mercoledì 15 ottobre 2025

Dolso, il piede sinistro di Dio

 di FRANCESCO TRONCARELLI

Era l'idolo dei tifosi laziali degli anni 60, gran dribblatore, estroso e col piede fatato, amava la musica e la dolce vita. Se ne andava dieci anni fa per una male incurabile  

 
Calzettoni rigorosamente arrotolati come tutti i funamboli del calcio, ciuffo a banana, aria sorniona e andatura da bandolero stanco, lo chiamavano “il piede sinistro di Dio”, perché da mancino naturale, con quel piede dava del tu al pallone.

Arrigo Dolso era proprio forte insomma, un numero 10 da applausi a scena aperta e curva in visibilio che però nella carriera ha raccolto poco rispetto a quanto valeva. “Lavore hombre” gli urlava Juan Carlos Lorenzo mentre il “Gigi Meroni biancoceleste” si allenava a Tor di Quinto, per stimolarlo a dare il massimo. Lui, si girava, guardava il mister e gli faceva l’occhietto.

Dolso Arrigo da San Daniele del Fiuli, centrocampista amato dalla gente laziale per i suoi numeri, era figlio di una coppia di operai e degli stenti del dopoguerra, perciò amava godersi la vita senza rimpianti. Uscire la sera e andare a via Veneto o al Piper  per dare un’occhiata a quel  mondo di nottambuli in fermento era come un tunnel a un avversario, un dribbling riuscito, un passo doppio in corsa, le sue specialità. Come le zingarate notturne appunto.

In campo poi annullava la stanchezza cronica con i suoi gesti tecnici che magari non erano proficui al gioco in sé, ma erano comunque un bel vedere. Tanti tocchi insomma, molti lanci, ma pochi gol. Ecco perché quando nel giorno del suo compleanno segnò di testa al derby, l’Olimpico esplose di gioia e all’indomani i bar di Trastevere furono tappezzati con il suo poster che era allegato al mitico “Momento Sera”.

Lo slogan impresso su uno striscione ripreso paro paro dalla pubblicità di una nota marca di prodotti alimentari, la diceva lunga sull’affetto che nonostante tutto i tifosi gli volevano: “Con Arrigo me la sbrigo”.  Poi c'era il coro "Dolso sei mejo de Corso" il mancino dell'inter.

Miglior giocatore della serie C, arrivò alla Lazio nel ‘66 grazie a Nello Governato per 95 milioni dall’Udinese e così iniziò la sua avventura nella prima squadra della Capitale tra alti e bassi. Una ottantina di presenze in tre stagioni, inframmezzate da un passaggio al Monza e un ritorno nella Lazio del 1970/71 che con Chinaglia e Wilson stava muovendo i primi passi verso un futuro entusiasmante.

Pizzaballa è a terra come la Roma, Dolso esulta per il gol 

Estroso, sorridente, giocoliere, Dolso era un artista a cui si voleva bene a prescindere. Anche se poi ti faceva addannare perchè la palla non la passava mai. Gli piacevano le camicie a fiori l’estate e quelle a coste di velluto l’inverno, i calzoni a campana e i basettoni. 

La musica era una mania come le donne (decine le lettere delle fan che arrivavano nella sede della società romana). Impazziva per Celentano e Patty Pravo, il ragazzo della via Gluck e la Bambola della musica leggera che conosceva a menadito. “Stanotte in che complesso hai suonato?” gli chiedeva Lorenzo l’allenatore che nonostante le bacchettate lo ha valorizzato più di tutti.

Finita l’epoca Lazio, il buon Arrigo ha viaggiato su e giù per l’Italia (Varese, Alessandria, Benevento, Trapani, Grosseto, Ravenna) continuando a dare calci al pallone sino ai 38 anni. 

Poi il buen retiro all’Elba, dove ha aprì un bar a Porteferraio, insegnando nello stesso tempo ai ragazzi dell’Audace i rudimenti della tecnica. E raccontando di calcio, dei grandi miti come Zoff e Riva con cui aveva fatto il militare o di Kroll cui aveva fatto un clamoroso tunnel.

