giovedì 28 giugno 2018

Una musica senza Limiti


di FRANCESCO TRONCARELLI

A un anno dalla scomparsa del popolare conduttore televisivo. restano  i suoi brani scritti per i big della canzone a tenerne vivo il ricordo. "La voce del silenzio", il più noto, un capolavoro della nostra musica


Amico personale di star internazionali e dive nostrane, Paolo Limiti che se ne è andato in punta di piedi un anno fa a 77 anni per un tumore, conosceva tutto del mondo dello spettacolo e ne ra un puntuale e appassionato divulgatore. Cultore della memoria musicale del Belpaese, aveva anticipato coi suoi programmi il boom del vintage, dell’amarcord nostalgico che lui sapeva riproporre con intelligenze e dovizia di particolari, facendo rivivere con classe e garbo al pubblico che lo adorava, antiche suggestioni ed emozioni perdute.

Ma Limiti non era solo “un signore di una volta” come qualcuno lo ha definito per l’educazione innata e il suo sguardo rivolto al passato, ma anche e soprattutto un personaggio al passo con i tempi, come dimostra la sua attività di paroliere e autore per tanti big della musica italiana. Gli oltre sessanta brani che ha composto nel corso della sua attività ne sono la testimonianza. Pezzi mai banali ma sempre coinvolgenti e suggestivi, che hanno accompagnato la carriera di nomi importanti.

Basti citare  “Amare di meno” per Peppino di Capri, “Una musica” per i Ricchi e Poveri, “Anna da dimenticare” per i Nuovi Angeli, “Voglio ridere” per i Nomadi, “Non sai fare l’amore” per la Vanoni, “Buonasera dottore” per Claudia Mori per citarne alcuni dei più noti e poi tutti quelli per Mina, con cui ha avuto una lunga e proficua collaborazione.

Per la Tigre di Cremona infatti Liniti ha scritto dei pezzi come “Sacumdì sacumdà”, Bugiardo e incosciente”, “Una mezza dozzina di rose”, “Credi” e “Viva lei” che hanno puntualmente scalato le classifiche di vendita ed altrettanti che sono stati inseriti negli album della grande artista.


Ma ce ne è una, fra le tante canzoni che ha scritto il conduttore milanese, che è considerata unanimemente un capolavoro assoluto della musica, un pezzo che ha superato la generazione di riferimento diventando un evergreen e al tempo stesso uno standard per tanti artisti, primo fra tutti ovviamente Mina. E’ “La voce del silenzio” brano dal sapore autobiografico per l’autore e al quale l’onnipresente Mogol collaborò, che venne presentato a Sanremo nell’edizione del 1968.         

Su quel Festival gravava l'ombra di quanto accaduto l'anno prima, ovvero il suicidio di Luigi Tenco. Che il gesto avesse in qualche modo scosso l'ambiente musicale, provocando qualche cambiamento, fu evidenziato dalla vittoria finale di un cantautore raffinato e molto bravo come Sergio Endrigo, che si aggiudicò il primo posto con 'Canzone per te', proposta col brasiliano Roberto Carlos.

Sul palco in quella edizione salirono molti big stranieri, come Louis Armstrong, Lionel Hampton (che eseguì tutti i brani in gara), Wilson Pickett, Shirley Bassey, Eartha Kitt e Dionne Warwick. La partecipazione di quest'ultima fu piuttosto trascurata dalla stampa, nonostante già da tempo fosse la musa ispiratrice di Burt Bacharach, del quale aveva inciso 'Anyone who had a heart', 'Walk on by' e 'I say a little prayer'.

Ad invitarla fu il Maestro Elio Isola, autore della musica de “La voce del silenzio”. Le inviò il provino che ottenne l'approvazione di Bacharach, lei così si precipitò in Italia per imparare a cantare nella nostra lingua ed essere pronta per il festival. L'inizio della melodia del brano, corrisponde al tema principale del preludio in Do minore del secondo volume del Clavicembalo Ben Temperato di Johan Sebastian Bach, ma nessuno ne fece una questione, anzi.

Per 'La voce del silenzio' la Warwick fu abbinata a Tony Del Monaco, cantante e autore che aveva già partecipato al Festival l'anno prima con 'E' più forte di me'. Laureando in legge, Del Monaco non era ancora riuscito ad ottenere un grande successo. "Era un ragazzo di Sulmona, di grande simpatia al di là della sua bellissima voce- raccontò successivamente Limiti-. E' una delle persone che mi sono davvero rimaste dentro, era gentile e solare, la sua esecuzione fu formidabile, veramente sentita".

E ancora: "Per scrivere una canzone si attinge sempre a se stessi. Dietro ciascun brano c'è un nome, un cognome, una data. Per 'La voce del silenzio' c'era la solitudine di mia madre dopo la scomparsa di mio padre. Quello fu il mio primo e unico Sanremo - feci il viaggio in treno con un agitatissimo Pippo Baudo, al suo debutto al Festival. Lui poi ci sarebbe tornato molte volte, io invece non sono più tornato perché penso che certe cose si debbano provare una volta sola".


Il testo così parla di una persona che vuole star da sola a pensare, ma nel silenzio troppe cose e troppi ricordi ritornano nella mente e nel pensare si accorge che la persona che ha sempre amato non ha mai perso il posto nel suo cuore dando vita ad un crescendo di emozioni e suggestioni esaltate dalla musica.

La canzone entrò in finale, ma ottenne soltanto 28 punti, classificandosi all'ultimo posto. La Warwick subito dopo Sanremo tornò negli USA per incidere "Do you know the way to San Jose", anch'essa destinata alla top ten americana. Del Monaco tentò ancora per qualche anno di cogliere un successo, ad esempio ripresentandosi alla kermesse nel 1969 con 'Un'ora fa', ma non fu fortunato.


A dare notorietà al brano fu Mina che qualche mese dopo Sanremo incise un disco dal vivo alla Bussola di Viareggio, interpretando sia 'La voce del silenzio' che 'Deborah' (di Wilson Picket e Fausto Leali). Da quel momento la canzone cominciò un altro percorso, quello cioè di diventare uno dei brani più amati e apprezzati della storia festivaliera.

Si pensi peraltro che grazie al rilancio effettuato da Mina, la popolarità della canzone crebbe a tal punto che gli organizzatori del Festival di Castrocaro dell’anno successivo furono costretti a sospendere le prove perché 21 partecipanti su 23 volevano cantarla.

