martedì 29 settembre 2020

Oggi, 29 settembre...

 di FRANCESCO TRONCARELLI

 
 
Seduto in quel caffè, io non pensavo a te
guardavo il mondo che girava intorno a me
poi d’improvviso lei sorrise e ancora prima di capire
mi trovai abbracciato a lei stretto come se non ci fosse
che lei…


E’ il 29 settembre e il pensiero corre subito a uno dei primi successi di Lucio Battisti. Un brano che nonostante abbia più di 50 anni, conserva ancora la freschezza della prima volta, continuando a regalare emozioni come allora, perché è un capolavoro del nostro pop.

Quando uscì il disco era il 1967, e quella era la terza canzone scritta da Mogol insieme a Lucio, dopo 'Dolce di giorno' e 'Per una lira'. Un pezzo dal titolo insolito, idealmente dedicato dal poeta della musica italiana alla moglie Serenella che in quel giorno celebrava il suo compleanno.

"Lucio veniva da me la mattina, alle 9 in punto –ricorda il paroliere-, prendevamo un caffè e poi lui cominciava a suonare con la chitarra la melodia sulla quale io costruivo il testo”, il brano fu completato in un paio di giorni e una volta pronto si cercò  nell’ambito della Ricordi, la casa discografica milanese dove lavoravano entrambi, qualcuno a chi affidarlo.

Quel qualcuno fu presto individuato nell’Equipe 84, il complesso beat più popolare di quegli anni composto dal “principe” Maurizio Vandelli, voce solista del gruppo, il gigante Victor Sogliani, bassista, il piccolo Alfio Cantarella, batterista e Franco Ceccarelli, seconda voce e chitarrista.  

Con l'esaurirsi della vena di protesta beat che aveva scosso la gioventù “capellona”, i più accorti si erano resi conto che per sopravvivere senza farsi prendere alla sprovvista dai nuovi stili e dalle varie mode che iniziavano a farsi strada, bisognava avere l'occhio lungo e rinnovarsi.


Vandelli così si tuffa su questo brano melodico che segna la consacrazione come autori della premiata ditta "Mogol & Battisti" e lo trasforma con un lavoro geniale di arrangiamento ricco di sonorità nuove e di rielaborazione dei tempi musicali in un disco che farà epoca. 

Questo brano infatti sarà considerato il primo pezzo italiano di rock psichedelico, anticipando di tre mesi persino “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band” dei Beatles, ritenuto il capolavoro mondiale di quel genere.

La canzone è la storia di un tradimento. Un uomo è seduto in un bar quando improvvisamente incontra il sorriso di una donna e ancora prima di mettere a fuoco la situazione, si ritrova sottobraccio a lei mentre la serata si svolge tra un ristorante ed un locale da ballo per poi finire nel letto del protagonista, dove lui si sveglia mentre una voce scandisce al Giornale Radio il nuovo giorno, 30 settembre. Era tutto un sogno?

L'utilizzo di un vero speaker della Rai ingaggiato per l’occasione (un'intuizione dell'ultimo momento, quando il pezzo era stato già registrato) che attraverso due annunci del giornale radio scandiva l’arco temporale (29 e 30 settembre) in cui si svolge la storia.

E' certamente un'idea innovativa, come sono altrettanto all’avanguardia il testo e  la ricerca di un sound che trasmetta a chi ascolta, una sorta di atmosfera onirica dell'incontro con "l'altra".

Il valore aggiunto a quello che diventerà un successo enorme, è dato dalla voce di Maurizio Vandelli, capace di salire di tonalità come nessun altro frontman dei gruppi più in voga di quel periodo e che riesce a vocalizzare l'angoscia del brusco risveglio alla realtà, ben coadiuvato nei cori dagli altri tre compagni di avventura musicale.



“29 settembre” insomma è un brano veramente moderno, arrangiato in modo eccellente e che si avvicina alla produzione dei Beach Boys o dei Beatles ma senza peraltro scimmiottarli o prenderli ad esempio, è un’altra cosa.

Se il menestrello Donovan e i fantastici Kinks in Inghilterra cercano nuove strade alla loro musica, l'italianissima Equipe 84 cerca nuove sonorità a casa propria confermandosi il complesso, come si chiamavano allora le band, numero uno, quello più preparato e quindi capace di rinnovarsi senza sussulti e difficoltà, l'unico a potersi permettere certi esperimenti all'infuori del classico pezzo beat chitarra-basso sostenuto magari da una tastiera Farfisa, come tutti.

Alle registrazioni effettuate presso gli Studi Ricordi, che in quegli anni si trovavano in Via dei Cinquecento a Milano, partecipò anche l'Orchestra Sinfonica della Scala di Milano e fu effettuata su un registratore a otto piste, il primo utilizzato in uno studio di registrazione italiano che esordì proprio con questa canzone. Le manipolazioni di Vandelli sul master originale e svariate sovraincisioni riuscirono poi a dare a quel brano un suono particolare e cristallino. Nuovo e accattivante.

Due anni dopo, nel 1969, anche Battisti cantò questa canzone inserendola nel suo primo album, “Lucio Battisti”. La sua interpretazione è più tradizionale rispetto a quella dell'Equipe e risente delle atmosfere tipicamente melodiche di gran parte della sua produzione. Nella sua versione, più lenta e armoniosa, la voce dello speaker è sostituita da un assolo di chitarra e il contrappunto di un flauto e quello di altri fiati come l’oboe, conferiscono una suggestione particolare molto accattivante.

Oggi, 29 settembre, a più di 50 anni da quel trionfo che squarciò gli orizzonti della musica leggera, riascoltiamo Lucio Battisti nella versione restaurata direttamente dai nastri analogici originali e rimasterizzata con tecniche digitali d’avanguardia, che ci restituisce il genio che ha rivoluzionato il nostro pop nel suo splendore artistico e creativo. 


Nessun commento:

Posta un commento