Cei e Dolso con la Coppa dell'amicizia vinta battendo la Roma

Alla vigilia del compleanno (ne avrebbe fatti 69) Dolso, giocatore di un calcio a misura d’uomo e non di sponsor, fatto di passione e passioni fuori e dentro il campo, lasciò la vita che amava tanto e i suoi cari per un brutto male che se lo portò via senza tanti problemi e in poco tempo 

Sono passati dieci anni dalla sua morte, delle sue gesta è rimasto il ricordo nei commenti sui social e nell’etere romano, un ricordo malinconico di un eroe della generazione Panini, quella che elevava a protagonista anche chi non era il migliore di tutti e magari giocava una volta sì e due no. 

Come Arrigo Dolso, talentuoso e indolente poeta del calcio amato non solo dalle folle ma anche  da chi ama il gioco più bello del mondo.      
 





sabato 4 ottobre 2025

La Lazio riprende il Toro. Le Pagelliadi

 di FRANCESCO TRONCARELLI

8 a Massimo Di Cataldi - Ci sono voluti 104 minuti per riprendere una partita nata male e che stava finendo peggio. La remuntada si era sgretolata per mancanza di lucidità dei biancocelesti, avvitati su loro stessi invece di amministrare il gioco. E il Toro giustamente riusciva a pareggiare. E addirittura a portarsi in vantaggio. All'Olimpico! Sembrava una disfatta e invece in pieno recupero la ripresa di un risultato beffardo che avrebbe pionbato la squadra nel caos.. Onore al merito del Metronomo biancoceleste che si è preso la responsabilità di tirare il rigore così netto quanto inspiegabilmente difficile da assegnare. Grazie Danilo!

8 a Rosanna Cancellieri - Due gol da antologia del calcio. Meravigliosi. Da applausi a scena aperta. Grandissimo.

7 e mezzo a Basic Instinct - Ordinato, preciso, pulitino, il finto prete ha scodellato un assist a luci rosse. Ora subito a confessarsi.

7 a Pighin-Sanguin-Noslin - Daje ragazzo, te sei superato. 

6 e mezzo a Pedro Pedro Pedro Pè - il lancione che ha fatto per il Matador del Toro, lo ripaga dell'impegno profuso e lo riabilita da qualche svarione. Come Nino Frassica che ormai ne spara a raffica tanto per.

6 a Castellano e Pipolo - Tanto sacrificio. Ha lavorato insomma per la squadra. Speriamo che prima o poi qualcuno lavori per lui. Male che va chiamassero qualche operaio dell'Enel, quelli di Stiamo lavorando per voi, hai visto mai.

6- a senti che musica coi Tavares - Sicuramente non è più la freccia biancazzurra che partiva senza aspettare il via del capostazione e arrivava in un attimo al capolinea. Sì è imborghesito. Da quando mette quella retina in testa resa celebre da Giancarlo Giannini in Mimì Metallurgico è tutto un altra cosa. Un altro film. Un altro treno.

 6- a Lisasken dagli occhi blu - senza le trecce lo stesso non sei tu. Amen.

5 e mezzo a Viale dei Romagnoli e Gila il mondo gila - È meno male che Sarri cura in modo maniacale la fase difensiva. Bruciati in occasione del pareggio. 

5 a Dio perdona e pure Dia - Mo se c'era un fuorigioco è un dettaglio, resta il fatto che solo davanti a Israel si è marcato da solo invece di tirare, mangiandosi un gol fatto. Uno scandalo al sole, come Carmen Di Pietro a Tale e quale.

5- - a Dio vede e Provedel - Tre tiri tre gol. In perfetta media Carrizo. Per I miracoli rivolgersi a San Gennaro.