Tra i tanti esecutori di questo pezzo, Mia Martini, Massimo Ranieri, Orietta Berti, Iva Zanicchi, Francesco Renga, Andrea Bocelli, Renato Zero, Elisa e Dolcenera, ma è indubbio che l'interpretazione di Mina, la più grande cantante di sempre, è quella che ha dato al brano un respiro ed un atmosfera unici. Riascoltiamola.

mercoledì 27 giugno 2018

Beatles in Italia, un evento memorabile


di FRANCESCO TRONCARELLI

Era un 27 giugno caldo come oggi e i Beatles si esibivano a Roma al cinema Adriano, in un concerto entrato nella storia del costume. Il racconto e le foto esclusive di una giornata indimenticabile

       

Giugno 1965, i Beatles in Italia. E fu subito delirio. Una tournèe concentrata in tre tappe: il 24 a Milano il 26 a Genova e il 27 e 28 a Roma. Esibizioni pomeridiane e serali in ognuna delle città di appena mezz’ora ciascuna (niente a che fare con i concerti attuali di 2/3 ore delle rockstar), con il meglio del loro repertorio live di quel momento.
Un evento per quei tempi in cui la nostra scena musicale era dominata dai vari Morandi, Celentano, Pavone, Mina, Bobby Solo e Little Tony ovvero le nuove leve della musica leggera tricolore e da stranieri come Paul Anka, Petula Clark, Adamo e Richard Antony che esportavano nel Belpaese i loro successi in italiano.
Loro, i quattro ragazzi di Liverpool, erano la novità che stava entusiasmando il mondo, erano quelli che stavano rivoluzionando la musica, il costume e la moda e che stavano scuotendo i giovani dal tran tran borghese. Erano i “capelloni” con gli stivaletti e i completi attillati e le camicie coi collettoni. Erano i Beatles che stavano sbarcando con le loro chitarre nella Penisola per la gioia di chi li seguiva.
Uno sbarco peraltro snobbato dalla stampa italiana. I Fab Four erano visti principalmente come fenomeno di moda che prima o poi sarebbe passato, di loro si parlava in pezzi di colore (“Arrivano gli scarafaggi”, ecc.), puntando molto sul calore dei fan più che sulle loro proposte artistiche e se non fosse stato per quei due o tre settimanali specializzati (“Big”, Ciao Amici”) che si occupavano di giovani e musica, il loro tour in Italia sarebbe passato quasi inosservato come conferma l’assenza di riprese dell’avvenimento da parte della Rai. Musicalmente parlando del resto, eravamo una provincia dell’impero e l’eco dei trionfi internazionali, arrivava da noi filtrato.


Il tour
Ecco perché i numeri della tournèe organizzata dall’impresario Leo Watcher e presentata dai volti televisivi Lucio Flauto e Rossella Como, ci dicono di un’accoglienza tiepida, perché non si era attivata la grancassa mediatica. A Milano i Beatles suonarono al velodromo Vigorelli complessivamente per 26 mila persone: 7 mila il pomeriggio e 19 mila la sera, ben lontani dal tutto esaurito. A Genova per 3500 paganti alle 16 e 30 e 15 mila alle 21 e 30 in un Palasport dove la capienza massima era di 25 mila. A tenere lontano il pubblico a Roma, ci pensò invece il costo del biglietto, 5mila lire (un giornale costava 50 lire, un caffè 60 e un disco 600 lire), che verrà ribassato il giorno successivo senza che la mossa riesca a però a riempire il Cinema Adriano (capienza 3 mila posti).

I Fan

Quelli che c’erano però si facevano sentire, eccome: «Strillano le ragazzine, dimenandosi come ossessi. Tutti in piedi sulle sedie. È un crescendo che mette i brividi. La polizia fa cordone, accorre dove può, calma, minaccia, picchia. Tre ragazzine fanno a pezzi una fotografia dei ragazzi di Liverpool, ne ingoiano i frammenti. Una, lassù, è colpita dalla tarantola. Si grida, si balla e si grida. L’eccitazione sale e diventa follia collettiva: ammaccatura, bailamme, stordimento, convulsioni. Un gruppo di giovani si strappa la camicia di dosso. Una biondina si rotola su se stessa. Tutti scuotono la testa, agitano fazzoletti, battono le mani. Il fanatismo ha toccato vertici indescrivibili. Le più giovani hanno invocato il nome di Paul, il bellino. Una, in maglietta nera, è stata portata via perché in preda a crisi isterica. Moltissimi ragazzi si sono svestiti delle magliette per adoperarle a mulinello in segno di saluto agli idoli» scrive il 25 giugno 1965 sul Corriere della Sera Alfonso Madeo a commento dell’esibizione al Vigorelli.

La Beatlemania
Scene di fanatismo e grande eccitazione dunque, forse un po’ per imitazione di quello che succedeva dovunque si esibisse il complesso, così come era accaduto negli Usa dopo l’apparizione all’Ed Sullivan Show nei successivi concerti negli stadi del baseball. Nel 1965 infatti siamo in piena beatlemania. Paul, John, George e Ringo hanno alle spalle già nove 45 giri al primo posto in classifica e 4 album (“Please please me”, “With the Beatles”, “A hard day’s night” e “Beatles for sale”) che avevano fruttato 20milioni di dischi venduti e hanno girato anche un film “A hard day’s night” in Italia “Tutti per uno”. Senza contare poi che esattamente 10 giorni prima dell’esibizione al Vigorelli, il 14 giugno, i quattro avevano inciso nello studio di Abbey Road, la versione definitiva di “Yesterday”, un capolavoro assoluto della musica che avrebbe dato una svolta alla loro produzione beat.

Dicevano di loro
Pier Paolo Pasolini: «Non mi so spiegare il successo dei Beatles, questi quattro giovanotti completamente privi di fascino che suonano una musica bellina». Franca Valeri: “Per me il trionfo dei Beatles è un mistero, sebbene sia convinta che chi riesce ad emergere deve avere le carte in regola per farlo». Milva: «Non riesco a rendermi conto della loro bravura, eppure c’è gente che impazzisce per loro». Strehler: «Questi Beatles non mi dicono molto, ma ci deve essere una ragione se vanno tanto forte». Little Tony: “All’inizio della strada trionfale percorsa dai Beatles c’è un segreto di tempestività. Hanno imposto la moda del gruppo mentre in Inghilterra era in declino l’interesse per il cantante solista. Poi hanno il dono di un ritmo istintivo, inconfondibile. Hanno dato a moltissimi giovani il pretesto per scatenarsi, rompendo pregiudizi e veti di costume”.


