di FRANCESCO TRONCARELLI
Quattro righe sul Messaggero, nulla su Corriere della Sera, Repubblica e Stampa. Salvo poi brevi flash nelle edizioni on line, alcune peraltro con clamorosi errori dovuti a scarsa conoscenza del mondo dello spettacolo e dei suoi interpreti e al pressapocchismo di chi sta davanti al computer per dare le notizie.
Insomma i media hanno snobbato Vittorio Congia nel momento dell'addio. Lo avevano ignorato già in vita quando era sulla cresta dell'onda, destino crudele di gran parte dei caratteristi del Cinema, personaggi minori rispetto ai grandi nomi, figurarsi se da morto potesse interessare al caposervizio di turno, quello che ti dice "fammi 30 righe su questo, è morto, era uno bravo".
E Vittorio Congia bravo lo era davvero, certo non da interpretare o dare addirittura la voce all'ispettore Maigret come ha scritto un quotidiano on line, sbagliando clamorosamente ruoli e persone (Maigret era il grande Gino Cervi, una voce indimenticabile, attore di teatro molto popolare sul grande schermo come Peppone nella sagra di Don Camillo-Fernandel), ma lo era sicuramente per dare vita a quei personaggi di contorno che arricchivano le storie, magari un po' fragili, dei film di cassetta.
I famosi musicarelli per esempio o quelli denominati di "serie B" (B movies per gli addetti ai lavori), pellicole insomma senza tante pretese e sicuramente non ideologici o dai cast importanti, che però avevano un pregio enorme, ovvero incassavano una barca di soldi, facendo lavorare un sacco di gente (attrezzisti, operatori, comparse, truccatori, ecc) e fornendo capitali freschi ai produttori per tentare di girare opere più importanti e di livello, destinate a restare nel tempo.
Vittorio Congia era un carattersita insomma, un volto che trovavi sempre sullo schermo, magari senza sapere il suo nome perchè non aveva la caratura artistica e popolarità di un Sordi o di un Gassman, un attore di secondo piano ingaggiato in quei film che uscivano direttamente nelle "Seconde visioni" di quartiere come l'Induno a Trastevere, il Verbano al Trieste, il Vascello a Monteverde, l'Augustus a Corso Vittorio, il Missouri a Portuense e così via, che accontentavano un pubblico di gusti facili.
con Morandi |
Vittorio Congia era un carattersita insomma, un volto che trovavi sempre sullo schermo, magari senza sapere il suo nome perchè non aveva la caratura artistica e popolarità di un Sordi o di un Gassman, un attore di secondo piano ingaggiato in quei film che uscivano direttamente nelle "Seconde visioni" di quartiere come l'Induno a Trastevere, il Verbano al Trieste, il Vascello a Monteverde, l'Augustus a Corso Vittorio, il Missouri a Portuense e così via, che accontentavano un pubblico di gusti facili.
Ma era bravo, come erano bravi quegli artigiani che dirigevano quelle pellicole senza soluzione di continuità inventandosi location esotiche nelle dune di Castelporziano o nelle campagne di Tolfa, maghi della macchina da ripresa e degli effetti speciali come Marino Girolami, Bruno Corbucci, Ettore Fizzarotti, Mario Mattoli, Mario Amendola.
Vittorio Congia, che i quotidiani impegnati a raccontare nelle pagine degli spettacoli vita, morte e miracoli di influencer prezzolate o urlatori analfabeti della Trap hanno ignorato, contribuendo anche per questo e seppur in minima parte, allo sfacelo culturale che ci attanaglia, era bravo, veniva dall'Accademia d'Arte drammatica Silvio D'Amico, compagno di corso di Monica Vitti. Era bravo come erano bravi i suoi colleghi Tony Ucci e Carlo Croccolo caratteristi veri e pilastri del cinema che faceva ridere.
E ancora i vari Pietro De Vico (Nicolino della Nonna del Corsaro nero), Mario Carotenuto (il Commendatore per antonomasia della Commedia all'italiana), Carlo Taranto (il finto Herrera nel Borgorosso di Alberto Sordi), Tiberio Murgia (Ferribotte ne I soliti ignoti) per citarne solo alcuni di quell'esercito di professionisti e mestieranti del set che hanno fatto la fortuna del Cinema italiano.
