sabato 30 novembre 2019

Addio Vittorio Congia, l'ultimo dei caratteristi

di FRANCESCO TRONCARELLI 

 
Quattro righe sul Messaggero, nulla su Corriere della Sera, Repubblica e Stampa. Salvo poi brevi flash nelle edizioni on line, alcune peraltro con clamorosi errori dovuti a scarsa conoscenza del mondo dello spettacolo e dei suoi interpreti e al pressapocchismo di chi sta davanti al computer per dare le notizie.

Insomma i media hanno snobbato Vittorio Congia nel momento dell'addio. Lo avevano ignorato già in vita quando era sulla cresta dell'onda, destino crudele di gran parte dei caratteristi del Cinema, personaggi minori rispetto ai grandi nomi, figurarsi se da morto potesse interessare al caposervizio di turno, quello che ti dice "fammi 30 righe su questo, è morto, era uno bravo".

E Vittorio Congia bravo lo era davvero, certo non da interpretare o dare addirittura la voce all'ispettore Maigret come ha scritto un quotidiano on line, sbagliando clamorosamente ruoli e persone (Maigret era il grande Gino Cervi, una voce indimenticabile, attore di teatro molto popolare sul grande schermo come Peppone nella sagra di Don Camillo-Fernandel), ma lo era sicuramente per dare vita a quei personaggi di contorno che arricchivano le storie, magari un po' fragili, dei film di cassetta.

con Morandi
I famosi musicarelli per esempio o quelli denominati di "serie B" (B movies per gli addetti ai lavori), pellicole insomma senza tante pretese e sicuramente non ideologici o dai cast importanti, che però avevano un pregio enorme, ovvero incassavano una barca di soldi, facendo lavorare un sacco di gente (attrezzisti, operatori, comparse, truccatori, ecc) e fornendo capitali freschi ai produttori per tentare di girare opere più importanti e di livello, destinate a restare nel tempo.

Vittorio Congia era un carattersita insomma, un volto che trovavi sempre sullo schermo, magari senza sapere il suo nome perchè non aveva la caratura artistica e popolarità di un Sordi o di un Gassman, un attore di secondo piano ingaggiato in quei film che uscivano direttamente nelle "Seconde visioni" di quartiere come l'Induno a Trastevere, il Verbano al Trieste, il Vascello a Monteverde, l'Augustus a Corso Vittorio, il Missouri a Portuense e così via, che accontentavano un pubblico di gusti facili.

Ma era bravo, come erano bravi quegli artigiani che dirigevano quelle pellicole senza soluzione di continuità inventandosi location esotiche nelle dune di Castelporziano o nelle campagne di Tolfa, maghi della macchina da ripresa e degli effetti speciali come Marino Girolami, Bruno Corbucci, Ettore Fizzarotti, Mario Mattoli, Mario Amendola.

"Nessuno mi può giudicare" con la Caselli versione Casco d'oro

Vittorio Congia, che i quotidiani impegnati a raccontare nelle pagine degli spettacoli vita, morte e miracoli di influencer prezzolate o urlatori analfabeti della Trap hanno ignorato, contribuendo anche per questo e seppur in minima parte, allo sfacelo culturale che ci attanaglia, era bravo, veniva dall'Accademia d'Arte drammatica Silvio D'Amico, compagno di corso di Monica Vitti. Era bravo come erano bravi i suoi colleghi Tony Ucci e Carlo Croccolo caratteristi veri e pilastri del cinema che faceva ridere.

E ancora i vari Pietro De Vico (Nicolino della Nonna del Corsaro nero), Mario Carotenuto (il Commendatore per antonomasia della Commedia all'italiana), Carlo Taranto (il finto Herrera nel Borgorosso di Alberto Sordi), Tiberio Murgia (Ferribotte ne I soliti ignoti) per citarne solo alcuni di quell'esercito di professionisti e mestieranti del set che hanno fatto la fortuna del Cinema italiano.

Congia, piccoletto dallo sguardo sornione, la mimica notevole e la battuta pronta, era di Iglesias, ma romano d'adozione, con la cadenza tipica del quirite che tanto andava nei film di genere e nei musicarelli (una ventina) che ha girato e di cui era il prezzemolino per la sua simpatia innata mista a una recitazione senza tanti fronzoli. Tra i tanti, tutti quelli di Gianni Morandi militare con Laura Efrikian ("In ginocchio da te", "Non son degno di te" ecc. ecc.), quelli con Litte Tony (Zum zum zum), Caterina Caselli ("Nessuno mi può giudicare", "Perdono") e le varie "Lisa dagli occhi blu" che trionfavano nei juke bok.
DARIO ARGENTO VITTORIO CONGIA
sul set con Dario Argento
Con la fine del cinema leggero e dei musicarelli, ha fatto un po’ tutto, dal thriller con "Il gatto a 9 code" di Dario Argento, dove è Righetto il cameraman, al cavernicolo con "Quando gli uomini si armarono di clava e con le donne fecero din don" di Bruno Corbucci, dal western con "Amico stammi lontano almeno un palmo" di Michele Lupo con Giuliano Gemma, al militaresco lanciato dai film sul Colonnello Buttiglione con "4 marmittoni alle grandi manovre" di Marino Girolami, dove aveva il ruolo del soldato sardo Porceddu, al decamerotico sulla scia del film pasoliniano con "Una cavalla tutta nuda" di Franco Rossetti.

Una carriera di lungo corso che lo aveva visto anche sulle tavole dei palcoscenici del teatro, tanto er dire un “le fuberie di Scapino”, un “Androclo e il leone” con Gianrico Tedeschi dove Congia è il Leone, i mitici “Rinaldo in campo” con Domenico Modugno e Delia Scala e “Anfitrione” e quelli della tv italiana con partecipazione al capolavoro dei Cetra "La Biblioteca di Studio Uno" e proseguita con un buon successo sino a diventare anche grande doppiatore: sua la voce italiana di Ian Holm nella trilogia del "Signore degli anelli" ad esempio.

Ecco perchè averlo dimenticato è stato un errore dal punto di vista giornalistico, ecco perchè invece lo abbiamo voluto ricordare, perchè il buon Vittorio è stato uno che ha dato tanto allo Spettacolo di casa nostra, facendo una cosa di cui tutti abbiamo bisogno, ovvero rendere la vita leggera, regalare con le sue battute e le sue gag quell'ora di buonumore per allontanare i pensieri, compito che assolveva egregiamente come tutti i suoi compagni di merende cinematografiche.

Quei caratteristi che hanno fatto grande il nostro Cinema, quei tanti Vittorio Congia che riempivano lo schermo con la loro umile ma preziosa presenza dando lustro ai protagonisti acclamati e paparazzati. Attori anche loro con la "a" maiuscola a cui messuno però ha battuto mai le mani e detto bravo perchè non faceva intellettuale. Quei caratteristi che oggi, fateci caso, non ci sono più perchè alla prima apparizione sullo schermo si sentono tutti Marlon Brando. Ciao Vittorio piccolo grande caratterista, grazie di tutto.


domenica 24 novembre 2019

Lazio, il graffio del Pantera. Le Pagelliadi

di FRANCESCO TRONCARELLI



8 e mezzo al Pantera - La Lazio ha fatto strike ottenendo la quinta vittoria consecutiva sul campo del Sassuolo. Quando tutto sembrava inidirizzato verso uno squallido e bugiardo pareggio, è arrivata la zampata del bomber ecuadoriano che ha rimesso le cose nel verso giusto. Un graffio provvidenziale che ha fatto esplodere di gioia i duemila tifosi arrivati al Mapei Stadium per sostenere la squadra e quelli spaparanzati a casa davanti il televisore. Vittoria meritata soprattutto per il grande primo tempo di dominio assoluto e che permette di rimanere in corsa verso la Champions. E' stata una dimostrazione di continuità nei risultati e di orgoglio nel raggiungerli. L'Aquila è terza in classifica e vola sempre più in alto mentre, come diceva Trilussa, tutto il resto striscia.

8 al Ciro d'Italia - E segna sempre lui. Un altro sigillo. 20 gol in 19 presenza complessive (campionato, Coppa, Nazionale) e 103 da quando è con la maglia biancoceleste. Capocannoniere della serie A. Ne volemo parlà? Ciro, si nu babà.

7 e mezzo a Lupo Alberto - Incontenibile, mago vero con i suoi giochi di prestigio. Silvan je spiccia casa e Binarelli gli lucida il portone. E non solo per l'assist vincente nei minuti di recupero, ma per le geometrie del gioco che ha disegnato. L'abbiamo detto, da quando s'è fatto nero pece come i sopraciglioni di Pavarotti e la barba dell'ispettore Schiavone-Giallini viaggia alla grande. Il Ciuffo biondo insomma non se lo ricorda più nessuno, e lui è l'unico nero che mette d'accordo tutti.

7 a Lazzari alzati e cammina - e comincia a correre come Forrest Gump per scodellare cross senza soluzione di continuità. Ha preso in parola il nostro invito e si è superato. Come il sosia imitatore di Renato Zero a Tale e quale che sembrava Panariello che imita Renato Zero. Un trionfo.