La musica di quei giorni: Hit Parade del 26 giugno 1965

1) “Ciao ciao”  Petula Clark

2) “Il silenzio”   Ninì Rosso

3) “Il mondo”  Jimmy Fontana

4) “Quello sbagliato”  Bobby Solo

5) “Un anno d’amore”  Mina

6) “Piangi”  Richard Anthony

7) “Se non avessi più te”  Gianni Morandi

8) “La casa del sole”  Los Marcellos Ferial

9) “La verità”  Paul Anka

10) “La notte”  Adamo

I Supporters
Il concerto si componeva di due momenti principali: nel primo si esibivano complessi musicali e cantanti che dovevano fare da spalla all’evento scaldando il pubblico, nel secondo i Beatles. Fra i supporters della prima parte c’erano gli urlatori del rock Guidone e Angela coi rispettivi gruppi, Le Ombre di Alfonso Righetti (con un giovane Gil Ventura al sax), i milanesi New Dada guidati da Maurizio Arcieri in cerca di affermazione, Fausto Leali e i Novelty non ancora esploso col successo “A chi” ma già rampante con le cover italiane degli “scarafaggi”e soprattutto Peppino Di Capri accompagnato dal suo gruppo i Rockers, che fra tutti era quello più conosciuto e popolare. L’unico ad accompagnare Paul e gli altri in tutte e tre le tappe del tour. Dieci minuti per lui con un medley composto da “Let’s twist again”, “Passion flower” e “Don’t play that song” di Ben E. King. 

Le foto esclusive a colori dell'Adriano








I brani in scaletta


“Twist And Shout”

“She's A Woman”

“I'm A Loser”

“Can't Buy Me Love”

“Baby's In Black”

“I Wanna Be Your Man”

“A Hand Day's Night”

“Everybody's Trying To Be My Baby”

“Rock And Roll Music”

“I Feel Fine”

“Ticket To Ride”

“Long Tall Sally”.

Tutte le canzoni furono introdotte da Paul con qualche parola d’italiano. Al termine dell’ultima esibizione al Cinema Adriano di Roma, presenti in platea la Magnani, Giorgio Albertazzi, Luchino Visconti, Catherine Spaak, Gianni  Minà e Gianni Bisiach, un fan salì sul palco per rubare il berretto con la visiera di John e Ringo lanciò verso il pubblico le bacchette della batteria. Nei giorni successivi e soprattutto negli anni a venire mezza Roma racconterà di avere a casa le bacchette di Ringo di quella serata anche se erano solo due e l’altra mezza di essere stata al “mitico concerto dei Beatles”, anche se ci andarono solo poche migliaia di persone.  

domenica 24 giugno 2018

Edoardo Vianello, 80 anni con le pinne, fucile ed occhiali

 di FRANCESCO TRONCARELLI 

Con 60 milioni di dischi venduti ha fatto ballare generazioni. "Abbronzatissima", "Guarda come dondolo", "i Watussi", colonna sonora degli anni 60 sono diventati successi senza tempo. La festa di compleanno questa sera al Campidoglio con la banda dei vigili urbani





Non poteva essere nato che in Estate Edoardo Vianello, nella stagione più effervescente dell'anno legata alle vacanze e a quel clima spensierato e divertente a cui sono ispirate le sue canzoni, che oggi compie, incredibile ma vero, 80 anni.
Un traguardo raggiunto in ottima forma e in piena attività e che non a caso sarà festeggiato al meglio questa sera con un suo recital sulla piazza del Campidoglio, omaggio dovuto della città a un suo figlio famoso che ha regalato divertimento a tutti con i suoi brani che hanno superato la generazione di riferimento, arrivando ai giorni nostri con la stessa freschezza della prima volta.
Insieme a Nico Fidenco, Gianni Mecccia e Jimmy Fontana, Vianello può considerarsi esponente di una "Scuola romana" dei cantautori, che faceva capo alla mitica RCA di Vincenzo Micocci e si contrappone alla cosidetta Scuola genovese (De Andrè, Tenco, Bindi, Lauzi, Tenco), per un genere più spiritoso e disimpegnato, che si prestava maggiormente alla fruizione estiva e al ballo.
Cugino di Raimondo Vianello e zio del giornalista Andrea (Mi manda Rai 3) ora vicedirettore di Rai 1, è uno tra gli artisti italiani che hanno venduto il maggior numero di dischi con 60 milioni di copie.
«Pinne fucile ed occhiali», «Abbronzatissima», «I watussi» le più famose e le più vendute e che sono entrate di diritto a far parte della colonna sonora dei favolosi anni Sessanta accompagnando l'Italia nel boom economico di quei tempi.
La prima partecipazione televisiva importante che lo fa conoscere al grande pubblico televisivo dopo gli esordi nei teatri e locali della Capitale, è "Studio Uno", il celebre show condotto da Mina (fu proprio lei a volerlo come ospite dopo averlo ascoltato cantare), con Don Lurio e le Gemelle Kessler, dove il 4 novembre 1961 lancia quello che sarà il suo primo grande successo "Il capello".
Lo ricordate? "Non è un capello ma un crine di cavallo uscito dal paltò...", brano che lo rende noto agli spettatori come cantautore scanzonato, caratteristica che lo contraddistinguerà sempre nell’arco della lunga carriera in cui ha collezionato una serie impressionante di successi con motivi orecchiabili e spensirati.


L'arrangiamento de "il Capello" è del premio Oscar Luis Enriquez Bacalov, mentre per i successivi 5 anni le orchestrazioni dei suoi dischi saranno curate da Ennio Morricone (due premi Oscar quindi), che con i suoi geniali arrangiamenti darà un valore aggiunto ai suoi pezzi firmati insieme al paroliere Carlo Rossi con cui formerà una coppia collaudata nel confenzionare canzoni allegre, spensierate  con testi umoristici e mai banali.
Nell'estate del 1962 "Pinne fucile ed occhiali" e "Guarda come dondolo", che saranno poi inserite nella colonna sonora del film "Il sorpasso" di Dino Risi, ne segnano l’affermazione definitiva, sia come compositore che come cantante.
L'anno successivo scrive per Rita Pavone "La partita di pallone", che sarà la canzone che porterà la popolare Pel di carota al successo, e "Sul cocuzzolo della montagna" e in quella estate veramente di fuoco ottiene altri due grandi successi discografici personali con "Abbronzatissima" e "I Watussi".
Alzi la mano chi non ha mai cantato insieme lui davanti un juke box o un televisore "A-a-bbronzatissima.." e "Nel continente nero, paraponzi ponzi po'..." ballando un hully gully. 
Nel 64 il singolo "O mio signore", melodica e intensa canzone firmata con con Mogol, arriva finalmente in prima posizione a Hit Parade e per due mesi comanda la classifica delle vendite. Nello stesso anno pubblica in estate "Hully gully in 10" e "Tremarella" che arricchiscono non solo la sua popolarità e il conto in banca, ma soprattutto il suo canzoniere di autore irresistibile e di successo.

