratica e popolare al tempo stesso del Novecento, l'entertainer capace di ammaliare con il suo carisma e il suo swing il pubblico di tutto il mondo, l'artista che in questo brano vedeva rappresentata la sua vita, il suo modo di vivere, la sua voglia di vivere a modo suo.  

Una canzone cucita addosso su di lui, ma inizialmente non scritta per lui. Prima che entrasse in scena Paul Anka, c'erano stati infatti addirittura due autori e due versioni di questo brano. Ma andiamo con ordine perchè la sua storia è veramente particolare.


Nel 1967 un cantante che non aveva mai raggiunto il grande successo, Jacques Reveaux, compone la famosa melodia con un testo in inglese quasi maccheronico e lo intitola "For me". Agli addetti ai lavori il testo non piacque.


Brano triste, musica già sentita: fu il giudizio del produttore Gilbert Marouani al primo ascolto. Anche Hervé Vilard (sua "Riderà" cantata da Little Tony), al quale la canzone era destinata, espresse un parere identico, e la canzone tornò nel cassetto.

Di parere diverso invece Claude François, cantante nato in Egitto da padre francese e madre italiana,  beniamino del pubblico francese e assiduo nella Hit parade d'oltralpe. Sente la canzone e la trova adatta per descrivere la sua vicenda biografica.


Era stato lasciato da France Gall, la biondina della generazione ye yè sbarcata a Sanremo in coppia con la Cinquetti per "La pioggia", dopo una relazione di tre anni. Lavorando con il paroliere Gilles Thibaut, scrisse un testo descrivendo la fine di un amore divenuto ormai routine, ma che avrebbe voluto che continuasse, e gli diede così il titolo "Comme d'habitude" (Come al solito).


Il pezzo così rielaborato a detta dello stesso François «fu un grido che usciva dal cuore perché ero veramente disperato». Caratteristica della composizione era la linea melodica del ritornello, che lo stesso François definì "refrain pont", costituita da un crescendo fino alla frase clou del pezzo (Comme d'habitude che in inglese diventò I did it my way).

La canzone iniziò a girare per la radio ed in Francia, proprio in quel periodo, si trovava Paul Anka, l'ex golden boy dello star system a stelle e strisce esploso in tutto il mondo col suo "Diana". Anche lui colpito da quella melodia così trascinante, pensò che quella canzone potesse essere "riscritta" in inglese, per il suo amico Frank di cui aveva raccolto nel corso di una cena, le confidenze.

Sinatra, che all’epoca aveva 53 anni, aveva divorziato da poco da Mia Farrow e nel corso della sua carriera aveva vissuto diversi momenti di crisi, si era lasciato andare a discorsi depressivi confidandogli di voler abbandonare lo spettacolo subito dopo aver inciso un ultimo disco.

Fu sulla base di quella conversazione che uscì il celebre testo di Anka. Gli era venuto fuori di getto, in una notte, ripensando alle parole pronunciate quella sera da The Voice in un processo di totale immedesimazione con lui e immaginando come sarebbe potuta avvenire la sua definitiva uscita di scena.


Anche la rudezza del lessico era imitativa del linguaggio dei mafiosi con cui Sinatra usava accompagnarsi, e rifletteva il gusto della cosiddetta Rat Pack, quella comitiva di amici composta da Dean Martin, Sammy Davis jr e Peter Lawford, dediti al bere, al gioco, alle notti folli, che si vantava di essere del tutto indifferente al giudizio altrui, di cui Sinatra era il leader.
"My Way" voleva essere il racconto della parabola esistenziale e professionale, tra continui alti e bassi, della leggenda di The Voice, una sorta di inno alla sua egocentricità e alla sua vita di uomo discusso ma molto amato.

Il brano ricevette un’accoglienza buona in America ed entusiastica in Gran Bretagna, ed è diventato nel corso del tempo uno dei pezzi pop più celebri della storia della musica, riproposto da decine di band e cantanti come detto, da Elvis a Bublè, da Nina Simone a Sid Vicius. Frank Sinatra invece che alla canzone aveva dato la notorietà e per così dire l'immortalità, non la amò mai e anzi finì per detestarla, assillato come era dalle innumerevoli volte in cui fu costretto a eseguirla, perché la trovava pomposa e troppo autocelebrativa.


Ma il destino di questo brano intramontabile era ormai scritto e legato indissolubilmente a quella voce che aveva segnato un'epoca ed emozionato milioni di persone. Oggi 50 anni dopo quella prima volta, "My way" è uno dei pezzi più richiesti per feste di compleanno, ricorrenze particolari e per i funerali in Gran Bretagna e in America. Lo vogliono tutti, ma no Sinatra che per sè, sulla sua tomba, ha voluto il titolo di un altro cavallo di battglia, meno retorico e più ottimista, "The best is yet to come" ovvero il meglio deve ancora venire.