domenica 31 maggio 2020

Clint Eastwood, 90 anni di un mito

di FRANCESCO TRONCARELLI



Sergio Leone disse di lui che come attore gli piaceva perché aveva solo due espressioni: una col cappello e una senza cappello. Può darsi, ma su quelle due espressioni Clint Eastwood ha costruito una delle più longeve carriere della storia del Cinema. E oggi che quell' "Uomo senza nome" compie 90 anni, tutto il mondo applaude.

Attore, sceneggiatore, regista, produttore, musicista ha fatto di tutto, cominciando dalle piccole particine per arrivare agli Studios di Hollywood da interprete principale, un ruolo che lo avrebbe proiettato alla conquista dell'Oscar, il riconoscimento più ambito per chi fa questo mestiere.

Spesso e soprattutto agli inizi sottovalutato dalla critica che ne deprimeva le doti recitative, è stato capace di ribaltare quei giudizi con prove di grande spessore come attore e di indubbia maestria come regista. E' passato nel corso di una carriera lunga e ricca di soddisfazioni, da gigante della settima arte a mito del cinema senza soluzione di continuità. 
 
Nato il 31 maggio del 1930 a San Francisco, padre operaio e madre impiegata, Clint era uno studente normale con pochi interessi oltre la musica. Sguardo magnetico e andatura dinoccolata copiata dal suo idolo Gary Cooper, riuscì a strappare piccole parti nei B-Movies degli anni '50.

Poi divenne protagonista del serial "Gli uomini della prateria" che decollava sulla CBS nel 1959. Sul set rubava i segreti del mestiere e in tv divenne popolare, trasformato velocemente da quel medium nello stereotipo del tipo bello e riempi schermo, ideale per fare da sfondo alla vita della provincia americana.

Lavorare a lungo alla stessa produzione può soffocare la vita di un attore, e sette stagioni dopo Eastwood si ritrovò alla ricerca disperata di un cambiamento, arrivando anche a registrare un album di ‘Cowboy Favorites’. Ma fu la decisione di girare un western in Spagna, diretto da un italiano, Sergio Leone, che ancora non parlava inglese, a cambiare la sua storia artistisca.

La svolta però non arrivò all’improvviso. Nonostante ‘Per un pugno di dollari’ riscosse successo immediato in Europa, negli Stati Uniti la distribuzione fu bloccata per via della causa legale in corso tra Leone e Akira Kurosawa, che aveva scritto a Leone congratulandosi con lui per aver copiato il suo ‘Yojimbo’.


Mentre la causa si faceva largo attraverso l’intricato sistema legale italiano, Eastwood e Leone ebbero il tempo di girare altri due film. Una volta risolta la disputa, ‘Per un pugno di dollari’ e i successivi ‘Per qualche dollaro in più’ e il ‘Il Buono, il brutto e il cattivo’, la cosidetta Trilogia del dollaro, erano pronti per essere rilanciati nello stesso anno dalle Majors, e lo Spaghetti Western divenne il fenomeno grazie al quale Eastwood abbandonò per sempre il personaggio televisivo di Rowdy Yates.

A questo punto il cowboy dagli occhi di ghiaccio e dal sigaro in bocca aveva trentasei anni e andava di fretta. Nonostante il suo nuovo potere da star, si ritrovava però ancora ad interpretare ruoli secondari affiancando attori più affermati.

In ‘Dove osano le aquile’ con il divo inernazionale Richard Burton e ‘La ballata della città senza nome’ per esempio insieme al veterano Lee Marvin. Le cose cambiano dagli anni Settanta, grazie alla collaborazione con la sua nuova fonte d’ispirazione Don Siegel.

Eastwood avrebbe esteso infatti la sua gamma di antieroi americani passando dal soldato ferito de ‘L’inganno’ al poliziotto che non va per il sottile di ‘Dirty Harry’.

Gli anni passano e la sua carriera decolla, i suoi film fanno clamore e spettacolo, riempiono le sale e dividono la critica che comunque apprezza sempre il suo impegno e il suo modo non solo di recitare ma anche di girare.

Sì perchè nel bel mezzo di tanti film d'azione in cui era interprete principale, ha tirato fuori l'asso dalla manica imponendosi come uno dei registi più solidi e sensibili. Già il suo esordio, "Brivido nella notte" era un poliziesco di belle atmosfere e di buona fattura. Poi, nonostante qualche scivolone come "Pink Cadillac", si è andato sempre più affinando.