 
E in questo periodo che incontrerà diventandone amico, Franco Califano, di cui musica il primo testo "Da molto lontano" e ne favorisce l'esordio come autore nell'ambiente. Un'amicizia sincera e duratura nel tempo la loro (fu Vianello a dare la notizia della scomparsa del Califfo su Twitter), che lo porterà ad organizzare in suo onore sulla scia dell'onda emotiva per la sua morte, l'evento "Non escludo il ritorno" a piazza del Popolo con i più grandi artisti italiani: da Minghi a Peppino di Capri, da Raf a Zampaglione, da Fiorello a Bonolis, da Fiorini a Fred Bongusto, a Mariella Nava ad Anna Tatangelo, Renato Zero, Max Tortora, Gianluca Grignani, Simone Cristicchi.
80 anni, ma lui dice 20 anni quattro volte, tre mogli, la prima Wilma Goich con cui diede vita al poplare duo i Vianella ("Semo gente de borgata" e "Fijo mio" firmate da Califano), il buon Edoardo è stato anche produttore e manager discografico dal grande fiuto.
Col Califfo infatti fondò l'"Apollo Records", etichetta molto attiva negli anni 70 con la quale incideranno Amedeo Minghi, Renato Zero, Wilma Goich, lo stesso Califano e i Ricchi e Poveri da loro soperti, che debutteranno a Sanremo con "La prima cosa bella" e  poi successivamente con "Che sarà".



Negli anni 80 con la partecipazione al film "Sapore di Mare" di Carlo Vanzina, successo clamoroso al botteghino che racconta una stagione felice del nostro costume nel quale interpreta se stesso e dove ben sette delle sue canzoni "storiche" fanno parte della colonna sonora, Vianello torna sulla cresta dell'onda con la sua musica di facile ascolto e presa, circostanza che si ripeterà al di là delle mode del momento ciclicamente sino ai giorni nostri.
Oltre seimila concerti da quando ha iniziato come professionista nel '59 quando debuttò in teatro con il trio Lauretta Masiero, Lina Volonghi e Alberto Lionello in una commedia di Salce, “Il lieto fine”, alla Capannina di Forte dei Marmi per la regia Alberto Bonucci, al quale si aggiungerà quello odierno del Campidoglio (in cui eseguirà tra le tante anche l'inedito "Piano piano)" e con la banda dei vigili urbani che aprirà la serata, un recital che suggella nel modo migliore una carriera densa di successi e di applausi.
Consensi unanimi per un grande personaggio del mondo dello spettacolo che non si è mai risparmiato sul palco per far divertire la gente e dietro le quinte con le sue scuole, per insegnare ai giovani come si diventa artisti. Applausi a scena aperta per un cantante amato da tutti per la sua simpatia e solarità che è arrivato a 80 anni con le pinne, fucile ed occhiali e non vuole smettere di nuotare nella musica. Auguri Edoardo!


 

giovedì 21 giugno 2018

Mia Martini, ecco il film

 di FRANCESCO TRONCARELLI

A dare il volto e la voce all'artista sarà Serena Rossi, premio David di Donatello per la colonna sonora di "Amore e malavita" e già trionfatrice di "Tale e quale show". Il film tv sarà presentato al prossimo Sanremo per i 30 anni di "Almeno tu nell'universo"




Si sono concluse le riprese di "Io sono Mia", il film tv che "racconterà la grande Mia Martini senza tacere sui pregiudizi mostruosi che le hanno avvelenato la vita", come ha spiegato il produttore Luca Barbareschi dopo l'ultimo ciak.
Protagonista della fiction sull'artista scomparsa nel 1995 a soli 47 anni è Serena Rossi, l'attrice nonchè bravissima cantante napoletana che ha spopolato in "Ammore e malavita" il film realizzato dai Manetti Bros presentato alla Mostra di Venezia e con cui ha vinto il David di Donatello per i brani interpretati nella colonna sonora.
L'attesissima fiction andrà in onda nel 2019, dopo il lancio che il direttore di Rai1 Angelo Teodoli vuole fare al festival di Sanremo in occasione dei trent'anni di "Almeno tu nell'universo" il brano scritto da Bruno Lauzi per la Martini che ne segnò il grande rilancio sulla scena del nostro pop.
"Saranno momenti emozionanti, in cui presentermo anche un inedito di Mia che ci ha dato Caterina Caselli e che sarà interpretato dalla Rossi", ha rivelato Barbareschi che ha così anticipato alcune situazioni che contribuiranno ad aumentare l'interesse e la curiosità per la pellicola.

                                            Serena Rossi sul set a Sanremo

La regia del film tv è di Riccardo Donna e la produzione è di Casanova Multimedia insieme a Rai Fiction con riprese tra Roma e Sanremo, le due città che hanno svolto un ruolo fondamentale per la carriera dell'artista scomparsa.
Il palcoscenico dell'Ariston in particolare ha rappresentato per Mimì momenti molto importanti con l'interpretazione di canzoni da brivido che hanno fatto la storia del festival, come "E non finisce mica il cielo", "Almeno tu nell'universo" già ricordata, "La nevicata del '56" e "Gli uomini non cambiano" fino al duetto nel 1993 con la sorella Loredana Bertè con "Stiamo come stiamo".



Dopo il grande successo riscosso attraverso la sua imitazione a "Tale e Quale Show", Serena Rossi non poteva non essere scelta per dare volto e voce a una delle cantanti più amate dal pubblico e apprezzate dalla critica. Un compito sicuramente non facile peraltro, al di là di una riproposione fine a se stessa in un talent, ma che la brava e srupolosa attrice ha svolto con rigore e grande professionalità, non solo  modificando e modulando il suo modo di cantare per essere il più possibile "vicina" alla cantante calabrese, ma anche studiandone la postura e il modo di muoversi per riproporre la sua persona al meglio.  
      


Una sfida con se stessa dunque per riuscire a dare al personaggio la massima corrispondenza, sia come donna con tutte le sue fragilità e passioni, sia come artista con tutte le sue qualità di interprete sensibile e di razza.
"Ed anche questa avventura è giunta al capolinea...Mimì quante eozioni mi hai regalato, quante note impossibili, quante lacrime, quanta felicità, hai rubato un pezzo del mio cuore. Ora è tuo".
Questo il pensiero sul progetto che l'ha vista impegnata anima e corpo per mesi e che Serena Rossi ha affidato alla sua pagina Instagram al termine delle riprese di "Io sono Mia". Parole toccanti e sincere che rilevano la passione con cui è entrata nella parte affidatale. Ora non resta altro che aspettare per ritrovare una grande e sfortunata artista di cui si sente tanto la mancanza 

 


  

martedì 19 giugno 2018

Lola Falana, da showgirl a suora


di FRANCESCO TRONCARELLI 
 
  

Rivedendola ballare e cantare insieme a Rocky Roberts l'altra sera a Techetechetè sono stati in molti a chiedersi "ma che fine ha fatto?". Una domanda che è rimasta appesa nel vuoto perchè di lei è da tempo che si sono perse le tracce. Di soliti i personaggi del mondo dello spettcaolo che sono stati molto popolari, anche se stranieri, prima o poi riemergono dall'album dei ricordi per comparire come graditi ospiti in quache programa che sull'amarcord punta tutto (tipo i Migliori anni), mietendo così consenso sicuro in termine di share.
 