6 e tre quarti a Patric del Grande fratello - Ha giocato. Incredibile ma vero. E dato il fritto. Come Fiorello a viva Raiplay. E scusate se è poco.

6 e mezzo a Correa l'anno 1900 - Un passo indietro rispetto all'exploit col Lecce. Ha fatto vedere come sempre cose belle, come Belen per intenderci, ma è mancato quel Tucu decisivo per fare centro. Provaci ancora gaucho.

6 e mezzo ad Antonio Elia Acerbis - Il minimo sindacale. Come Amadeus ai Soliti ignoti che ormai va col pilota automatico tanto è sicuro.

6+ a Lucas 2.0 (Biglia chi?) - Forse è vero quello che sostiene qualcuno, che è non è lo stesso guerriero che si ammirava la scorsa stagione. Ma anche se fosse così, chi lo Leiva da quel ruolo davanti la difesa e dietro le punte? Chi si prenderebbe questa responsabilità? Nessuno. Statece.

6+ a Sylva Strakoshina - Come dice spesso Inzaghino "non ho visto sue parate". Ed è vero anche sto giro, tolti quei due/tre interventi di routine, si è tuffato anima e corpo nel torneo di scopone coi fotografi assiepati dietro la sua porta. Quattro scope, primiera, carte e Settebello. E andiamo. 

6 a chiedimi se sono Felipe - Sicuramente lo è perchè de cognome fa Ramos e spesso e volentieri lo scambiano col campione e nun paga la cena, per il resto se fosse più continuo sarebbe meglio. Ma non sarebbe lui..

6 a Bastos e avanzo - Nè carne nè pesce. Semplicemente nè.

6-  a Lukakau Meravigliao - Tanto fumo e poco arrosto. Avete presente Enrico Ruggeri conduttore di Una Storia da cantare?

6- veni, vidi, Lulic al 71° - Che ti succede vecchio scarpone? Te sei arrugginito come Pippo Baudo? Daje su, siamo sempre con te ma datte na oliata agli ingranaggi.

5 al Sergente -  Un altro. Come Vincenzo Mollica che senza occhiali pare la sora Lella, così lui, non più Esorciccio capace di ribaltare le sorti di un match, non più monsignor Milingo coi suoi riti salvifici anti malocchio, non più sa-sa-savic de prosciutto sto microfono. Continunado così finirà per essere degradato a soldato semplice vedendo il suo cartellino diminuire di valore in maniera direttamente proporzionale al suo rendimento. Valeva 100 milioni de cocuzze, ora se je danno vitto e alloggio è grasso che cola. Co' tutto er cucuzzaro. Sipario.



Appunti di gioco
di Roberto Taglieri

Domenica, 24 novembre 2019
Biancazzurri corsari al “Mapei Stadium”. Alla rete di Immobile nel primo tempo risponde Caputo; nella ripresa a tempo scaduto la zampata vincente di Caicedo mette la firma sulla vittoria che consente alla Lazio di espugnare il campo del Sassuolo per l’1-2 finale. In occasione della tredicesima di Serie A il calendario propone un complicato Sassuolo- Lazio. Di solito dopo la sosta i biancazzurri stentano e bene ha fatto Simone Inzaghi a dare una sveglia ai suoi, che in settimana si sono mostrati un po’ indolenti. Vanno in campo dall’inizio Patric e Luis Felipe in difesa, per il resto c’è la formazione tipo, con Correa ed Immobile. Il mister laziale però si rallegra, perché il suo omologo neroverde non può disporre né di Berardi né di Defrel. De Zerbi oggi opta per Caputo e Boga, con Djuricic a sostegno; una maglia per due tra Ferrari e Peluso alla fine spetta a quest’ultimo. A Reggio Emilia dopo un minuto di silenzio per onorare la scomparsa della consorte di Giorgio Squinzi inizia la partita con i biancocelesti subito in avanti a ritmo elevatissimo. Il tiro di Immobile al 6’ è centrale e parato da Consigli, poi anche il pericoloso diagonale di Correa è neutralizzato dal portiere. Al 15’ il tiro a girare di Luis Alberto è deviato provvidenzialmente con un allungo di Consigli, poi anche la ribattuta di Milinkovic a porta sguarnita finisce contro Immobile e il Sassuolo si salva. Più o meno alla mezz’ora, quando comincia a piovere forte, ancora Luis Alberto dentro l’area cerca la precisione ma sbaglia tutto e spedisce sul fondo. Un’ottima Lazio costruisce bene, non concede che poco o nulla agli avversari ma non riesce a buttarla dentro. Ci vuole un errore di Consigli per sbloccare la gara: infatti al 34’ sul tiro centrale di Immobile l’estremo del Sassuolo si fa passare il pallone sotto al corpo ed i biancazzurri vanno con merito in vantaggio. Il primo tiro pericoloso dei padroni di casa è di Duncan, che al 36’ manda di poco oltre la traversa. Al 43’ una splendida mezza girata di Correa è respinta dal portiere ma proprio allo scadere del primo tempo su calcio d’angolo battuto da destra, il tap in di Caputo finisce alle spalle di Strakosha e fissa la prima frazione sull’ 1-1. Dopo il riposo il Sassuolo parte forte: Duncan spara alto al 48’ma intanto Inzaghi decide di tirare fuori gli ammoniti Lulic e Luis Felipe per Lukaku e Bastos. I biancazurri paiono un po’ frastornati e non riescono a far girare palla, gli emiliani guadagnano campo ma in ripartenza al 63’ Immobile è molto pericoloso. Un tiro sbilenco di Milinkovic al 67’ è l’unica opportunità che producono i biancocelesti, che nel finale provano a pressare gli avversari ma non riescono mai a concludere in porta. Quando la partita sembrava destinata al pareggio, subito dopo il 90’ arriva il graffio della pantera. Felipe Caicedo, entrato da poco al posto di Correa riceve da Luis Alberto, controlla col sinistro, si gira e col destro batte Consigli con un diagonale preciso. E’ praticamente l’ultimo atto della partita, che si conclude così sul punteggio di 1-2. Un primo tempo ottimo, la ripresa invece così così ma per la Lazio arrivano ugualmente tre punti. Era difficile sperare nella quinta vittoria di fila, ma grazie a Caicedo ed alla scelta azzeccata di Inzaghi i biancazzurri trionfano in trasferta. Era fondamentale oggi non perdere contatto con le prime posizioni e i biancazzurri ci sono riusciti non senza soffrire; la Lazio resta terza in classifica, per ora in solitario in attesa della gara di Lecce. Sono ben 27 punti per gli uomini di Inzaghi, che possono trascorrere serenamente la settimana in attesa di preparare la prossima gara domenica prossima contro l’Udinese.   
  


SASSUOLO   LAZIO  1–2   34’ Immobile  45’ Caputo  91’ Caicedo
SASSUOLO: Consigli, Toljan, Marlon, Romagna, Peluso, Locatelli (74’ Bourabia), Magnanelli, Duncan, Djuricic (69’ Kiriakopoulos), Caputo, Boga (87’ Raspadori). All. De Zerbi
LAZIO: Strakosha, Patric, Felipe (49’ Bastos), Acerbi, Lazzari, Leiva, Milinkovic, Luis Alberto, Lulic (49’ Lukaku), Correa (78’ Caicedo), Immobile. All: Inzaghi
Arbitro Chiffi

venerdì 22 novembre 2019

Cremonini "Al telefono", il nuovo disco

di FRANCESCO TRONCARELLI



Ascoltare Cesare Cremonini fa bene, la sua musica riconcilia con lo spirito, allontana dai problemi della quotidianeità assicurandoti un benessere interiore. Mai banale in quello che scrive, riesce a far viaggiare la mente su note che ti entrano dentro e ti scuotono nel profondo

E' l'autore più preparato del panorama artistico italiano attuale, la sua crescita da quando esplose con la celebre Vespa 50 special è stata semplicemente unica. Talento, creatività e padronanza della scena sono tutti aspetti della personalità di un numero uno assoluto.

"Al telefono" il singolo che anticipa la raccolta "Cremonini 2C2C The Best Of" in uscita a fine mese e che celebra i 20 anni di attività dell'artista bolognese, è un brano che emoziona e ti avvolge ed è un pezzo che ci voleva per far capire a chi magari avesse dei dubbi, magari per la giovane età, che la musica, la vera musica non è quella di chi strimpella o blatera parole grevi, ma è quella come questa, ariosa, intensa, fluida. 

Quello di Cremonini è un discorso musicale coerente, in linea con le sue passioni e la sua storia che continua, ampliando i propri orizzonti in modo esponenziale. Il rimbalzare tra passato e presente che emerge nelle melodie e nell'arrangiamento del nuovo brano, trova una sua corrispondenza nel testo.

La canzone ha una stuttura irregolare, con un crescendo, un passaggio voce e archi, un altro crescendo in cui agli archi si aggiungono pure i fiati. Poi quella sontuosa coda strumentale che, sa mettere d’accordo il meglio della produzione anni 70 italiana e internazionale con l’attualità del tema proposto.