5- - a Hysaj che i papaveri - Dice me faccio biondo così mischio le carte e sembro un altro. Ma de che, è sempre lui e anche se se faceva roscio sarebbe rimasto immobile come una statuina del Presepe davanti a Simeone che la stava a buttà dentro. Passano gli anni, cambiano i governi e gli allenatori ma lui non cambia mai. È il quarto mistero di Fatima, nessuno sa perchè giochi a calcio. Neanche lui. Sipario. 

mercoledì 1 ottobre 2025

C'era una volta il primo ottobre

di FRANCESCO TRONCARELLI 

Primo ottobre. Una volta era il giorno in cui si tornava a scuola. Elementari, medie e superiori iniziavano il primo ottobre, san Remigio (i Remigini li chiamavano). Alle elementari erano tutti coi grembiuli, nell'abbigliamento cioè che annullava le diseguaglianze sociali e faceva sentire i bambini tutti uguali. 

I quaderni erano quelli della Pigna di Fabriano, con immagini e paesaggi della regioni italiane in copertina e le tabelline alla fine dei fogli. La penna, la biro della Bic. I compiti a casa e anche i pensieri personali venivano scritti sul Diario Vitt.

Le lezioni si svolgevano in religioso silenzio, i più caciaroni al secondo richiamo finivano dietro la lavagna o fuori dalla classe nel corridoio. E non c'era nessuna madre che il giorno dopo andava a schiaffeggiare il maestro dopo aver parcheggiato il Suv in doppia fila fuori la scuola. 

Anzi, a casa i discoli prendevano il "resto" dai genitori. A metà mattina, sole, pioggia o vento o altra calamità in arrivo, c'era comunque la ricreazione e il bidello vendeva le pizzette rosse, alle elementari, alle medie e alle superiori.

Panelli, MIna e Walter Chiari alle prove di Canzonissima

In tv iniziava Canzonissima con Mina, Paolo Panelli e Walter Chiari, una vera e propria sfida fra i cantanti più in voga con i loro successi, che venivano votati dal pubblico con le cartoline acquistate in tabaccheria o dai "venditori di fortuna" per strada.

Era il programma più atteso dell'anno che avrebbe accompagnato i telespettatori sino alla serata finale del 6 gennaio, quella in cui al "fortunato possessore del biglietto vincente", sarebbero andati 150milioni di lire, un'enormità. 

Claudio Villa cantava "Granada", Morandi "C'era un ragazzo", Modugno e no i Negramaro, "Meraviglioso", tre capolavori nei rispettivi generi, a ciascuno il suo. 

Non c'erano playstation nè i cellulari (erano i furgoni della polizia per le retate dei capelloni e delle "signorine" che attendevano i clienti a Tor di Quinto) ma si viveva bene lo stesso. 

Tutti avevano un telefono in casa, fisso, qualcuno il Duplex perchè non c'erano abbastanza linee ma anche per pagare di meno il canone visto che nello stesso palazzo un'altra famiglia condivideva la linea e te la bloccava con le sue chiamate.

il telefono a gettone col pulsante

Nessuno aveva la necessità spasmodica di telefonare, le chiamate si svolgevano di solito dopo pranzo, a metà pomeriggio e la sera mai oltre le 21.

Se avevi bisogno di dire qualcosa di urgente trovandoti in giro, c'erano i telefoni a gettone nei bar, poi arrivarono le cabine con un apparecchio che "incassava" più gettoni per le interurbane.

Il telefono a gettone permetteva comunque di ascoltare chi rispondeva dall'altra parte anche se non si spingeva il tastino per fare scendere quella particolare "moneta" di color bronzo del valore di 50 lire.

Se capovolgevi la cornetta e parlavi da dove si ascolta, dall'altra parte sentivano. Si risparmiava il gettone ma la figuraccia era tanta perché per farti sentire dovevi urlare, e ovviamente c'era chi nel bar commentava "a poveraccio!".

le partitelle per strada

I ragazzini giocavano per strada a pallone e i maglioni arrotolati e le cartelle facevano da pali per le porte. Poi arrivarono le cinghie elastiche per portare e avvolgere i libri e il pacco così "confezionato" divenne l'ideale per delimitare le porte.

A quattordici anni si sognava la Vespa, che portavi senza casco e coi capelli al vento e senza targa, opportunità che ti faceva parcheggiare ovunque e saltare il rosso del semaforo e a diciotto si sognava la 500, la più utile e simpatica delle Fiat. 