Ma lei invece è sparita. E allora la domanda sorge spontanea nuovamente: ma che fine ha fatto Lola Falana? La "Venere nera", come veniva chiamata, che teneva incollato il pubbico televisivo (soprattutto maschile) davanti la tv negli anni a cavallo tra i 60 e i 70, dove si trova, che fa, perchè non se ne parla più? 
E' sparita perchè ha abbandonato il dorato mondo dello starsystem per pregare in silenzio e tranquillo misticismo in un convento. Da showgirl a suora, dal nudo su Playboy alla preghiera raccolta su un inginocchiatoio. Così è se vi pare. Ma andiamo con ordine e riavvolgiamo il nastro della storia per arrivare all'oggi.
Loletha Eline Falana nata a Camden nel New Jersey l'11 settembre del 1942 da padre cubano e da madre americana, ha vissuto la sua giovinezzza a Philadelphia dove ha studiato canto e ballo. Alta, bella e slanciata la ragazza è un talento naturale e non ci mette molto per farsi notare, tanto che vine scoperta dal braccio destro di Frank Sinatra, il grande Sammy Davis jr che la fece debuttare a Brodway nello spettacolo «Golden boy» che dal 1964 in poi ebbe un grandissimo successo. 
Quell'esordio eccellente nella città tempio dello spettacolo favorito da un pigmalione così illustre, fu un trampolino di lancio clamoroso che la lanciò come un personaggio applaudito ed apprezzato da tutti, attrazione principale degli spettacoli di Las Vegas e delle principali emitttenti televisive americane ad appena 24 anni, tanto che la sua fama arrivò ad alcuni talent scout italiani che la ingaggiarono e la fecero sbarcare nel nostro paese. E anche qui da noi fu subito boom.


La sua bravura e la sua sensualità come ballerina, legate al fascino dell'esotico che l'accompagnava, divennero ben presto le caratteristiche di un periodo nuovo delle trasmissioni d'intrattenimento nella nostra televisione. Era una regina del sabato sera, la vedette dell'appuntamento principale della programmazione televisiva di Mamma Rai e i media si occupavano di lei continuamente. 
 
Nel 1967 infattti Lola Falana faceva parte del cast del varietà  «Sabato sera», un contenitore cult, che aveva nella regia di Antonello Falqui e e i testi di Maurizio Jurgens i principali artefici del successo.
Lola ballava in coppia con don Lurio (Testa e spalla, il famoso balletto) e cantava con Rocky Roberts, il re della hit parade con "Stasera mi butto" con cui ebbe un flirt e girò alcuni Musicarelli,  accompagnata dalle musiche di Bruno Canfora mentre la trasmissione veniva magistralmente condotta da Mina in accoppiata con Lelio Luttazzi.


La Falana ballava con la leggerezza di una piuma e cantava «sono una donna dalla cima dei capelli al profumo della pelle» e faceva così sognare a colori in quel periodo in cui la tv era in bianco e nero. Insomma alla giovane «Venere nera» non mancava proprio nulla per evocare nell'immaginario collettivo italiano l'icona di femmina fatale. Venti milioni erano i telespettatori che ogni sabato erano là davanti al piccolo schermo e per molti di questi uomini Lola Falana era sicuramente la donna del desiderio. 


 La carriera di Lola va avanti e prosegue così come la sua vita, proiettata sempre di più verso il successo personale e la notorietà. Torna negli Stati Uniti nel 1970 per girare un film con la regia di William Wyler dal titolo «Il silenzio si paga con la vita» che la proietta verso il Golden Globe. Posa senza veli per un servizio fotografico su Playboy e si sposa con Feliciano Tavares musicista leader dell'omonimo gruppo Tavares che in quel periodo era sulla cresta dell'onda, tutti momenti di un'esistenza sotto i riflettori e sulle pagine delle riviste di gosip.
La vita insomma scorre rapida e felice per la "Venere nera» che vive e lavora dividendosi tra gli Stati Uniti e l'Italia dove è ancora protagonsita dei sabati televisivi a fianco di un irresistibie Gino Bramieri in "Hai visto nai". 


Poi, la "botta" che stravolge tutto. Sul finire degli anni 80 a Lola è diagnosticata la sclerosi multipla. Un dramma che cambia la Falana anche dentro. La showgirl si avvicina alla preghiera e decide di andare a Medjugorie, dove racconta che un giorno ha sentito la presenza di Dio accanto a sè: «sentii succedere qualche cosa alla base della testa, una calda sensazione spostarsi lungo il braccio lentamente. Da quel momento migliorai sempre di più ed oggi sono perfettamente guarita». 
Dopo quel viaggio miracoloso Lola Falana ha intrapreso una strada di devozione e di fede. A chi le ha chiesto notizie  riguardo la sua vita passata, la Falana ha risposto «prima pensavo al mio futuro, e alla mia vita come artista, ora penso alla mia vita come serva di Dio".
Così Lola Falana vive oggi in un monastero di clausura alle porte di Las Vegas da suora laica, in simbiosi con le carmelitane che vivono là dentro, raccontando a chi incontra e che non ha avuto, come lei il dono della fede, di guardarla perché dice se «sono perfettamente guarita è perché non ho mai dubitato di Dio». 