Sino ad arrivare a firmare quelli che si possono considerare autentici capolavori. "Gran Torino", di cui era anche il solo apparentemente burbero protagonista e con il quale viene considerato il "nuovo John Ford", maestro a cui lo lega la scelta di personaggi tormentati e soprattutto la passione per un cinema "artigianale".

Ancora, i due film sulla battaglia di Iwo Jima (vista da americani e giapponesi, su opposti fronti nella seconda guerra mondiale), in cui ha dato sfoggio delle sue qualità spiccatamente tecniche di regia e direzione del cast.


E poi c'è "Million dollar baby", vincitore di quattro Oscar pesanti, miglior film, miglior regista (Eastwood), miglior attore (sempre Eastwood nel ruolo di un vecchio pugile che forgia una campionessa) e miglior sceneggiatura (a Paul Haggis).

Col coraggio di cambiare che lo ha sempre contraddistinto, Clint il duro ha pagato il suo tributo a tanti generi cinematografici, dal carcerario (Fuga da Alcatraz), al road movie (Filo da torcere e Honkitonk man), persino alla commedia romantica.

Ci riferiamo ai "Ponti di Madison County" (1995) dove era un fotografo giramondo innamorato di una casalinga che non si era mai mossa dallo Wyomig, interpretata dalla grande  Meryl Streep. Ma ci sono due generi che ha sempre prediletto il western e il poliziesco. Generi in cui ha potuto recitare la parte che gli riesce meglio, quella dell'uomo che non deve chiedere mai, del duro e dell'antieroe scontroso e burbero.

Il western è stato il primo amore e gli ha dato la grande notorietà, ma dopo il personaggio col poncho (una sua trovata), il cappello e il toscano in bocca della trilogia del trasteverino Sergio Leone, Eastwood  ha continuato a cavalcare nelle praterie e non si e' più fermato.

Ted Post lo ha diretto in "Impiccalo più in alto", Don Siegel in "L'uomo dalla cravatta di cuoio" (western contemporaneo) e in "La notte brava del soldato Jonathan". Poi iniziò a dirigersi da solo e arrivarono "Lo straniero senza nome", "Il texano dagli occhi di ghiaccio", "Bronco Billy", "Il cavaliere pallido", "Gli spietati" anch'esso premiato con quattro Oscar.

Nel poliziesco ha trovato una vena altrettanto ricca. "Dirty Harry" ossia Harry Callaghan, diventato in Italia l'ispettore Callaghan, è stato una delle sue frequentazioni più assidue e incisive, "Coraggio fatti ammazzare", la frase tormentone di quella pellicola che ha fatto epoca.


Ma nella sua filmografia di polizieschi ce ne sono molti altri, da "Potere assoluto" a "Corda tesa", al perfetto e appasionante "Mystic River" con Sean Penn.

Piu' volte ha dichiarato di voler scomparire dai suoi film come attore e poi si e' smentito nel recente "The Mule"; di fatto si ispira sempre piu' spesso a personaggi reali che porta sullo schermo come eroi del quotidiano, da "Sniper" a "Sully" o a storie del passato come per "E.J. Hoover" o "Changelling".

L'ultimo film diretto da Clint Eastwood, sul set a 89 anni, è uscito lo scorso dicembre, "Richard Jewell". E' la storia vera di una guardia di sicurezza della AT&T, che scongiura l'esplosione di una bomba alle Olimpiadi del 1996, ma viene ingiustamente sospettata dall'FBI e perseguitata dai media.

Geloso della sua privacy, con parecchie storie sentimentali all'attivo nonostante un matrimonio ufficiale con Maggie Johnson e una lunga storia finita malissima con la collega e partner in molte pellicole Sondra Locke, padre di otto figli, l'introverso Clint ha dichiarato di non voler festeggiare questo traguardo anagrafico così importante.

Non lo festeggia perchè non ha intenzione di fermarsi per riposarsi anche se compie 90 anni: "Spesso mi chiedono perché non vado in pensione. Sono una persona curiosa da sempre, mi piace scoprire cose nuove, espandere gli orizzonti". E se lo dice lui, c'è da credergli. Cento di questi giorni Clint.
 

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