Echi di Battisti ma anche di Bacarach aleggiano in questo disco arricchiti da suoni contemporanei che confermano la frequentazione con l'attualità musicale. Il tutto è rielaborato con la sua personalità, nel suo stile da virtuoso del piano e in questo contesto il telefono, appendice del nostro corpo, è scelto come specchio e prigione delle nostre poche certezze. E' lo strumento di comunicazione più classico e al tempo stesso più contemporaneo di quelli che ci sono.

"Al telefono" è una canzone incentrata sul concetto della separazione ma anche sulla sopravvivenza in questi tempi in cui l’amore resta intrappolato nelle librerie fotografiche degli smartphone che sono la nostra memoria emotiva.

Cremonini due anni dopo "Poetica", il pezzo che anticipava "Possibili scenari", torna a stupire con un pezzo più complesso del solito, dalla composizione stratificata, eppure diretta e melodica, del resto lui è un fanatico delle sfumature che danno profondità ai suoi brani e che ne costitusicono la cifra più accattivante.

La canzone parte con voce e sintetizzatori, per poi aprirsi con piano ed archi: "Fammi una fotografia, tienila per sempre nel telefono in mezzo alla pornografia e a tutti quei sorrisi che si sprecano, al telefono...".

"Al telefono" è uno dei sei inediti contenuti all'interno del cofanetto che sarà fuori il prossimo 29, insieme a "Se un giorno ti svegli felice", "Giovane stupida", "Ciao", "Amici amici" e "How dare you?", quasi un album di questa raccolta che contiene anche demo originali, versioni alternative di alcuni successi di Cremonini e brani strumentali e le versioni pianoforte e voce di 16 brani.

Tra le varie sorprese contenute nel cofanetto c'è anche la registrazione della cover di "L'anno che verrà" di Lucio Dalla che Cremonini fece ascoltare durante il suo concerto allo stadio Dall'Ara di Bologna lo scorso anno e quella del concerto "Una notte al piano" al Teatro Antico di Taormina nell'estate del 2013. Tutti i brani strumentali composti dal cantautore nel corso della sua carriera sono stati rimasterizzati.

giovedì 21 novembre 2019

Sleep Walk, 60 anni di un boom


 di FRANCESCO TRONCARELLI


Ci sono brani che superano la generazione di riferimento arrivando ai giorni nostri con la stessa freschezza del primo ascolto. Sono di ieri, ma funzionano ancora oggi. "Sleep walk" del mitico duo formato da Santo e Johnny che esattamente 60 anni fa era primo nella classifica più ambita del mondo, la Chart americana, è uno di questi.

E' un pezzo strumentale dalla storia incredibile, ha iniziato come disco ideale nelle feste in casa dei ragazzi degli anni 60, era il lento da mattonella più suonato, per poi spiccare il volo della popolarità e diffusione come ideale sottofondo musicale delle sale d'aspetto degli areoporti internazionali e delle stazioni delle grandi città (come si usava una volta), di pubblicità di ogni tipo e di documentari sui più svariati argomenti.  

Un brano insomma che si è acoltato ovunque e che è diventato uno standard internazionale, rilanciato e riproposto nel tempo da una serie innumerevole di artisti e gruppi musicali, tra cui Chet Atkins, i Ventures, Fausto Papetti, gli Shadows, Herb Alpert & The Tijuana Brass, Al Caiola, Paul Mauriat, gli Indios Tabajaras, Richard Clayderman, Jeff Beck, Carlos Santana, gli Stray Cats e Al Kooper.

Vanta poi anche un record difficilmente eguagliabile, quello di essere stato inserito ovviamente nella versione originale incisa dai due fratelli italoamericani, in oltre quaranta film, tra cui, citando a caso "La Bamba" di Luis Valdez, "Adua e le compagne" di Pietrangeli con Simone Signoret e Marcello Mastroianni, "All I Want For Christmas" con Cher e "Sleepwalkers" del mago del brivido Stephen King.

Un successo così clamoroso, che successivamente alla sua prima incisione come pezzo solamente strumentale, ha avuto la novità dell'aggiunta di un testo, allargando così ulteriormente il suo campo di diffusione ma anche di sfruttamento da parte dei cantanti, Petula Clark, The Supremes e Reneee Olstead ad esempio, che si sono trovati una hit da poter incidere per arricchire il proprio repertorio.


Santo e Johnny a 20 anni primi nel mondo

Ma cosa ha di così intrigante questo brano che i giovanissimi fratelli Santo e Johnny Farina, nati a Brooklyn da una coppia napoletana emigrata in America scrissero una vita fa? Sicuramente la melodia accattivante e coinvolgente che seduce chi ascolta e soprattutto l'atmosfera che la steel guitar o "chitarra hawaiana" usata da Santo, evocava. Un sound particolare che rimanda direttanente a mete esotiche e paesaggi da cartolina che fanno sognare. Come la canzone appunto.

Considerato dagli addetti ai lavori un caposaldo del rock and roll strumentale che ha attraversato i generi ispirando artisti come John Lennon per "Free is a bird" e George Harrisson per la stupenda e ipnotica "Marwa Blues", “Sleep Walk”, ovvero camminare nel sonno o "Sonnambulo" come venne intitolata nella versione col testo, è stato Disco d'oro e primo in classifica per settimane nella Billboards Top 40 di 60 anni fa.

Era stato pubblicato da un'etichetta locale nell'estate del '59 e venne rilanciato da un DJ radiofonico che la propose ad una major, la Canadian American Records, la casa discografica mise subito sotto contratto il ventenne Santo con la sua Fender Lap Steel e il sedicenne Johnny con la sua Gibson. Il disco a quel punto venne prodotto e arrangiato da Don Costa (stesso produttore-arrangiatore di Frank Sinatra e futuro padre di Nikka), ed inciso nuovamente. E cominciò a volare.

Nacque così il duo che avrebbe calcato i palcoscenici di tutto il mondo, nato peraltro, da un intuizione del padre Antonio che spinse i figli a lasciar perdere i mandolini che giravano fra i paisà della Little Italy, per puntare con le chitarre hawaiane dal suono così magico. A "Steep walk" fecero seguito altri singoli e numerosi album che raccoglievano soprattutto brani easy listening come "The Enchanted Sea", "Maria Elena", "Pulcinella" e le colonne sonore come quelle dei film di 007.

Il Padrino, un milione di 45 giri

Pezzi vendutissimi che le loro chitarre magiche esaltavano e che trovavano la naturale collocazione nelle cassette da inserire nelle macchine e nei commenti sonori di reportage e servizi televisivi. Negli anni Settanta i due funamboli del sound hawaiano sono stati molto popolari anche in Italia dove, prodotti da Federico Monti Arduini (noto anche come Il Guardiano del Faro), registrarono molti dischi con gli arrangiamenti dell'ex Ribelle del Clan Celentano Natale Massara.

Tra questi la loro versione della colonna sonora del film campione del botteghino del 1973 "Il padrino", con Monti Ardini che li accompagnava con l'organo e Massara con il piano. Un'esecuzione di Santo e Johnny che fece centro conquistando il Disco d'oro con oltre un milione di copie vendute e che stracciò le versioni cantate di Johnny Dorelli, Gianni Morandi e Ornella Vanoni.

L'anno successivo un altro exploit con la colonna sonora di "Piedone lo Sbirro" scritta dai fratelli Guido e Maurizio De Angelis, che divenne un vero e proprio tormentone dell'anno e pezzo d'introduzione delle partecipazioni televisive di Bud Spencer.

Attivo per tutto il decennio, il duo si sciolse nel 79. Da allora Santo, 82 primavere sulle spalle da poco, si gode la meritata pensione al sole della California, mentre Johnny che ha continuato per anni a esibirsi come solista e ad incidere dischi, è attualmente in tour per i 60 anni di "Sleep walk".

Dimenticati dai televisivi "Migliori anni" e trasmissioni analoghe che rilanciano il vintage d'autore, hanno comunque goduto di un nuova popolarità nel nostro paese grazie a Fiorello. Lo showman nella sua Edicola infatti ha ribattezzato ironicamente coi loro nomi, due posteggiatori da ristorante, rifacendo lui stesso la chitarra hawaiana con la bocca. Ma era tutta un'altra musica... 


lunedì 18 novembre 2019

Quando la vita era "Happy days"

di FRANCESCO TRONCARELLI


Fonzie e compagni si ritrovano e nel web esplode l'entusiasmo. 45 anni fa il primo epsisodio della mitica serie. La storia e gli interpreti di un telefilm che ha fatto epoca


E' stata sufficiente una loro foto per fare impazzire i social e scatenare le agenzie di stampa che hanno rilanciato la notizia della loro reunion. Ron Howard, Henry Winkler, Don Most, Anson Williams e Marion Ross, ovvero Richie Cunningham, Fonzie, Ralph, Potsie e Marion Cunningham di "Happy days" tutti insieme appassionatamente per celebrare la messa in onda della prima puntata della serie, trasmessa nel 1974. E per ricordare chi non c'è più, Tom Bosley che nella serie era il padre di Richie ed Erin Moran che era la sorella Jonie, quella che Fonzie chiamava affettuosamente "Sottiletta".

