giovedì 21 maggio 2020

Lazio Campione, un popolo in festa

di FRANCESCO TRONCARELI


"Soltanto a Roma succede che uno stadio si riempia di quasi centomila tifosi. Ho vinto due scudetti nella mia vita, ma questo rimarrà come una delle gioie più belle. Una vittoria meravigliosa perché nessuno ha mollato, fino alla fine: né i giocatori, né l'allenatore, tantomeno i tifosi".

Così Roberto Mancini, leader della squadra che aveva stregato l'Italia con il suo gioco e le sue vittorie, commentava emozionato e felice la grande festa che si stava svolgendo all'Olimpico il 21 maggio del 2000, venti anni fa esatti, per celebrare tutti insieme apassionatamente lo Scudetto appena vinto.

Una festa di popolo cominciata a metà pomeriggio e andata avanti sino a notte inoltrata, in un tripudio di bandiere ed entusiasmo con giro di campo di tutti i protagonisti di quella lunga cavalcata iniziata il 30 agosto 1999 (Lazio-Cagliari 2-1) e finita il 14 maggio del 2000 alle ore 18 e 4 minuti con appendice di una sontuosa Coppa Italia quattro giorni dopo.


Lo Scudetto dei più forti vinto contro i Poteri forti del Calcio, lo scudetto dei veri Campioni d'Italia e Padroni di Roma come ricordava e ammoniva un maxi striscione posizionato sotto la Nord che dava il senso a quella serata.

Una festa spettacolare inziata con un'amichevole contro il Bologna per permettere a tutta la rosa di fare passerella, iniziata con il paracadutista Lino Della Corte che planava al centro del campo con la bandiera biancoceleste e proseguita con Attilio Lombardo versione clown che intratteneva il pubblico fra le risate generali.

Eppoi Enrico Montesano pirotecnico come sempre che in sidecar aveva fatto il giro dello stadio sul tartan con a bordo Eriksson, l'allenatore di quella squadra di fenomeni che per una volta senza l'elegante divisa sociale ma con la tuta da allenamento, percorreva tutto il campo avvolto in una bandiera tricolore.


Una scena mai vista, alla faccia della sua proverbiale compostezza svedese, mentre negli altoparlanti, a tutto volume, andavano le note di "We are the Champions" e nel cielo si stampavano enormi fuochi d'artificio.

E che dire di Sergio Cragnotti, il manager che aveva fatto fare il salto di qualità alla Lazio, lanciato in aria dai suoi ragazzi, uno spettacolo nello spettacolo.

Come quello messo su da Anna Falchi che, mantenendo la parola data a suo tempo, improvvisava uno spogliarello facendo venire giù tutto lo stadio per poi infilarsi la maglia di Mancini.

Un mini show elegante e all'insegna dell'ironia che veniva immortalato dai fotografi e dalle televisioni e subito rilanciato in prima serata dai telegiornali.


Che festa, che serata, quante emozioni. E' un altro Olimpico rispetto a quello di una settimana prima quello del 21 maggio di venti anni fa. E' un Olimpico traboccante d'entusiasmo, di felicità pura.

Niente più lacrime d'incredulità, solo un'esplosione travolgente di vitalità, un tutt'uno di bandiere biancocelestirossoverdi, uno spettacolo da brividi, un groppo alla gola che sale piano. E diventa un urlo unico, travolgente: Campioni d'Italia.

Nella notte romana di venti anni fa brillava una stella lucente più di tutte, la Lazio, Stella polare dei sogni di un popolo che non l'ha mai tradita e ora applaude i suoi eroi che sfilano in passerella.


Da Marchegiani, il numero uno che ha ceduto anche lui, alle meches dorate, via via, in progressione, con Favalli biondo e fino al 33 di Ravanelli, l'ultimo arrivato, il vecchio Penna bianca rivelatosi portafortuna.

E' un giro d'onore senza tregua con applausi a scena aperta, Salas, Nesta, Simeone, Gottardi, Nedved, Veron i più osannati, quelli che più colpiscono, per i motivi più disparati, l'immaginario del tifoso. Per tutti un abbraccio collettivo di ottantamila cuori.

E' una grande famiglia, quella biancoceleste, lo è sempre stata. Che sa cogliere il momento di gioia, viverlo con entusiasmo quasi intimo fino all'esplosione corale. Commovente poi all'inizio, l'omaggio tributato ai tanti fra dirigenti, tifosi, giornalisti, che questo momento storico avevano sognato.



Un sogno spezzato dal destino che se li era portati via prima che si avverasse, nomi simbolo come quelli di Giovanni Cragnotti, Tonino Di Vizio, Mimmo De Grandis. Nella eccitazione di una notte che non voleva finire mai, piovevano sul campo sciarpe e bandiere cilene e argentine come i campioni della squadra e c'erano anche le maglie rinverdite a tempo di record con la scritta più agognata "Campioni d'Italia".

"C'è solo un presidente" intonava l'Olimpico e il presidente ringrazia commosso, poi le luci si spensero e restano i riflettori tricolori sparati nel cielo. E' il segnale, fa il suo ingresso il camion scoperto e l'emozione contagia tutti.

I giocatori sono in piedi, raggianti, letteralmente trascinati sulle ali di un entusiasmo incontenibile. «E' lo scudetto di Roma biancoceleste. E' lo scudetto di voi tifosi», chiude così Cragnotti la festa di una squadra che appatiene da tempo immemore alla città e di un popolo che la segue.

Ed è il tripudio. Quello che tutti i laziali vorrebbero rivivere venti anni dopo. Padroni di Roma lo sono sempre stati del resto, è tempo di tornare Campioni d'Italia.


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