Con gli occhioni sgranati da gazzella e un cerchietto nero che ferma i capelli, in un abito bianco molto accollato su cui brilla un crocefisso d' oro, Lola Falana a 75 anni compiuti, ha ancora il suo fascino. Ma è un'altra. Adesso vive per seguire Dio, conduce una vita assolutamente casta e ha fatto voto di non comparire mai più in un night club, in un casinò o in altri luoghi in cui non si santifica il Signore. C'era una volta la Venere nera, ora c'è solo sorella Lola, la donna che visse due volte, passata da un giorno all'altro dalle stelle di Broadway allla luce del Signore. E che la pace sia con lei, amen.


lunedì 18 giugno 2018

Raffaella Carrà, la signora della tv compie 75 anni





di FRANCESCO TRONCARELLI
Il compleanno di Nostra signora della televisione. Una lunga carriera di successi da “Canzonissima” a “The Voice”. Grande professionista, autoironica e benvoluta da tutti, ha venduto milioni di dischi ed è stata la prima a mostrare l’ombelico col “Tuca tuca” ballato con Alberto Sordi


Raffaella Carrà compie gli anni, sulla sua torta ci sono 75 candeline. Carramba che sorpresa! È il caso proprio di dirlo. Sembra incredibile infatti che un’icona senza tempo come lei, abbia raggiunto un età che per molti è sinonimo di tranquilla pensione, ed è ancora più incredibile dopo averla vista dimenarsi sulle note del remix del suo “A far l’amore” realizzato da Bob Sinclair, ma l’anagrafe non mente. E racconta della bellezza di settantacinque primavere portate col fascino e la verve di sempre, per la più amata dagli italiani, la vera e autentica più amata da “Trieste in giù”, proprio come quella cucina che reclamizzava.

75 anni ballando dunque, 75 anni sotto i riflettori e davanti al pubblico, 75 anni col caschetto biondo platinato in perenne movimento ma che torna immediatamente a posto (inventato per lei dai Vergottini di Milano). 75 anni da Carrà, ovvero da attrice (da Mastroianni a Frank Sinatra passando per Little Tony), cantante (“Ma che musica”, “Chissà se va”, “Tanti auguri”, “Ballo ballo”, “Rumore”, “Fiesta”) con milioni di copie vendute e 14 dischi d’oro, conduttrice, showgirl.

Bolognese, cresciuta a piadine a Bellaria nel bar della madre, Raffaella Maria Roberta Pelloni in arte Carrà e per tutti semplicemente Raffa,  ha cominciato col ballo giovanissima con la mitica insegnante Jia Ruskaja, da qui il rigore nell’approccio al lavoro, ha proseguito col cinema, diplomandosi al Centro Sperimentale ma ha sfondato con la televisione sino a diventarne uno dei volti più noti e applauditi dal grande pubblico e praticamente la regina.

Dal debutto come primadonna nello show “Io, Agata e tu” insieme al maestro Nino Taranto e a fianco di Nino Ferrer nel ’69 è stato tutto un crescendo di consensi e affermazioni. “Canzonissime” con Corrado e “Milleluci” con Mina nella tv in bianco e nero e monopolista di Mamma Rai, per poi proseguire nel colore di “Fantastico” , “Domenica in”, Sanremo, Eurofestival e tanti show del sabato sera anche alla corte di Sua Emittenza.

La  prima a far vedere l’ombelico in tv con il celebre “Tuca tuca”, lanciato con Enzo Paolo Turchi ed elevato alla massima potenza nell’esecuzione con Alberto Sordi (1971), la prima a condurre un programma a mezzogiorno tra fagioli da indovinare e miracoli davanti al video con “Pronto, Raffaella?” (1983), la prima con un varietà condito da storie di gente comune e una schiera di aitanti valletti di contorno con le varie edizioni di “Carramba, che sorpresa” e  “Carramba che fortuna”, negli anni Novanta e oltre.


Raffaella è l'unica donna che è stata capace negli anni a tenere testa ai mostri sacri della tv come Pippo Baudo, Mike Bongiorno, Corrado e Alighiero Noschese. E a giocare alla pari con una star del calibro di Mina (nell'indimenticabile "Milleluci").

Insomma Raffa, sempre Raffa, fortissimamente Raffa. Ieri come oggi, la Carrà è sempre stata sé stessa e soprattutto un numero uno. Un’artista autoironica e mai volgare, sensibile e solare, grande professionista e rispettosa del pubblico, capace di reinventarsi sempre e di non stancare mai, più moderna e vitale di tante “colleghe” più  giovani. Una donna che ha avuto tre grandi amori nella sua vita: Boncompagni, Japino e il lavoro. Sono lontani i tempi di "Fantastico" o del Festival di Sanremo o del più recente "The Voice", la signora della tv, ora ha scelto di "ritirarsi".

 Lontano dai social e dalla vita mondana preferisce trascorrere il suo tempo nella casa all'Argentario, giocando a tresette e cucinando per gli amici. Per tutto questo, è un personaggio del mondo dello spettacolo benvoluto da tutti. Vip e nip. Per tutto questo, farle gli auguri è il minimo. Se li merita senza se e senza ma. E allora buon compleanno Raffaella, cento di questi giorni. Tanto non li dimostri.

giovedì 14 giugno 2018

Sanremo, Claudio Baglioni fa il bis



 di FRANCESCO TRONCARELLI

Dopo un lungo corteggiamento, Claudio Baglioni ha accettato l'incarico di direttore artistico del 69esimo Festival di Sanremo. "Sono molto contento del positivo esito della trattativa sulla direzione artistica del prossimo Festival della Canzone italiana a Sanremo - ha annunciato il dg della Rai Mario Orfeo - È un grande onore oltre che motivo di orgoglio per tutta la Rai essere riusciti a convincere un grande musicista e compositore come Baglioni a concedere il bis seguendo un percorso di condivisione e di costruzione del progetto artistico".
Queste le dichiarazioni che sono state battute dalle agenzie e che hanno fatto subito il giro del web, rilanciate da tutte le testate e siti specializzati. Lo stesso Baglioni ha rilanciato il tweet dell'uffcio stampa dell'emittente di stato che dava la notizia, confermndo così l'accettazione della proposta dei vertici di viale Mazzini
"Da febbraio a oggi - ha aggiunnto Orfeo - c'è stato un vero e proprio corteggiamento e non poteva essere altrimenti considerato il successo di critica e di pubblico e i record ottenuti nella sua prima volta da direttore del Festival. A Baglioni un grande in bocca al lupo per l'edizione numero 69 e per questa seconda avventura insieme con la Rai, con lo stesso entusiasmo che ha caratterizzato quella straordinaria di quattro mesi fa".
L'edizione 2018 del festival targato Baglioni si è svolta dal 6 al 10 febbraio ed è stata vinta da Ermal Meta e Fabrizio Moro con "Non mi avte fatto niente" tra i Big e da Ultimo tra le nuove proposte con il brano "Il ballo delle incertezze"
Sul palco accanto a Baglioni, c'erano i cnduttori Pierfrancesco Favino e Michelle Hunzicker, la diretta su Rai 1 ha fatto registrare una media del 52,16% di share ed è risultata in termini di share, l'edizione più seguita di Sanremo dal 2005. La media degli spettatori nelle cinque serate è stat di 10 milioni e 869 mila.
Comprensibile con questi numeri la volontà da parte della Rai di confermare il Divo Claudio anche se le perplessità da parte di quest'ultimo erano molte. A cominciare da quelle di mera opportunità, nella consaplevolezza della difficoltà di potersi ripetere in termini di ascolti, ma la Rai non ha mollato la presa corteggiandolo con insistenza garantendogli nuovaente la mano libera in termini di organizzazione e un nuovo sontuoso contratto. E alla fine il cantautore di "Questo piccolo grande amore" è capitolato. Ma quanta fatica e dubbi da sciogliere, considerato quello che era successo alla vigilia dell'ultimo festival quando quasi nessuno era disposto a scommettere un euro sul buon fine della formula. Innanzitutto perchè il boom dell’anno precedente con Carlo Conti e Maria De Filippi sul palcoscenico dell'Ariston fu davvero di grande impatto. E poi togliere le eliminazioni dei cantanti in gara rischiava di far perdere vivacità allo show. 
La flemma di Baglioni sul palco poi poteva non dare scioltezza al tutto. La stessa Michelle Hunziker per la prima volta vera conduttrice era un enigma. E che dire di Pierfrancesco Favino «principiante» del piccolo schermo, un punto interrogativo enorme. Tutte perplessità che alla fine si sono rivelate scelte vincenti. Perchè il trio ha funzionato a meraviglia, le canzoni sono piaciute ed alcune sono diventate dei tormentoni che hanno cantantato tutti come quella dello Stato Sociale, ed infine la musica ha avuto grande spazio come aveva voluto e promesso Baglioni senza far perdere ascolti. Davvero difficile ripetere quindi un exploit di tale portata, ma tant è la sfida è stata raccolta dal cantautore romano che proprio nel 2019 festeggerà i 50 anni di carriera e adesso viene il bello. A cominciare da chi lo affiancherà. Staremo a vedere.