Aveva il tettino che si apriva l'estate e che dava quel senso da mini cabriolet per tutte le tasche e riusciva a ospitare, incredibile ma vero, sino a cinque passeggeri.

tifosi laziali in festa con le 500 imbandierate

Uno davanti al fianco del guidatore e tre di dietro nello spazio angusto soprattutto per la testa. I più abili riuscivano a piazzarne quattro dietro in un miracolo di equilibri da ressa di autobus.

Tutti sapevano fare la "doppietta" col piede destro, ossia quel movimento della scarpa sui pedali della frizione e dell'acceleratore per scalare la marcia al volo passando per il folle senza "grattare".

I maschi al momento dell'acquisto della 500 chiedevano i sedili reclinabili per trasformarli in giaciglio. E ci si entrava in questa maniera anche per lungo.

In tutti i quartieri c'erano le bische, locali fumosi ritrovo di perditempo e malandrini che si sfidavano per soldi a biliardo. Più familiari invece le atmosfere nei bar sotto casa dove si giocava a flipper.

il jukebox

C'erano anche i jukebok, con 100 lire selezionavi tre dischi in attesa delle feste in casa il sabato pomeriggio per ballare con la ragazzina a cui si faceva il filo.

Alle feste ognuno portava i suoi 45 giri, il padrone di casa metteva a disposizione il salone a "luci accese" per il controllo dei grandi e le ragazze i panini e le bibite. 

Un classico di queste riunioni danzanti, il gioco della scopa (chi la riceveva doveva lasciare la dama al nuovo cavaliere) e quello della bottiglia (tutti in circolo, la bottiglia in terra al centro fatta girare, con bacio a chi veniva indicato dalla punta della bottiglia quando si fermava).

Ma tutti in realtà aspettavano che i genitori si stancassero di osservare l'andamento del tutto per trasferisi in cucina, era il momento tanto atteso per spegnere le luci e ballare i lenti. Il cosidetto "ballo dal mattone".

il gioco della bottiglia

Le partite si seguivano alla radio con "Tutto il calcio minuto per minuto" guidato da "Roberto Bortoluzzi dallo studio centrale". Era normale incontrare per strada persone che camminavano con i transistor attaccati alle orecchie per seguire la trasmissione.

Enrico Ameri raccontava gli incontri entrando nel dettaglio ed era collegato dal campo principale, in pratica la partita più importante della domenica, Sandro Ciotti invece con la sua inconfondibile voce roca e bassa, lo incalzava coi suoi voli pindarici e immaginifici interrompendolo con l'andamento dell'altro incontro di cartello.

Per vedere le immagini dei match, si dovevano attendere le 19, quando sul Secondo canale Rai, veniva mandato in onda un tempo della partita più importante della domenica con la cronaca registrata in diretta di Nando Martellini . 

Le sintesi di tutte le altre arrivavano dopo le 22 con la "Domenica sportiva", condotta da Milano da giornalisti del calibro di Enzo Tortora, Guido Oddo e Alfredo Pigna. Come dire, classe e competenza.

Sandro Ciotti ed Enrico Ameri

Gigi Riva, "rombo di tuono" era il più forte, Dino Zoff era già il numero uno, Giacinto Facchetti e Tarcisio Burgnich erano insuperabili, Sandro Mazzola, il "baffo" e l'abatino Gianni Rivera, si alternavano con la staffetta, Giacomo Losi era il "core de Roma".

Alla Lazio erano sbarcati due giovani sconosciuti e di belle speranze  che "saranno famosi": Giorgio Chinaglia e Pino Wilson. Li aveva pescati dalla serie C Juan Carlos Lorenzo, il mago argentino che duellava dialetticamente nei deby con Herrera. 

Era un altro calcio, un altro mondo, un'altra Italia. La vita era forse in bianco e nero ma tutti sognavano a colori. C'era una volta il primo ottobre...

Maestrelli e i suoi ragazzi alla Domenica Sportiva con Alfredo Pigna


Dolso, il piede sinistro di Dio

 di FRANCESCO TRONCARELLI Era l'idolo dei tifosi laziali degli anni 60, gran dribblatore, estroso e col piede fatato, amava la musica e...