L’occasione di questo incontro speciale è stata la serata organizzata per raccogliere fondi per mantenere aperto il teatro fondato a Los Angeles da Gary Marshall, il regista della serie che ha fatto epoca ma anche di pellicole come "Pretty woman" con Richard Gere e Julia Roberts, e che è stato intitolato a lui dopo la sua scomparsa nel 2016.


Ron Howard ha postato su Instagram un selfie dei protagonisti della mitica serie che, neanche a dirlo, ha raccolto migliaia e migliaia di like e condivisioni. Un vero e proprio salto nel passato, un tuffo al cuore dele emozioni di tanti, con moltissimi fan di allora che hanno persino chiesto se sarà mai possibile un revival della sit-com più amata da più di una generazione .

il selfie di Ron Howard
Andata in onda in prima visione negli Stati Uniti d'America dal 15 gennaio 1974 al 24 settembre 1984 sul network TV ABC, "Happy Days è una situation comedy televisiva statunitense di grande popolarità e successo che poi è stata trasmessa dalle televisioni di tutto il mondo. In Italia arrivò nel settembre 1977 e andava in onda prima delle previsioni del tempo di Bernacca e del Telegiornale delle 20 sull'allora Primo canale della Rai, dove terminò con l'ultimo episodio nel 1987.

La serie era stata creata da Garry Marshall e presentava una visione idealizzata della vita negli USA negli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta. 224 episodi da 24 minuti ciascuno per complessive 11 stagioni ambientati a Milwaukee nel Wisconsin e introdotti dalla frizzante sigla interperata da Pratt & Mc Clain e imperniati sulle vicende quotidiane della famiglia Cunningham.

Vi viene rappresentata la vita, la cultura, la musica, l'esilarante e ingenuo divertimento di quegli adolescenti statunitensi che stavano vivendo il "Sogno Americano", l'amicizia, l'amore pudico e lo stile di vita di quell'epoca compresa fra la fine della guerra di Corea e la vigilia di quella del Vietnam.

Un racconto un po' stereotipato in cui viene presentato il modello dell'American Way of Life nei suoi aspetti più positivi attraverso le innumerevoli avventure di Richie e amici che si svolgono nella provincia americana, storie in massima parte incentrate sui problemi del passaggio dall'adolescenza alla maturità con ovviamente i rapporti con se stessi e con l'altro sesso, affrontati comunque con leggerezza e ironia. Le chiavi del successo della serie.

il cast di Happy Days
La famiglia Cunningham è composta da Howard (Tom Bosley), proprietario di un negozio di ferramenta, da sua moglie Marion (Marion Ross), casalinga, e dai figli Charles detto "Chuck", Richard detto "Richie" (Ron Howard) e Joanie (Erin Moran). Il figlio maggiore Chuck appare sporadicamente nel cast solo durante la prima e la seconda stagione (interpretato da due diversi attori, Gavan O'Herlihy e Randolph Roberts), per poi scomparire senza spiegazioni, lasciando solo i due figli minori in età adolescenziale.

Il quadro è completato dai migliori amici di Richie, Ralph Malph e Warren Webber "Potsie" (in particolar modo il secondo avrà dapprima un ruolo maggiore del primo, in quanto sarà identificato nelle prime puntate come il "miglior amico" di Richie e inizialmente sarà l'unico dei due a comparire nella sigla iniziale), e soprattutto da Arthur Fonzarelli, detto "Fonzie" (o anche The Fonz nella versione originale), meccanico rubacuori con più di un riferimento a James Dean, che all'inizio della terza stagione andrà a vivere in un piccolo appartamento ricavato sopra il garage dei Cunningham.

Nato come tipico duro degli anni Cinquanta, il personaggio di Fonzie interpretato da Henry Winkler che avrebbe dovuto avere un ruolo marginale nel telefilm per dare un tocco di realismo maggiore,  visto il successo che riscosse presso il pubblico, si trasformò ben presto quasi in un membro della famiglia Cunningham, che fa da mentore a Richie grazie alla sua maggiore esperienza.


Amici per sempre
Amata, rimpianta, oggetto di culto e con tanto di pagine dedicate sui social, Happy Days è stato un successo travolgente e indimenticabile per milioni di spettatori e il selfie scattato da Ron Howard, oggi regista tra i più apprezzati a livello internazionale (tra i tanti "Beautiful Mind", "Il Codice da Vinci", "Angeli e demoni" e "Pavarotti" appena uscito), lo dimostra. Quello scatto ha fatto il giro del web come dicevamo, provocando il classico effetto amarcord nei fan e nei patiti della mitica serie americana.

Sembra passata un'era geologica da allora perchè oggi tramite Netflix e YouTube tutto è a portata di clic, si può vedere infatti ciò che si vuole e soprattutto in qualsiasi momento della giornata. All'epoca, invece, quell'attesa che precedeva la messa in onda prima del telegiornale dei grandi, era carica di emozione e faceva gustare ancora di più l'episodio della giornata. 

Chissà poi quante accuse di sessismo riceverebbe oggi quello sciupafemmine di Fonzie in chiodo di pelle alla Marlon Brando, al quale peraltro la cittadina di Milwaukee ha persino dedicato una statua, ma ormai è tutto passato in prescrizione e sono molte comunque le ragazze di ieri che lo continuano ad accettare così come era senza porsi tanti problemi ricordando con simpatia le sue smargiassate più comiche che realistiche.  

la reunion
Ma il boom di questa foto che ha riacceso entusiasmi e passioni mai sopite non è dato solo dal ricordo di una serie che ha accompagnato l'adolescenza, in quei capelli bianchi e quelle rughe degli attori ci sono anche, chi più chi meno, i capelli bianchi e le rughe dei ragazzi di ieri che li vedevono nel piccolo schermo, c'è il ritrovarsi dopo tanto tempo come nei "Compagni di scuola" di Verdone in una rimpatriata.

Tutti quelli che sono cresciuti con loro, si rispecchiamo nei nostri eroi a stelle e a strisce ritratti in questo selfie un po' irriconoscibili come il leggendario Fabris, un po' sbruffoni come il Tony Brando De Sica/Fonzie, un po' saggi come il compassato Ritchie, ma in ogni caso inguaribilmente nostalgici di una stagione della vita quando i pensieri non esistevano, tutto si risolveva e i giorni erano sempre felici davanti la tv.



 

venerdì 15 novembre 2019

Lucio Battisti, numero uno anche su Spotify

di FRANCESCO TRONCARELLI


Forse la musica non è finita come presagiva Califano in quella canzone scritta per Bindi e la Vanoni in un Sanremo storico, forse quei testi grezzi e violenti di quelli della Trap per nostra fortuna non prevarranno nella colonna sonora delle nostre vite. Fra i millenials e i trentenni di oggi c'è ancora chi insegue la melodia e sogna con la poesia, facendoci sperare che il bello nelle sette note non debba finire miseramente ma continuare ad emozionare. I numeri ci dicono questo. 

Dai dati comunicati dallo staff di Spotify, sono oltre 20 milioni di ascolti streaming per un totale di 1.339.014 ore fruite, i numeri raggiunti fino ad oggi da Lucio Battisti su questa piattaforma dallo scorso 29 settembre, quando cioè le canzoni e gli album realizzati in coppia con Mogol sono approdati online. 

Già nelle prime 24 ore dal lancio, sedici brani erano arrivati nelle top 200 di Spotify scavalcando tutte le più importanti e note popstar del momento. Ora sappiamo che "Il mio canto libero" è la canzone che ha più appassionato gli utenti, superando 1 milione di ascolti da parte di fan in tutto il mondo e di tutte le generazioni.

Al secondo troviamo "Mi ritorni in mente" con oltre 900mila streaming al terzo "La canzone del sole" con oltre 800mila. La prima di queste canzoni più intensa e di grande atmsofera, la seconda più coinvolgente con il suo ritmo trascinante, la terza più mainstream per la semplicità degli accordi, è nota infatti per essere tra quelle canzoni che s'imparano per prime da chi inizia a suonare la chitarra

i dieci brani più cliccati su Spotify
I dati da analizzare però, non si fermano qui, è interessante valutare anche quale sia stato l’impatto dell'artista laziale su quelle generazioni che utilizzano Spotify per ascoltare tutt’altro genere di musica. E quello che si deduce è che l’esperimento è andato benissimo e che quello che Mogol si auspicava, da protagonista di questa battaglia per portare Battisti finalmente online, si sia avverato.

La fascia più interessata alla riscoperta della musica del duo Battisti Mogol è proprio quella che va dai 18 ai 24 (24,79%), viene poi quella dai 25 ai 29 (22,89%) e quella dai 30 ai 34 (15,19%), insomma oltre il 62% degli ascoltatori di Battisti sono under 35, il che se da un lato il dato esclude un sentimento prettamente nostalgico nei confronti della sua musica, dall’altro ne conferma, anche se non ce n’era ovvviamente bisogno, la sua intramontabilità. 