mercoledì 13 giugno 2018

Grease, 40 anni di un mito


di FRANCESCO TRONCARELLI

Il ciuffo a banana alla Elvis, le t shirt attillate e i giubbotti di pelle, ma anche le gonne a campana, i golfini e i capelli cotonati e soprattutto la voglia di divertirsi al college tutti insieme appassionatamente. Anni 50 la gioventù americana vive un momento magico sulla scia del boom e del progresso economico che attraversa il paese, tutto sembra bello e per arrivare al malessere generazionale e alla  contestazione studentesca alla guerra del Vietnam ce ne vorrà di tempo, anni.
Ora è tempo solo di "Grease", il film diventato un cult per tante generazioni che ha la brillantina spalmata nel titolo come simbolo di una irresistibile leggerezza che avvolge un'epoca fatta di sogni, musica e gioia di vivere prima di diventare adulti.
Era il 1978 e quella pellicola tratta dal musical omonimo che narrava le vicende di brave ragazze in cerca del principe azzurro alla Sandra Dee di "Scandalo al sole" e ribelli senza causa (meno probematici e tormentati della "Gioventù bruciata" capitanata da James Dean), esplodeva in tutto il mondo suscitando entusiasmi ed ottenendo incassi record.
Il 13 giugno di quarant'anni fa, l'anteprima del film veniva festeggiata nel mitico Studio 54 di New York con un party affollatissimo di vip e personaggi che fanno notizia come Elton John, Andy Warhol, Grace Jones, Brookie Shields e Bianca Jagger che fece da vero e proprio volano al lancio mondiale della pellicola che sarebbe diventata un mito oltre che un fenomeno di costume.




La storia di Danny Zuko, leader della banda dei Thunderbirds con un'immagine da duro da difendere interpretato da Travolta e l'ingenua Sandy impersonata da Olivia Newton John e dei loro amici raccolse subito le simpatie del pubblico e determinò anche un ritorno nella moda a quegli anni irresistibili.
"Grease" nasceva sull’onda de "La febbre del sabato sera" dell'anno precdente, in cui i giovani si ritrovavano nelle discoteche per ballare e per sfuggire allo squallore quotidiano. Il produttore Robert Stigwood cercava di replicarne il successo, e scelse di portare sullo schermo la commedia musicale di Jim Jacobs e Warren Casey, con la regia di Randal Kleiser. Per il ruolo del protagonista i distributori volevano Henry Winkler, il popolare Fonzie di Happy Days che però rifiutò l'offerta temendo di rimanere imprigionato per sempre in un certo tipo di ruolo, cosa peraltro che avvenne lo stesso con l'aggravante di aver perso una grande occasione.
Pensarono poi a Patrik Swayze, che aveva interpretato l’iconico Danny Zuko già sul palcoscenico di Broadway, alternandosi con un giovanissimo Richard Gere, ma il futuro interprete di "Dirty Dancing" e "Ghost" non potè accettare perchè afflitto da problemi fisici al ginocchio che gli costarono una serie di operazioni. Alla fine la parte andò a Travolta, diventato una stella con il suo Tony Manero e la musica dei Bee Gees.



Nel film interpreta il classico badboy sciupafemmine, che deve difendere la sua reputazione davanti agli amici, ma che in fondo è un tenerone. A fargli perdere la testa è un angelo venuto dall’Australia, una bionda acqua e sapone attenta alle regole e alle buone maniere che ha il volto e la fisicità di Olivia Newton-John, che come raccontano le corrispondenze dal set, fece perdere la testa un po’ a tutti, compreso lo stesso Travolta, che di fan ne aveva a bizzzeffe specialmente quando si metteva a  cantare e ballare con quei tipici movimenti che lo avevano fatto diventare famoso.




"Grease" venne distribuito in Italia ovviamente doppiato, tranne che per le canzoni che a quarant'anni dal debutto sono tuttora in vetta alle classifiche. “You’re The One That I Want” e "Summer Nights" sono rispettivamente all'ottavo e ventunesimo posto della top list dei singoli più venduti di tutti i tempi. Nel 2011 il film è tornato nelle sale nella versione restaurata con i sottotitoli. Pochi si sono accorti però che la versioene rieditata contiene un errore di traduzione. Nel corso della gara di macchine, lo sfidante dice a Zuko/Travolta che correranno per le Pink Ladies, le ragazze appunto “in rosa” della Rydell School. In realtà la battuta è “We run for pinks”, che negli Stati Uniti erano i permessi per guidare legalmente un’auto sportiva. Ma tale sottigliezza sarebbe stata un’impresa farla capire al pubblico di casa nostra che era e lo è ancora oggi, attratto esclusivamente da una favola moderna che faceva sognare una vita a colori senza tanti pensieri e che quella "brillantina" romantica e musicale proponeva senza risparmiarsi



