mercoledì 22 aprile 2020

"Cento campane" per Roma di notte

 di FRANCESCO TRONCARELLI

Chiusi i locali, spariti i capannelli della movida, a casa come una volta con il coprifuoco, Roma ha riacquistato il volto di una città sparita agli occhi dei più soprattutto la notte. Non gira un'anima, come si dice dalle nostre parti, e la città, soprattutto il Centro, sembra proprio quello che faceva da sfondo a «Il segno del comando», la serie cult della televisione in bianco e nero che emozionava e teneva in tensione il pubblico.

A cinquant’anni di distanza, i luoghi e i segreti di uno degli sceneggiati tv più iconici della Rai, girato nei posti più belli della capitale, sono tornati deserti come in questi giorni. Via Margutta da dove al civico 33 prendeva il via lo sceneggiato, l' Hotel Galba a Trinità dei Monti, il Caffé Greco, la Taverna dell’Angelo, la Casina Valadier, l’Isola Tiberina, via delle Tre Spade 119, la chiesa di Sant’Onorio, la Basilica di Massenzio, i Mercati di Traiano, la Biblioteca Angelica.

Luoghi reali e luoghi immaginari (la locanda di Trastevere che appare solo di notte) che vanno dritti  verso un’unica direzione: "Il segno del comando". Trasmesso dal Programma nazionale (attuale Rai 1) per cinque domeniche, dal 16 maggio al 13 giugno 1971, per una platea di 15 milioni di spettatori.

Un successo incredibile dato il tema che trattattava e che oltre al riferimento ai grandi classici della letteratura, si spingeva a mescolare generi in grande libertà come il Gotico e la spy story, la toponomastica e l'esoterismo con riferimenti colti e pop.

La regia era di un maestro di questi sceneggiati, di Daniele D’Anza ed aveva nel cast grandi attori di teatro come Ugo Pagliai, il professore di letteratura di Cambridge Edward Foster, gran conoscitore di Lord Byron, Massimo Girotti l'addetto alla ambasciata britannica a Roma George Powell, Carla Gravina una modella di un pittore molto affascinante e misteriosa e ancora nomi come Andrea Cecchi, Rossella Falk, Franco Volpi, Carlo Hintermann.


E nella memoria collettiva del Bel paese, su tutto, su queste location fantastiche e nomi di grido che lo interpretavano, è rimasta la sigla: "Cento campane". Un brano che è diventato un classico della canzone romana e che tutti conoscono per quel ritornello che resta facilmente impresso e che Lando Fiorini ha portato al sucesso.

Non tutti sanno però che il brano diventato uno dei cavalli di battaglia del trasteverino Fiorini, in realtà, nella versione originale, cioè quella legata indissolubilmente alla fiction (che peraltro si può rivedere su Raiplay), fu affidato dai suoi autori, il bravo e poliedrico Fiorenzo Fiorentini e il musicista Romolo Grano, a Nico Tirone, nome che se abbinato al gruppo con cui aveva iniziato la carriera potrebbe essere più riconoscibile.

Tirone infatti non era altro che il Nico dei Gabbiani, il gruppo che aveva avuto un successo clamoroso qualche anno prima col 45 giri "Parole". La cosa strana però è che Nico era siciliano e quindi non proprio adatto a interpretare un pezzo d'ambientazione de noantri, ma i legami degli autori con la casa discografica di Tirone, furono più forti dell'incertezza dialettale, e perciò l'ex Gabbiano si aggiudicò l'incisione.

La canzone, trainata dal successo dello sceneggiato televisivo, ebbe un discreto successo, poi finito l'effetto novità, rimase lì, tra le tante che hanno "ballato una sola estate". Ci penserà Lando Fiorini a riproporla in grande spolvero e a darle una "dignità" romanesca e un altro appeal. La prima mossa fu quella di inciderla dopo qualche tempo, poi, decisiva, l'esecuzione a Canzonissima nell'edizione del 1973.

Lando, col suo stile inconfondibile da grande cesellatore e la presenza scenica di cabarettista del Puff, la fece sua, dandole un'anima, un cuore e un'intonazione più decisa premiata subito dal gradimento degli spettatori della famosa gara televisiva e da quel momento il pubblico iniziò ad associare questo brano a lui. E a tutti i livelli.


Non a caso quando la Ricordi anni dopo ha pubblicato una compilation con tutti i brani delle sigle televisive degli anni 60 e 70, a fianco di pezzi come il "Tuca tuca" della Carrà o "Sandokan degli Oliver Onions (i fratelli De Angelis) c'è un'intrusa di tutto risetto, appunto la versione di Fiorini di "Cento campane".

Il brano ovviamente con la riedizione di Lando Fiorini tornò ad avere successo diventando un longseller che nel tempo ha venduto moltissimo risultando così il disco più venduto in assoluto dall'artista romano.

Il motivo del succeso al di là della interpretazione e dell'orecchiabilità del brano, è da individuare nella melodia che è si romana (il brano inizialmente era stato composto da Fiorentini negli anni 50 col solo accompagno della chitarra), ma italianizzata, cosa che succede per altri pezzi immortali come "Arrivederci Roma" e "Roma nun fa la stupida stasera" ed altre canzoni che riescono ad essere popolari pur uscendo dai canoni delllo stornello.

Curiosità di questa canzone che ha avuto tanti interpreti come ad esempio Alvaro Amici, i Vianella, Bobby Solo e Giorgio Onorato (che nella fcition appare per un cameo), è che ha avuto un successo strepitoso in Nord Europa legato alla messa in onda dello sceneggiato da alcune Tv di quei Paesi. E' andato fortissimo specialmente in Norvegia con l'idolo locale Stein Ingebrigsten e in Finlandia con Tapio Heinon e Taisto Tamnni.

Ma la chicca che rende ancora più sorprendente la curiosità è che la versione dell'artista norvegese soprannominato Mister Hit Parade per i successi in serie inanellati negli anni 70, è cantata in italiano. Incredibile ma vero. E questa circostanza, rivaluta alla grande la verisone siculromanesca di Nico Tirone.


1 commento:

  1. Non conoscevo questa versione Veramente fa sorridere questo Romano Norvegese Cmq il suono dell orchestra E della sua bellissima voce Me la fanno apprezzare ugualmente Anche se io preferivo la versione cantata da Fiorenzo Fiorentini Ric.Mi.

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