Nello specifico, ecco le fasce di età di ascolto in Italia: anni dai 18-24: 24.79%, dai 25-29: 22.82%, dai 30-34: 15.19%, oltre i 55 anni: 11.71%, dai 45-54: 9.15%, fino ai 17 anni: 1.18%. 

Lucio Battisti inoltre con lo streming è uscito dai confini italiani, raggiungendo Paesi vicini, come il Regno Unito, la Germania e la Svizzera e lontani come gli Stati Uniti e l’Australia. Per il Bel paese invece è Milano a quanto risulta la città italiana dove l’arrivo di Battisti su Spotify era più atteso. A seguire, lo troviamo nelle strade di Roma e nei vicoli di Napoli, ma non si è fermato lì, toccando l’Italia da nord a sud con, in ordine di preferenze via web, Torino, Bologna, Firenze, Genova, Brescia, Padova e Verona

I due lati del 33 giri
Ecco la top 10 dei brani di Battisti più ascoltati su Spotify nel mondo:
1.   "Il mio canto libero"
2.   "Mi ritorni in mente"
3.    "La canzone del sole"
4.    "Un'avventura"
5.    "I giardini di marzo"
6.    "29 settembre"
7.    "Acqua azzurra, acqua chiara"
8.    "Con il nastro rosa"
9.    "E penso a te"
10.  "La collina dei ciliegi"


"Il mio canto libero" è considerato un classico della musica leggera italiana ed è spesso trasmesso alla radio anche a distanza di decenni dalla sua prima pubblicazione avvenuta nel 1972. Il testo del brano ha spunti autobiografici, Mogol lo scrisse dopo la separazione dalla moglie e l'incontro con la nuova compagna, la pittrice e poetessa Gabriella Marazzi, insieme a cui acquistò un mulino (trasformato poi nello studio di registrazione Il mulino) e un vecchio cascinale («ricoperto dalle rose selvatiche») in cui andò ad abitare.

Settimo album della produzione del cantante, fu registrato negli studi di registrazione Fonorama di Milano, di proprietà di Carlo Alberto Rossi. Il 33 giriesce nel periodo di massimo successo del duo Battisti / Mogol e contiene 8 pezzi: "La luce dell'est", "Luci-ah", "L'aquila","Vento nel vento", "Confusione", "Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi", "Gente per bene e gente per male", "Il mio canto libero".

Si tratta di un album a tratti musicalmente elaborato, i cui testi toccano vari argomenti, dall'amore alla morte ad una forma di protesta non sempre avvertibile. Nel brano "Gente per bene e gente per male" ricorre uno stilema molto utilizzato dalla coppia, cioè il dialogo. Ma mentre solitamente l'interlocutore è lo stesso Battisti, in questo caso la risposta è data da un coro femminile.
il 45 giri
L'immagine di copertina raffigura delle braccia alzate su sfondo bianco, mentre l'immagine interna gambe e piedi nudi. Le fotografie furono realizzate dal fotografo Cesare Montalbetti, il fratello di Pietruccio, il frontman dei Dik Dik sempre col cappello da cowboy, che ha ricordato:

«Radunai una cinquantina di amici. Feci sdraiare tutti a terra e chiesi loro di alzare le braccia. La cosa più divertente avvenne per lo scatto della parte interna della copertina. Faceva freddo, ma pregai tutti di rimanere scalzi; alcuni, i più bassi, si tolsero i pantaloni restando in mutande.  Peccato non aver fatto una foto a figura intera, sarebbe risultata esilarante. Il vero progetto non fu mai concretizzato perché l'idea si sarebbe dovuta completare stampando le due immagini su carta trasparente, così che, estraendo il disco, le mani avrebbero toccato i piedi».
 
Da esso verrà estratto apppunto il singolo "Il mio canto libero/Confusione" che rimase al primo posto della classifica italiana per undici settimane non consecutive fra il gennaio e l'aprile del 1973, risultando l'album più venduto in Italia del 1973. Solo nel giro iniziale di distribuzione vendette 450 000 copie. E' un brano ricco di riferimenti alla libertà della persona, all'amore e all'ipocrisia di una società moralista esaltato da una musica coinvolgente e di grande atmosfera.

Battisti e la Formula 3

A partecipare all'incisione del brano in cui Battisti suona chitarra e pianoforte, parteciparono gli ex Ribelli del Clan Celentano Gianni Dall'Aglio alla batteria e Angel Salvador al basso, Tony Cicco, Alberto Radius e Gabrile Lorenzi della Formula 3,  l'ex dei Camaleonti Mario Lavezzi alla chitarra e il maestro Gian Piero Reverberi che curò anche l'arrangiamento del pezzo.

Oltre la versione originale in lingua italiana, esistono versioni del brano cantate da Lucio Battisti in lingua spagnola (Mi libre canción), in lingua inglese (A song to feel alive) e in lingua tedesca (Unser Freies Lied). La versione in lingua inglese fu inserita nell'album Images, destinato al mercato statunitense.


lunedì 11 novembre 2019

Peppino di Capri, ecco il nuovo album

di FRANCESCO TRONCARELLI
 

Bagno di folla per l'artista alla Feltrinelli di Napoli per la presentazione del nuovo Cd. Dieci inediti fra tradizione e nuove sonorità con la sorpresa di un pezzo in inglese alla Sinatra


Luci spente, silenzio in sala, un riflettore illumina Peppino di Capri al piano e lui, emozionato e ad occhi chiusi sussura "Balliamo, è da tanto tempo che non lo facciamo". Così, con l'omaggio all'amico Fred Bongusto è iniziato l'instore dello chansonnier napoletano alla Feltrinelli di Napoli. Un tributo sentito che ha confermato la sua signorilità e il suo essere partecipe nel modo più consono e diretto a un dispiacere provato da tutti.

Ma l'umanità di questo cantante è nota come la sua classe d'artista di razza che ha anticipato e cavalcato mode e modi restando sempre al passo coi tempi con la sua musica coinvolgente e la sua voce inconfondibile che col tempo è migliorata, profonda e avvolgente da grande crooner.

Caratteristiche che si possono riscontrare nel nuovo album "Mister Peppino di Capri" appena pubblicato e che chi scrive ha avuto modo di presentare nel megastore napoletano insieme al suo interprete, in un piacevole ed interessante incontro davanti a un parterre entusiasta (tutto esaurita la sala grande con posti in piedi e persone assiepate addirittura sulle scale d'accesso) che non si perso una nota e una parola del tutto.


Due ore di musica e racconto su come è nato l'album, alternati all'ascolto dei pezzi in anteprima e a riferimenti ed aneddoti sulla sua carriera che abbiamo ripercorso per la soddisfazione dei fan e con il contributo di autori del calibro di Salvatore De Pasquale, nel mondo dello spettacolo noto a tutti come Depsa e il maestro Mimmo di Francia, autori tra i tanti brani per lui, di "Champagne" il brano divenuto la signature song di Peppino di Capri e che hanno firmato due pezzi del nuovo album.

Un disco bello che colpisce al primo scolto e che alterna ballad romantiche e dalla melodia accattivante ("Barcellona 36" di Bobocic e "Alianti" di Buongiovanni e Hueber) a pezzi ritmati secondo sonorità più attuali (il pezzo firmato dagli Audio 2), brani al tempo di samba ("Amica mia" di Di Gennaro e Serretta) a canzoni che ti entrano dentro come la struggente "Vorrei rivivere" scritta dal bravo Francesco Serino che apre il Cd, ispirata chiaramente alla vicenda umana del suo interprete, che non a caso ha voluto dedicare alla moglie Giuliana scomparsa recentemente questo lavoro che lei aveva visto delinearsi in fase di progettazione.

L'album è nato sulla scia dei due sold out al Teatro San Carlo per i 60 anni di carriera dell'artista napoletano e dimostra che Peppino, nonostante i capelli bianchi, come ricorda in una delle canzoni, sia sempre sul pezzo, capace di essere al passo coi tempi non solo nelle musiche che ha composto ma anche nei testi ("L'ultima stella" nata dopo un selfie in Piazzetta a Capri), e naturalmente anche nella incisione, curando con passione artigianale, arrangiamenti, programmazione e registrazione. Di Capri insomma mette il cuore in quello che fa e i risultati si vedono. E si sentono soprattutto.


Come nel pezzo firmato da Francesco Scotto Rosato "L'ammore fa accussì", dove si rivive l'atmosfera da piano bar e di quelle stagioni in cui la notte faceva da sfondo ad innamoramenti e amori che in tanti hanno vissuto e che molti vorrebbero rivivere.

Il cuore poi Di Capri lo mette nel brano che Depsa gli ha voluto regalare (il 52/simo brano per lui!) e alla loro città, una canzone che è una piccola gemma destinata a illuminare la nostra musica leggera e scaldare i cuori di chi ama la poesia in musica: "L'ammore è nato a Napule". Un titolo che è un manifesto dell'amore nei confronti di una città da sempre palcoscenico della vita e dei sentimenti che la animano.

