di FRANCESCO TRONCARELLI
Amava la vita e la musica era la sua vita. Era uno spirito libero, un anticonformista che andava per la sua strada, lontano dal circo mediatico dei raccomandati che nel mondo dello spettacolo hanno vita facile e per questo successo garantito.
Era semplicemente Franco
Califano, per chi lo conosceva ed amava il Califfo, uno dei più grandi
autori del nostro pop, un artista unico che ha regalato emozioni a non
finire a intere generazioni e che per il suo essere controcorrente non è
stato mai adeguatamente considerato dalla critica e dai media. Messo
all’angolo in vita, dimenticato in fretta da morto.
Ci lasciava dieci anni fa, il 30 marzo 2013 e se non fosse per la passione dei
suoi collaboratori più stretti degli ultimi tempi, il suo ricordo sarebbe relegato in un baule impolverato,
lontano dagli occhi e lontano dal cuore.
Ecco così che va applaudito il
talentuoso Alberto Laurenti, allievo e produttore dei suoi utimi album che ha creato ben sette eventi musicali in suo onore tributando il giusto omaggio a un artista come lui.
Un mini tour emozionale iniziato nella Protomoteca del Campidoglio e che dopo varie tappe si concluderà dopo il concerto al Teatro Manfredi di Ostia domani, il pirimo aprile nella Sala comunale di Ardea e che ha come ciliegina sulla torta un doppio album con tutte le sue ultime cose dal vivo e in studio.
Poeta, ribelle, artista maudid, protagonista di storie di cronaca nera e cronaca rosa, attore di cinema e di fotoromanzi, idolo di una certa Roma ai confini della legalità e al tempo stesso di tanta gente di ogni ceto sociale innamorata dei suoi brani, Califano resta comunque un grande chansonnier, un artista di un'altra caegoria e un autore prolifico e sempre di qualità.
Un uomo dalle spalle larghe e dalla creatività innata, con la capacità di raccontare il vissuto quotidiano della gente, fosse di borgata come in quel brano portato al successo da Edoardo Vianello e Wilma Goich in coppia, o fosse dei quartieri alti della città.
L’una e
l’altra alle prese con i problemi che da sempre tormentano le rispettive
esistenze. La vita, l’amore, l’amicizia. Non a caso qualcuno molto
acutamente l’aveva definito il Prevert di Trastevere.
E’ stato autore di alcune pagine intense della musica leggera
italiana come "E la chiamano estate", "La musica è finita", "Una ragione di più", "Minuetto",
"Un grande amore e niente più", ma nel
corso della sua carriera Califano non aveva trovato il modo di farsi apprezzare
appieno anche come interprete.
Dopo alcuni tentativi rimasti nel limbo l'occasione gli capitò,
quando incise "Tutto il resto è noia" che diventerà uno dei capolavori
assoluti della musica italiana.
Una canzone dal sapore amaro ma irresistibile che dipinge su musiche
di Frank Del Giudice, il malessere esistenziale di una passione che si
spegne piano piano nella routine, che il Califfo scrisse più di
quarant’anni fa ma che per le dinamiche e le situazioni del rapporto di
coppia che racconta, è sempre attuale.
Pubblicato nel 1976 ed inserito nel suo quarto album (33 giri etichetta Ricordi) sulla cui copertina c’è un bambino dal cognome che rimanda ad echi di malavita, ovvero l’allora piccolo Eros Turatello, figlio del boss milanese Francis suo amico, “Tutto il resto è noia” è considerato dalla rivista Rolling Stone, uno fra i cento dischi italiani più belli di sempre.
Per lui, quello che gli americani chiamano “signature song”, il brano cioè con cui si identifica subito un cantante, il cavallo di battaglia. Sicuramente è la canzone che gli ha regalato una nuova credibilità artistica dopo le vicissitudini giudiziarie che avevano movimentato in negativo la sua esistenza e lo avevano allontanato dalla ribalta.
Un
brano che segna il riscatto come artista e per taluni che
snobisticamente lo avevano emarginato, anche come uomo, rilanciandolo a
pieno titolo e senza falsi moralismi, come cantautore con la “c”
maiuscola.
Califano che andava a letto cinque minuti dopo degli altri per avere
cinque minuti in più da raccontare, nato per sbaglio a Tripoli da
genitori campani, ma romano d’adozione, con quella inconfondibile voce
roca e quello sguardo sornione da bel tenebroso, aveva sul braccio
tatuato “tutto il resto è noia”, la frase di questa canzone che gli ha
dato la notorietà e la fama imperitura e che avrebbe voluto come suo
epitaffio.
E aveva ragione. Nel riascoltarla con malinconia nell'anniversario dela sua scomparsa, ci si accorge come il mondo dello spettacolo sia
maledettamente noioso senza uno artista come lui e come si senta terribilmente la sua mancanza.