Congia, piccoletto dallo sguardo sornione, la mimica notevole e la battuta pronta, era di Iglesias, ma romano d'adozione, con la cadenza tipica del quirite che tanto andava nei film di genere e nei musicarelli (una ventina) che ha girato e di cui era il prezzemolino per la sua simpatia innata mista a una recitazione senza tanti fronzoli. Tra i tanti, tutti quelli di Gianni Morandi militare con Laura Efrikian ("In ginocchio da te", "Non son degno di te" ecc. ecc.), quelli con Litte Tony (Zum zum zum), Caterina Caselli ("Nessuno mi può giudicare", "Perdono") e le varie "Lisa dagli occhi blu" che trionfavano nei juke bok.
"Nessuno mi può giudicare" con la Caselli versione Casco d'oro |
Vittorio Congia, che i quotidiani impegnati a raccontare nelle pagine degli spettacoli vita, morte e miracoli di influencer prezzolate o urlatori analfabeti della Trap hanno ignorato, contribuendo anche per questo e seppur in minima parte, allo sfacelo culturale che ci attanaglia, era bravo, veniva dall'Accademia d'Arte drammatica Silvio D'Amico, compagno di corso di Monica Vitti. Era bravo come erano bravi i suoi colleghi Tony Ucci e Carlo Croccolo caratteristi veri e pilastri del cinema che faceva ridere.
E ancora i vari Pietro De Vico (Nicolino della Nonna del Corsaro nero), Mario Carotenuto (il Commendatore per antonomasia della Commedia all'italiana), Carlo Taranto (il finto Herrera nel Borgorosso di Alberto Sordi), Tiberio Murgia (Ferribotte ne I soliti ignoti) per citarne solo alcuni di quell'esercito di professionisti e mestieranti del set che hanno fatto la fortuna del Cinema italiano.
Congia, piccoletto dallo sguardo sornione, la mimica notevole e la battuta pronta, era di Iglesias, ma romano d'adozione, con la cadenza tipica del quirite che tanto andava nei film di genere e nei musicarelli (una ventina) che ha girato e di cui era il prezzemolino per la sua simpatia innata mista a una recitazione senza tanti fronzoli. Tra i tanti, tutti quelli di Gianni Morandi militare con Laura Efrikian ("In ginocchio da te", "Non son degno di te" ecc. ecc.), quelli con Litte Tony (Zum zum zum), Caterina Caselli ("Nessuno mi può giudicare", "Perdono") e le varie "Lisa dagli occhi blu" che trionfavano nei juke bok.
sul set con Dario Argento |
Una carriera di lungo corso che lo aveva visto anche sulle tavole dei palcoscenici del teatro, tanto er dire un “le fuberie di Scapino”, un “Androclo e il leone” con Gianrico Tedeschi dove Congia è il Leone, i mitici “Rinaldo in campo” con Domenico Modugno e Delia Scala e “Anfitrione” e quelli della tv italiana con partecipazione al capolavoro dei Cetra "La Biblioteca di Studio Uno" e proseguita con un buon successo sino a diventare anche grande doppiatore: sua la voce italiana di Ian Holm nella trilogia del "Signore degli anelli" ad esempio.
Ecco perchè averlo dimenticato è stato un errore dal punto di vista giornalistico, ecco perchè invece lo abbiamo voluto ricordare, perchè il buon Vittorio è stato uno che ha dato tanto allo Spettacolo di casa nostra, facendo una cosa di cui tutti abbiamo bisogno, ovvero rendere la vita leggera, regalare con le sue battute e le sue gag quell'ora di buonumore per allontanare i pensieri, compito che assolveva egregiamente come tutti i suoi compagni di merende cinematografiche.
Quei caratteristi che hanno fatto grande il nostro Cinema, quei tanti Vittorio Congia che riempivano lo schermo con la loro umile ma preziosa presenza dando lustro ai protagonisti acclamati e paparazzati. Attori anche loro con la "a" maiuscola a cui messuno però ha battuto mai le mani e detto bravo perchè non faceva intellettuale. Quei caratteristi che oggi, fateci caso, non ci sono più perchè alla prima apparizione sullo schermo si sentono tutti Marlon Brando. Ciao Vittorio piccolo grande caratterista, grazie di tutto.