Ultimo, ma non l'ultimo pezzo del Cd, un brano di ampio respiro, alla Sinatra, supportato da una musica molto trascinante composta proprio da lui, Giuseppe Faiella, il nome con cui è registarto all'anagrafe di Capri il nostro interprete, e che a sorpresa viene cantata in inglese, s'intitola "You".


Un ritorno alle origini per Peppino, quando incideva i primi brani in questa lingua facendo colpo sui giovani degli anni 60 ma soprattutto un recupero di un brano che da tempo non eseguiva nei concerti ed esibizioni varie. "You" infatti è la versione riarrangiata e appunto in inglese di "Tu" di Mimmo di Francia con cui Di Capri partecipò al Festival di Napoli del 1969 classificandosi quarto.

50 anni dopo, tirata a lucido in questa versione all'americana, torna più fresca che mai dimostrando così che quando le canzoni sono belle, reggono comunque l'usura del tempo e possono sembrare addirittura nuove per chi all'epoca del lancio per motivi anagrafici non c'era ad ascoltarle alla radio o al juke box.

E le canzoni di Mister Peppino di Capri che hanno fatto la storia del nostro pop il tempo lo reggono sicuramente. Lo sanno tutti. Figurarsi queste appena pubblicate.


domenica 10 novembre 2019

La Lazio cala il poker ai giallorossi. Le Pagelliadi

di FRANCESCO TRONCARELLI


8 e mezzo a Sylva Strakoshina - La Lazio ha calato il poker ai giallorossi del Lecce (e a quelli dell'altra sponda), vincendo con merito una partita che l'ha proiettata al terzo posto in classifica. Naturalmente ci sono state le solite amnesie difensive che tengono in allarme le coronarie della gente laziale. Ma tant'è, la volontà di portare a casa i tre punti c'era ed ha prevalso, lo si era capito nello spumeggiante assalto inizale ed ovviamente nel corso del match con belle triangolazioni e azioni manovrate. Copertina d'obbligo al numero uno biancosceleste, autore di un paio di interventi determinanti e soprattutto capace dire no con la sua prontezza di riflessi, a un rigore farlocco che avrebbe potuto cambiare le sorti della partita. Quarta vittoria consecutiva dunque ed ora più che mai avanti Lazio e, alla maniera di Peppino di Capri, possiamo dire "cameriere Champagne".

8+ a Correa l'anno 1900 - Il suo Tucu questa volta non è stato solo decisivo, ma de più. Due gol tutti insieme per uno come lui che spesso e volentiri se li magna è certamente un evento, tipo Fiorello che nel quarto d'ora a sua disposizione per pubblicizzare la sua nuova trasmissione su Raiplay, ha dato lezione a tutti i conduttori dello spettacolo. E così lui che è un fuoriclasse ha dato lezione a tutti quelli che amano il calcio e specialmente la prima squadra della Capitale. Bello de casa, ti vogliamo così.

8 al Ciro d'Italia - E segna sempre lui. Siamo a 102. E smista palle d'oro pure. Leggi l'assit per il gol del compagno di merende di sopra. Che volete di più?

7 e mezzo al Sergente - C'era una volta l'Esorciccio, un po' monsignor Milingo un po' sa-sa-sa prova microfono Savic (vedi collezione Pagelliadi), un giocatore che spesso e volentieri nonostante avesse tre nomi non ne azzaccava una. Adesso l'azzecca, anche più d'una. Magari dorme un po' come un telespettaore di Marzullo davanti al suo programma, poi però si sveglia e sale in cattedra. E so' dolori per gli avversari.

7+ a Lupo Alberto - Quando gira lui girano tutti. E se je girano poi, il risultato è assicurato. C'era una volta il Ciuffo biondo che fa(ceva) impazzire il mondo, da quando s'è convertito al nero pece alla Marco Giallini alias Ispettore Schiavone o se preferite alla sopracciglioni di Pavarotti o Al Bano, tinti veri dello spettacolo, è migliorato. Sarà l'effetto novità, come per la Carneade per il grande pubblico Lidia Schillaci, certo è che il suo è l'unico nero su cui sono tutti d'accordo.

7 a Massimo De Cataldi - Come il suo omologo di Tale e quale che con Johnny Dorelli ha dato spettacolo, così lui, è entrato in corsa e ha portato avanti il baricentro della squadra. E non è poco se considerate che i problemi ce li abbiamo dietro. Come Belen, ma lei però col lato B ha costruito una fortuna.

6 e mezzo ad Antonio Elia Acerbis - Un lancione sul piede del graduato che vale tutta la sua prestazione. Come l'acuto di Emma Marrone quando canta.

6+ a Lazzari alzati e cammina - E datte da fa de più. Non si sono visti infatti quei cross che ultimamente l'hanno reso celebre come Vincenzo Salemme beneficiato da Carlo Conti dopo una vita in seconda fila.

6+ a veni, vidi, Lulic al 71° - Tanto arrosto e poco fumo. Avete presente Panariello quando imita Renato Zero?

6 a Patric del Grande fratello - Tanto fumo e poco arrosto. Avete presente il mago Forrest?

6 a chiedimi se sono Felipe - Te lo vorremmo chiedere, ma è meglio evitare. Le sviste da centrale dominante pesano e l'esperimento si può dire non riuscito. Ma era scontato, perchè la difesa biancazzurra è come quel principio della matematica: cambiando l'ordine dei fattori il risultato non cambia. Appunto.

5 e mezzo a Lucas 2.0 (Biglia chi?) -  Una cosa impensabile, è stato sostiuito. Come Salvini da Conte. Lui che dava le carte. Impensabile appunto.

5 e mezzo a basta Bastos - In cinque minuti ha dato il meglio di sè. Quando ha dato il via all'azione del 4 a 1, quando quella del pussa via sul 4 a 2. Cinque minuti e poi, cantava Maurizio Arcieri negli anni 60 in tempi non sospetti. Aveva previsto tutto.

5 a striscia la Berisha - Un po' Oscar Lopez, un po' Luzardi con una spruzzatina di Vignaroli, è entrato nel finale combinando subito due cappellate, una dopo l'altra. La conferma che la sua storia nella Lazio è un film dell'orrore. Non a caso sembra che il mago del brivido Dario Argento lo voglia chiamare per il prossimo thriller che girerà dal titolo emblematico e che è tutto un programma, "La paura nei suoi piedi". Perchè come tocca palla so' dolori de panza e dintorni. Sipario.




Appunti di gioco
di Roberto Taglieri

Domenica, 10 novembre 2019
Vittoria rotonda quella della Lazio contro il Lecce. All’Olimpico nel primo tempo al gol di Correa risponde Lapadula per il momentaneo 1-1, nella ripresa Milinkovic, Immobile ed ancora Correa fanno poker, mentre Lamantia accorcia solo nel finale per il definitivo 4-2. Per la 12 sima di campionato, dopo il tonfo interno di Coppa, per i biancazzurri c’ è il Lecce dell’ex Fabio Liverani, che oggi non può disporre di Farias e Tabanelli infortunati. Il mister giallorosso però ritrova Tachtsidis a centrocampo; Falco è indisponibile, per cui Babacar e Lapadula giocano insieme. Inzaghi invece, poiché mancheranno sia Marusic che Radu, in difesa ripropone Patric e Luis Felipe con Acerbi a sinistra, mentre davanti ci sono Correa ed Immobile. Proprio Correa subito al 1’ fa scaldare Gabriel, poi fa altrettanto Luis Alberto e la Lazio con un grande pressing sembra voler far sua la partita già nei primi minuti. Invece il Lecce con Babacar al 5’ in ripartenza impegna Strakosha in una parata a terra. Sempre Babacar al 14’ ricerca una conclusione bloccata dal portiere laziale, poi Mancosu si ritrova davanti al portiere ma spara altissimo una facile opportunità. I ritmi molto elevati del prologo pian piano scemano, resta comunque alla Lazio il possesso del centrocampo. Alla mezz’ora i biancazzurri passano: il passaggio filtrante di Luis Alberto è perfetto per Correa, che davanti alla porta la butta dentro con freddezza per l’1-0 che sblocca il risultato. Immobile al 34’ sfiora il raddoppio, ma trova ancora Gabriel, poi anche Lazzari approfitta di un rimpallo ma non inquadra la porta. Al 40’ però, su angolo battuto dalla sinistra Lapadula riesce a trovare un varco enorme per l’assoluta mancanza di marcatura e sigla un facilissimo pareggio. Luis Alberto si divora il 2-1 sparando altissimo un calcio di rigore in movimento al 43’ e la Lazio chiude il primo tempo con una punizione sulla barriera di Milinkovic. Nella ripresa Luis Alberto prima di piede, poi di testa non vede lo specchio e mentre esce Leiva per Cataldi, Strakosha fa un miracolo sul colpo di testa improvviso di Babacar. Al 55’ l’incornata di Milinkovic è fuori, ma il serbo aggiusta la mira al 61’: il cross di Acerbi è misurato per la sua deviazione di destro, che fa fuori Gabriel e la Lazio si riporta in vantaggio.  Passano 3’ e Manganiello assegna un rigore per un fallo su Mancosu, che in realtà si butta in terra senza essere spinto. Batte Babacar di potenza ma si fa parare il tiro, sulla respinta riprende Lapadula ma il suo gol viene annullato e si rimane sul 2-1. Al 74’ Luis Alberto tira forte ma il pallone è sul fondo di pochissimo; arriva però un altro rigore, stavolta a pari invertite con Immobile che fa carambolare un tiro sulla mano di Calderoni. Va alla battuta sempre Ciro Immobile che spiazza Gabriel e sigla il tris, che diventa poker quando il bomber laziale serve Correa, che di sinistro dal basso in alto buca ancora la porta leccese all’80’ con un gran tiro. Il nuovo entrato La Mantia all’84’ accorcia le distanze deviando in rete un cross di Petriccione, poi Strakosha è di nuovo protagonista sul tiro a botta sicura di Tacthsidis. Con il Lecce in avanti e sulla parata strepitosa sulla linea di Strahosha su La Mantia finisce la partita, che vede sorridere i biancazzurri, meritatamente trionfatori. Era una gara da vincere a tutti i costi e la Lazio stavolta ce l’ha fatta alla grande. Quarta vittoria consecutiva e biancocelesti momentaneamente al terzo posto a pari merito con il Cagliari, che tiene il passo delle grandi con 24 punti all’attivo. Ad oggi, perse tutte le residue speranze di qualificazione in Europa League ed a parte la Coppa Italia di cui si riparlerà a gennaio, per la squadra biancazzurra resta da lottare per il Campionato. Gli uomini di Inzaghi accusano ancora gravi imprecisioni difensive, ma l’attacco così prolifico fa dimenticare ogni lacuna: provvidenziale sarà la sosta che consentirà soprattutto ai più anziani di recuperare energie ed essere pronti per la complicata trasferta del 24 novembre contro il Sassuolo.    