lunedì 11 giugno 2018

"Una carezza in un pugno", storia di una gemma del pop




di FRANCESCO TRONCARELLI
La scomparsa di Gino Santercole ha riportato d’attualità una delle canzoni più belle del nostro pop scritta da lui e che tutti, ma proprio tutti, sui social come nei media, hanno ricordato per sottolineare il talento dell’ex artista del Clan.
E non c’è dubbio che “Una carezza in un pugno” sia un brano di quelli che hanno fatto la storia della nostra musica leggera, un pezzo diventato nel tempo un evergreen e che tutt’ora emoziona per il testo, la musica e l’atmosfera coinvolgente che evoca ogni volta che lo si ascolta.
Riavvolgiamo allora il nastro della storia e vediamo la genesi di questo pezzo che piace ancora così tanto e non smette di suscitare piacevoli ricordi e sensazioni positive.  
Nel 1968, dopo aver portato con non poche polemiche 'Canzone' di Don Backy a Sanremo, Adriano Celentano è impegnato sul set del film di Pietro Germi 'Serafino'. E' una pellicola su cui punta molto per consolidare la sua carriera di attore. Un ruolo minore è previsto anche per Gino Santercole, figlio di sua sorella Rosa e tra i fondatori del Clan: "Dove andava lui andavo anch'io -ricordava sempre il nipote del boss-, dove lavorava lui voleva che lavorassi anch'io, lui faceva l’orologiaio e io comincia a riparare orologi, eravamo come due fratelli. Poi lui ha iniziato a fare il cantante, mentre io ero il primo chitarrista dei Ribelli. Il Clan era un po' una sorta di continuazione della nostra famiglia meridionale che abitava in via Gluck".
Le riprese assorbono moltissimo il Molleggiato che sacrifica la sua attività discografica. Ma Adriano su questo fronte è tranquillo, nell’etichetta discorafica lavorano i suoi amici e fedelissimi che gli sanno confezionare brani su miura per lui.

Il gruppo di lavoro formato da Micky del Prete, Luciano Beretta (autori di tutti i successi del Capo a cominciare dal Ragazzo della via Gluck”, sta preparando un pezzo nuovo insieme a Santercole, con cui ha già realizzato “Un bimbo sul leone”.
Il brano che i tre firmano insieme s’intitola “Una carezza in un pugno” e determinante alla realizzazione del progetto risulterà l’arrangiamento del maestro Nando De Luca, altro fedelissimo del Clan di assoluto valore.
L'uscita del 45 giri di 'Una carezza in un pugno' nella primavera del '68 mentre l'italia s'infiamma per la Contestazione giovanile e sindacale sembra più che altro un contentino per i fan, un modo per essere sempre presente alla radio e nei juke box tenuto conto che Adriano punta tutto e a ragione, sul film di Germi. Come lato B, viene scelta una canzone di Paolo Conte e Vito Pallavicini, intitolata 'Azzurro' che Conte allora semisconosciuto avvocato astigiano aveva musicato con una marcetta orecchiabile.
Sono due pezzi anomali per il repertorio del Capo, due brani che per come sono stati costruiti confermano il crescente distacco stilistico sia dal Celentano 'molleggiato' che dai gusti giovanili del tempo, orientati verso la musica dei complessi beat italiani e stranieri e le canzoni di protesta. Entrambi sono caratterizzati da un'orchestrazione sontuosa grazie all’arrangiamento di De Luca, cui fa da contrappunto un cantato trascinato, quasi svogliato - dovuto anche secondo le rivelazioni del fonico Piero Bravin, a un lieve raffreddore e al desiderio di sbrigare la pratica in fretta (l'incisione richiese poche ore. Un'eresia, per i produttori odierni).
'Una carezza in un pugno' è una ballata lenta stile western, che per certi versi fa venire in mente l'analogo percorso dell'idolo di gioventù di tutti i componenti del Clan Elvis Presley, anche lui cresciuto e ormai meno incline a scuotere il bacino che lo aveva reso famoso come Elvis the pelvis.



La musica, melodiosa e accattivante è tutta di Santercole che si è ispirato all'atmosfera coinvolgente di "Strangers in the night" di Frank Sinatra, mentre le parole sono di Beretta e Del Prete. Come fece notare il critico del Corriere della Sera Mario Luzzatto Fegiz, il testo è "la sintesi del sentimento di ogni persona: a mezzanotte la certezza, a mezzanotte e tre il dubbio".
Impagabilmente celentanesca, poi, la scelta del linguaggio, con piccole imperfezioni inaccettabili in un altro cantante: "Non vorrei che tu stai già pensando". Aveva ricordato Santercole: "Beretta veniva a casa mia, io gli facevo sentire le mie canzoni, certo io collaboravo ai testi delle canzoni, ma il vero poeta del Clan era lui. Grande poeta, grandissimo paroliere”.
Due settimane dopo l'uscita del 45 giri, e una ospitata in tv di Adriano che presenta alpublico “Una carezza in un pugno”, succede qualcosa di imprevedibile. Dopo un paio di passaggi radiofonici di 'Azzurro', i negozianti - e subito dopo i discografici - si accorgono che per quanto 'Una carezza in un pugno' piaccia, la gente è sempre più conquistata dal "lato B" del disco.
Lo stesso Celentano ne rimane sorpreso (salvo poi assicurare che era "tutto calcolato"). Quando, dopo due mesi di presenza in hit-parade, il disco arriva al primo posto, le ristampe hanno sancito il cambio della guardia: sul "lato A" c'è 'Azzurro' che spicca il volo definitivamente diventando insieme al Ragazzo della via Gluck, la signature song di Adriano.
La rivincita della “Carezza” avverrà 25 anni dopo, grazie a Fiorello ("Ho venduto mezzo milione di dischi con le copie delle sue canzoni. Adriano è un classico"). Durante la trasmissione "Karaoke" (1993), il giovane showman, all'epoca caratterizzato dalla coda di cavallo, ripropone più volte la sua versione di 'Azzurro' e 'Una carezza in un pugno'.

E tra le due, poi incluse nell'album "Karaoke compilation", è quest'ultima a ottenere più consensi. Viene infatti scoperta da una nuova generazione, e riscoperta da quelle precedenti che la eleggono come brano che ha segnato amori duraturi e flirt estivi, un classico cioè delle canzoni da dedica radiofonica o da poter cantare nelle serate in compagnia con gli amici e una chitarra a dettare il ritmo dei ricordi e delle emozioni. 



Alessandro Momo, 50 anni dopo

 di FRANCESCO TRONCARELLI Chissà cosa avrebbe detto della Lazio di Baroni Alessandro Momo. Sicuramente sarebbe stato contento di vederla gio...