di FRANCESCO TRONCARELLI
Quando arrivò la notizia a molti sembrò uno scherzo. Chinaglia?
Possibile? L’invincibile guerriero? Era il primo aprile del resto e
poteva starci un “pesce” anche se macabro, magari diffuso da qualche
stupido buontempone appartenente ad altre sponde del tifo. Ma la
notizia, drammatica ed incredibile, era purtroppo maledettamente vera.
Era il primo aprile del 2012, Giorgio Chinaglia se ne era andato all’improvviso, la morte era avvenuta a Naples, un piccolo centro a sud della Florida davanti al Golfo del Messico e nella Roma biancazzurra quel lancio d’agenzia subito diffusosi sui social era stato avvertito come un lutto familiare.
Una reazione emotiva ed affettiva naturale per il popolo biancoceleste, perche Giorgio era stato il calciatore più amato dai tifosi, quello che aveva restituito con i suoi gol e la sua voglia di vincere sempre, l’orgoglio di essere laziali, di essere i tifosi della prima squadra della Capitale, quella che aveva portato il calcio e il tifo a Roma.
12 anni anni fa se ne andava il calciatore più amato dal popolo
biancoceleste. Coi suoi gol e la sua voglia di vincere ridestò nei
tifosi l'orgoglio di essere laziali. Un mito assoluto
Era il primo aprile del 2012, Giorgio Chinaglia se ne era andato all’improvviso, la morte era avvenuta a Naples, un piccolo centro a sud della Florida davanti al Golfo del Messico e nella Roma biancazzurra quel lancio d’agenzia subito diffusosi sui social era stato avvertito come un lutto familiare.
Una reazione emotiva ed affettiva naturale per il popolo biancoceleste, perche Giorgio era stato il calciatore più amato dai tifosi, quello che aveva restituito con i suoi gol e la sua voglia di vincere sempre, l’orgoglio di essere laziali, di essere i tifosi della prima squadra della Capitale, quella che aveva portato il calcio e il tifo a Roma.
Chinaglia tanto amato ma anche il più temuto dagli avversari perché
il più forte di tutti, il più grande di tutti, il più laziale di tutti.
Era quello infatti che segnava sempre, quello che spezzava le dita ai
portieri con le sue bombe da fuori area, quello che trascinava i
compagni alla vittoria, quello che li scuoteva quando le cose andavano
male in campo.
Quello che “nun ce voleva sta” come si dice a Roma e
perciò era sempre pronto a combattere col coltello fra i denti. Quello
che portò per mano la squadra alla conquista del suo primo scudetto.
Quello che per tutti era Giorgio Chinaglia, il grido di battaglia.
L’invincibile guerriero, Long John, Giorgione, l’idolo incontrastato di una piazza ribelle e anticonformista che grazie a lui aveva rialzato la testa dopo anni bui e di altalena con la serie B.
Quello che anche quando perdeva vinceva lo stesso e che quando vinceva stravinceva, sfidando la curva nemica correndo spavaldo sotto la stessa ed esultando all’impazzata come testimoniato dalla splendida foto di Marcello Geppetti che ha fatto il giro del mondo, scattata in un famoso derby vinto da lui e dalla Lazio.
L’invincibile guerriero, Long John, Giorgione, l’idolo incontrastato di una piazza ribelle e anticonformista che grazie a lui aveva rialzato la testa dopo anni bui e di altalena con la serie B.
Quello che anche quando perdeva vinceva lo stesso e che quando vinceva stravinceva, sfidando la curva nemica correndo spavaldo sotto la stessa ed esultando all’impazzata come testimoniato dalla splendida foto di Marcello Geppetti che ha fatto il giro del mondo, scattata in un famoso derby vinto da lui e dalla Lazio.
Chinaglia era quello che al cinema agli sberleffi e alle offese dei tifosi avversari, replicava a suon di cazzotti. Quello che andava a dormire con gli scarpini ai piedi. Quello che non faceva finire gli allenamenti al campo di Tor di Quinto finchè la sua formazione non batteva la rivale. Quello che i rigori li doveva battere sempre e solo lui, come l’indimenticabile e storico penalty tirato il 12 maggio del 1974, che assegnò il tricolore alla banda Maestrelli.
Dodici anni fa Giorgio era tornato a casa molto presto, alle ventuno, dopo aver consumato da solo, una cena spartana al ristorante italiano degli amici di “Dolce & Salato”. Un risotto alla milanese con abbondante spolverata di parmigiano, un bicchiere di Chianti, niente più. Al rientro aveva trovato un messaggio del figlio Anthony, gli chiedeva di autografare una foto dei tempi del Cosmos quando giocava insieme a Pelè, per un suo amico.
Giorgio diligentemente prese la foto e scrisse “a Thomas con simpatia”, poi salì in camera al piano superiore dell’abitazione, era molto stanco, da qualche giorno non si sentiva bene. Si buttò sul letto tutto vestito, chiuse gli occhi e si addormentò. Per sempre.
Ponendo fine così, a sorpresa, a una vita esagerata ma ricca di emozioni incredibili rimaste indelebili nel cuore e nella mente di chi lo aveva seguito nelle sue galoppate sui campi di calcio del Bel paese pallonaro, raccontandone le gesta ai figli e tramandando così il ricordo “di padre in figlio” di quel mito, di quel simbolo indiscusso di Lazialità mai doma e vincente.
Giorgio Chinaglia per sempre. Il grido di battaglia ieri, oggi,
domani. Un amore infinito che ha superato la generazione di riferimento.
Long John e il suo popolo insomma, una lunga bella e tormentata storia
d’amore che non ha subito crisi e tradimenti di sorta. Mai.
E non poteva
essere diversamente, perché nessuno è stato come lui, nessuno ha fatto
quello che ha fatto lui e soprattutto perché nessuno ha smesso di
volergli bene nonostante vicissitudini incredibili e situazioni molto
discutibili in cui quel calciatore dagli occhi da buono e la grinta da
trascinatore si era trovato. Tutti hanno sempre amato Long John a
prescindere. Perché lui era Chinaglia, Giorgio Chinaglia, il più grande
di tutti.
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