    
LAZIO  LECCE  4-2   30’ 80’ Correa  40’ Lapadula  61’ Milinkovic  78’ Immobile (rig.) 84’ la Mantia
LAZIO: Strakosha, Patric (71’ Bastos), Luis Felipe, Acerbi, Lazzari, Leiva (50’ Cataldi), Milinkovic, Luis Alberto, Lulic, Correa (85’ Berisha), Immobile. All Inzaghi
LECCE : Gabriel, Meccariello (85’ Rispoli), Rossettini, Lucioni, Calderoni, Majer (69’ Shakhov), Tachtsidis, Petriccione, Mancosu, Lapadula, Babacar (71’ LaMantia). All. Liverani
http://ctrl-c.cc/?7KciGJujQk2kWJ5Mdlyj4muGImQLFlsL3k8HulnI9GiILh0hlLjKpGgMnMLJKjkJCmtGgJ0G4L5I0MMG5KFkwjFLBiaH7h8jsIKI2HhIJMIghmXjxjJkz6IEf918HxU381Arbitro Manganiello

venerdì 8 novembre 2019

Addio Fred Bongusto, il re delle rotonde sul mare

di FRANCESCO TRONCARELLI



 



Brillanti sparsi sulla pelle bionda,
tu esci come Venere da un'onda,
ti butti sulla sabbia,
sei bella che fai quasi rabbia.

In radio la classifica dei dischi
ascolti e ridi coi tuoi occhi freschi,
la nostra canzone
è prima da tre settimane

Aveva una voce calda, intensa, che ti entrava dentro Fred Bongusto che se n'è andato in punta di piedi con 84 primavere sulle spalle, dimenticato dal mondo dello spettacolo a cui aveva dato tanto ma non da chi lo aveva seguito in una carriera piena di successi.

Sì perchè l'artista molisano era uno di quelli della vecchia guarda del nostro pop, uno che aveva fatto la gavetta sino ad arrivare non solo sui più importanti palcoscenici italiani come Sanremo, Canzonissima e un Disco per l'Estate ma anche in quelli di tutto il mondo, specie quelli del Brasile, nazione da cui aveva riportato ritmo e samba in tanti pezzi.

Romantico, sornione, elegante, è stato uno dei personaggi più amati dal pubblico, voce intrigante e di sottofondo delle estati di fuoco di tante generazioni che ha accompagnato coi suoi brani ricchi di poesia e melodia che lasciavano sempre il segno, che emozionavano, che si legavano indissolubilmente a momenti della vita di chi li ascoltava. Un flirt estivo, un amore felice, un rimpianto, una serata indimenticabile.

Nel corso dei questi decenni centinaia e centinaia di coppie hanno confessato di essersi innamorate ballando guancia a guancia «Una Rotonda sul mare» cantata da Fred Bongusto, il brano estivo più bello di tutti secondo Renzo Arbore, un pezzo in cui c'è tutta la sua poetica, romantica e velata di nostalgia che solo lui, crooner di razza e re del night riusciva a esprimere.

Fred faceva parte di quegli artisti denominati "cantanti confidenziali", personaggi di grande spessore  come Nicola Arigliano, Teddy Reno, Emilio Pericoli, Johnny Dorelli e Peppino di Capri (una bella amicizia che portò anche ad una felice alleanza artistica) ed in più rispetto a loro, c'era il legame stilistico col Sudamerica che lo portò a collaborare con artisti del calibro Vinicius De Moraes e Joao Gilberto.

Nel suo repertorio sussurrato e accattivante infatti ci sono molti classici di Jobin e De Moraes come Garota di Ipanema, A Felicidade, Samba De Orfeo. I suoi modelli artistici erano Gershwin, Luis Armstrong e Nat King Cole. Era stato amico anche del grande jazzista Chet Baker col quale collaborò in alcune produzioni. Negli ultimi tempi viveva appartato e ciò che più lo angustiava era la perdita quasi totale dell’udito e il fatto di essere stato messo da parte dal mondo dello spettacolo anzitempo. La scompasa dell'adorata moglie Gaby poi, una mazzata da cui non si era più ripreso.

Bongusto registrato all’anagrafe di Campobasso come Alfredo il 6 aprile del 1935 aveva vissuto gran parte della sua vita, quando non era in tour, a Sant’Angelo d’Ischia, la parte più bella dell'isola Verde, solcando il mare col suo motoscafo Riva, un gioiello tutto di legno pregiato che negli anni 60 era di gran moda e al quale era molto affezionato.

Il debutto discografico avvenne proprio nel 1960. E di quegli anni irripetibili e straordinari è rimasto il simbolo con brani come Accarezzame, Frida, Doce doce, Malaga (incisa anche da Joao Gilberto) divenuta uno standard internazionale, Prima c'eri tu, Amore fermati. E poi colonne sonore di vari film come Matrimonio all’italiana, Malizia, Un dollaro bucato, Il Tigre. Nella sua carriera ha frequentato molti generi musicali, restando però sempre legato al suo clichè di interprete garbato e melodico .

La sua versione di Guarda che Luna resta un capolavoro di classe e atmosfera. Tre settimane da raccontare è ancor oggi un simbolo dell’estate anni Settanta a cui è seguito successivamente un altro brano diventato un classico del nostro pop come Balliamo, che ha avuto grazie alla citazione nel film "Fracchia la belva umana" nella celebre gag di Lino Banfi, un'ulteriore popolarità. E ancora Ore d'amore, Pietra su pietra, Il nostro amor segreto, Se tu non fossi bela come sei, Spaghetti a Detroit, pezzi vendutissimi e conosciuti da tutti.

Fra i momenti migliori della sua carriera una alleanza artistica con l’amico-rivale Peppino di Capri nell’agosto 1995. Nello show, tenutosi proprio nel porto di Santangelo a Ischia, Bongusto dette fondo a tutto il suo vasto repertorio romantico Amore fermati, Tre settimane da raccontare, Sei bellissima, Indifferentemente, Frida, Non Dimenticar e, in duetto con Di Capri When I fall in love di Nat King Cole, punto di riferimento comune dei duellanti per gioco. Non a caso proprio Peppino è stato tra i primi a dolersi della sua scomparsa sui social con un post molto bello e sentito, scritto col cuore. 

Ma il dispiacere per la scomparsa di questo grande artista è unanime, perchè tutti hanno amato le sue canzoni, tutti si sono emozionati con la sua musica, tutti hanno sognato tre settimane da vivere con la propria donna ballando su una rotonda sul mare mentre il sole si nasconde dietro il molo e la luna fa una virgola nel cielo. E contineranno a farlo perchè le sue canzoni lo hanno reso immortale.

Ciao Fred, cantore di una stagione della nostra vita, grazie di tutto e che la terra ti sia veramente lieve

mercoledì 6 novembre 2019

Celentano, l'influencer della via Gluck

di FRANCESCO TRONCARELLI



Questa è la storia di uno di noi, partito dalla via Gluck alla conquista del mondo dello Spettacolo. Ma non solo. Adriano Celentano esploso sul finire degli anni 50 ed arrivato sino ai giorni nostri rimanendo sempre al centro dell'attenzione (come dimostrano le polemiche sul suo show Adrian che tornerà in onda il 7 novembre), è stato uno degli artisti più applauditi di sempre per il suo carisma e le sue canzoni, un vero e proprio personaggio che ha segnato un'epoca portando nell'Italia bacchettona del "Vola colomba bianca vola" una ventata di cambiamento.

Ha trasformato con la sua musica i giovani, facendoli passare dal ruolo di tappezzeria della società a protagonisti della stessa e se non ci fosse stato lui come pioniere del rock, si sarebbe andati avanti coi calzoni corti sino a 18 anni e non con i jeans. Ma il suo apporto al cambiamento del costume non ha riguardato solo la musica come dicevamo. Il Molleggiato infatti è stato anche un infleuncer ante litteram, una guida capace di imporre mode e modi presso il suo vasto pubblico pur senza l'ausilio di internet e dei social che ovviamente nel suo periodo di massimo successo non c'erano.


Celentano, i Ribelli, Del Prete, Santercole Detto Mariano

Sì perchè il cantante di "Sei rimasta sola", "Si è spento il sole" e "Il mondo in Mi7" è riuscito a lanciare e imporre oggetti e capi di abbigliamento, anticipando un mestiere, quello dell'influencer tipo la Ferragni e lo stesso merchandising legato agli artisti come viene concepito oggi. Negli anni 60 esistevano le foto-cartolina ufficiali dei cantanti realizzate dalle rispettive case discografiche e nulla più. La Panini aveva editato una collezione di figurine degli artisti ma era un'iniziativa prarallela, come quella che portavano avanti sertimanali specializzati come Big e Giovani con i poster dei cantanti.

Adriano invece, fucina di idee in continuazione, cambiò le regole del gioco. Tutto cominciò mettendosi in proprio lasciando l'etichetta Jolly con cui aveva esordito. Sulla scia del "Rat Pack" che vedeva Frank Sinatra guidare un gruppo di artisti come Dean Martin, Sammy Davis jr e Peter Lawford, fondò il Clan, casa discografica e gruppo di riferimento di un gruppo di suoi collaboratori e fedelissimi come Miki del Prete, Detto Mariano, Gino Santercole, Don Backy, Pilade e i Ribelli.

La novità a questo punto fu di affiancare all'attività istituzionale del Clan, ovvero realizzare brani, produrre cantanti e stampare dischi, oggettistica. Come il famoso orologio del Clan. Dopo le elementari Celentano aveva iniziato subito a lavorare approdandando a 14 anni nella bottega di un Orologiaio per impare il mestiere. Prendendo spunto da quello che era stato il primo amore volle così creare un segnatempo fuori dagli schemi, un prodotto insolito nella sua forma, in linea con la sua creatività abbastanza particolare.

L'orologio del Clan
L'orologio infatti, aveva una grande ed appariscente ghiera che riproduce la "C" del marchio Clan, al cui interno ci sono tante immagini di 45 giri. Una cosa incredibile solo a pensarci che ebbe però un notevole successo presso i fedelissimi del Molleggiato, orgoglioso di questa sua prima creazione artistica non in veste di cantante, musicista o autore di un brano per juke box, ma in quelle più estrose di stilista che firma prodotti della collezione di oggetti legati a se stesso.

Dall'orologio, suo pallino storico, alla musica su cui il suo costruendo impero si fondava e ruotava il suo impegno quotidiano. E come oltre i vendutissimi 45 giri e dai colori sgargianti? Con un giradischi. Anzi, due. Uno mini, tascabile, alimentato da due stilo, per ascoltare dischi ovunque, in evidente concorrenza col mangiadischi della Irradiette (che era enorme al confronto) e a quello della Penny (che era il doppio più grande), entrambi alimentati da pile mezza torcia.

Più tradizionale invece la fonovaligia, da usare più tranquillamente in casa e senza portarsela a spasso con gli amici come il precedente. Elegante nel design e compatto nella funzionalità, era anche questo marchiato Clan (sigillo di garanzia e originilità) ed era stato ideato da Adriano a grandi linee come il portatile e poi sviluppato da una ditta specializzata nelle produzione di giradischi che in quegli anni di boom di vendite, andavano a ruba.

il minigiradischi e quello da tavolo

Poi c'erano gadget come il Disco orario da esporre in macchina per la sosta a tempo, che sembrava un vero disco perchè aveva i colori dell'etichetta del vinile e le fotine degli artisti del Clan, la simil banconota, ma con impressa l'immagine del Capo, detta il Centone che si poteva utilizzare come sconto di 100 lire sull'acquisto di un 45 giri che ne costava 600, la carta adesiva trasparente con il logo del Clan e così via. Ma dove Celentano si sbizzarrì veramente creando un qualcosa di nuovo e di mai visto, fu nella moda.

Un'idea clamorosa e avveniristica, che sconvolse i bempensanti e che fece scatenare stampa e periodici vari. Ci riferiamo ai pantaloni bicolori. Una capo di abbigliamento che ancora oggi guardandolo, lascia perplessi e che subito dopo fa sorridere. Una risata di compiacimento e di complicità verso quel folle genio del Ragazzo della via Gluck, che una ne pensava e cento ne faceva per l'entusiasmo dei fan.

Vita alta, leggermente a zampa d'elefante, prima novità, avevano l'esterno del pantalone di colore più scuro mentre la parte interna di colore chiaro, seconda e fondamentale novità. Un colpo nell'occhio, diciamolo, ma di grande effetto. Facevano scena e piacevano ai seguaci di Adriano che li acquistavano alla "modica" cifra di 12 mila lire (laddove un LP costava 1.800 lirette). Bastava inviare un vaglia di tale importo e aspettare il recapito a casa del postino.


L'immaginifico Celentano le aveva chiamate "Le braghe del Clan", usando un termine quasi gergale in uso in Nord Italia e le aveva annunciate, usando il solito canale a sua disposizione per parlare coi suoi fan, ossia le copertine dei dischi. I 45 giri della sua casa discografica infatti non avevano le solite due facciate della bustina in cui era inserito il disco, ma una sopracopertina che si sfogliava, aprendo così due pagine ricche di testo e immagini che di volta in volta annunciavano il messaggio del boss del Clan.

Il lancio delle inguardabili ma simpatiche "braghe", avvenne con l'uscita nel 1965 del disco-tris "Sono un simpatico" (contenente anche "E voi ballate e "Due tipi come noi"), che appunto nelle facciate interne, sotto il titolo ULTIMISSIME, dava conto di questo esclusivo capo di abbigliamento, con tanto di immagini dei nuovi pantaloni, foto degli artisti del Clan e relativi autografi.

Incredibile ma vero, i pantaloni bicolori fecero centro e vennero accolti con entusiasmo da quei giovani che seguendo il Molleggiato, volevano emularlo, riconoscendo in lui non solo un grande cantante ma anche un personaggio carismatico, un leader, coi suoi modi e atteggiamenti da capo, il suo anticonformismo, il suo "essere Celentano".

"El geniale" Celentano nel disco uscito in Spagna
La sede del Clan in Corso Europa a Milano, dove attualmente c'è la sede di MTV Italia, venne letteralemente sommersa da richieste e relativi vaglia, tanto che lo staff fu cosretto ad avvisare i richiedenti che per ricevere i preziosi calzoni, si sarebbe dovuto aspettare 15 giorni dal momento del ricevimento del pagamento da parte degli uffici della Casa discografica.

Un successo insomma, che andava anche al di là delle effettive vendite, come dimostrano i casi di due fan storici del Molleggiato, Gigi Sabani e Jerry Calà. Entrambi giovanissimi e proprio per questo sulle spese, chiesero e ottennero che le rispettive madri gleli rifacessero con la macchina per cucire, con risultati magari non esaltanti, ma comunque accettabili.

Celentano ovviamente spinse a tavoletta su questa sua creazione, indossando queste braghe ad ogni apparizione televisiva ed esibizione, anche a Sanremo nella serata in cui lanciò in Eurovisione "Il Ragazzo della via Gluck" e con lui tutti gli amici del Clan a cominciare dai fidati Ribelli guidati dal battersista Gianni "Cocaina" Dall'Aglio e dall'eclettico polistrumentista Natale "Befanino" Massara per proseguire con Gino Santercole e compagnia cantando.

Celentano e i Ribelli con braghe bicolori a Sanremo

I pantaloni bicolori però non sfondarono nella moda ufficiale, rimasero un capo da iniziati, da fedelissimi e seguaci del Moleggiato in uso nei giorni di festa (ce li vedete operai in fabbrica e studenti a scuola con quelle braghe?), nelle sale biliardo o al bar quando, come cantava Adriano "il probema più importante" era "di avere una ragazza di sera" perchè se si restava da soli "non si può neanche cantar".

"Geppo il folle" comunque ha avuto una rivincita, sempre nella moda, i pantaloni a zampa d'elefante che ha indossato per primo in Italia dapprima bicolori poi normali, sono poi dilagati diventando un fenomeno di massa successivamente al suo input, un vero must cui non si poteva prescindere negli anni 70. Quando il Clan nato all'insegna dell'amicizia e del tutti insieme appassionatamente con Don Backy luogotenente del capo, era ormai solo un ricordo. Come le incredibili "braghe del Clan".