giovedì 30 aprile 2020

Tanta voglia di Pooh

di FRANCESCO TRONCARELLI
 


«... mi dispiace di svegliarti
 forse un uomo non sarò
 ma ad un tratto so che devo lasciarti
 fra un minuto me ne andrò ...»


Nella prestigiosa carriera della band più amata del nostro pop, c'è una data fondamentale. Importante e decisiva per la loro sorte. Perchè quella della svolta definitiva e dell'inizio di un successo inarrestabile durato per decenni.

La band, anzi il complesso come allora venivano chiamati i gruppi che suovano le chitarre sulla scia del successo mondiale dei Beatles era quello dei Pooh, la data quella del 30 aprile del 1971. Un 30 aprile come oggi.

Quel giorno negli scaffali dei negozi dei dischi di tutta Italia arrivava il loro nuovo singolo, un 45 giri che li avrebbe lanciati per sempre. Quel pezzo era "Tanta voglia di lei", brano che nel giro di pochi mesi riporterà nuovamente i Pooh nelle classifiche, da cui mancavano dal lontano 1968, dopo il discreto successo di "In silenzio/Piccola Katy".

Questo singolo pubblicato dalla CBS che crede molto in loro, porterà i quattro ragazzi per la prima volta a raggiungere i vertici dell'Hit Parade, la trasmissione che ogni venerdì per la voce di Lelio Luttazzi annunciava i dieci pezzi più venduti della settimana e ci resta per 10 punate. Un successone insomma grazie al quale tutti scoprono i Pooh.


Lato B del disco d'oro è "Tutto alle tre", questo come il pezzo principale è stato scritto per quanto riguarda i testi da Valerio Negrini, batterista fondatore del complesso e l'unico degli originari componenti e da Roby Facchinetti per le musiche.

Decisivi per il successo del disco, gli arrangiamenti, curati da Gianfranco Monaldi, il maestro e compositore di tante colonne sonore per il Cinema che aveva trionfato qualche anno prima all'Eurofestival insieme alla Cinquetti col suo "Non ho l'età" come direttore d'orchestra.

Soprattutto "Tanta voglia di lei" che è impreziosita da un'introduzione strumentale, affidata ad una sontuosa orchestra di 22 archi e suggerita appunto da Monaldi ai Pooh, ma è tutta l'atmosfera che si respira dall'ascolto del brano, derivata dai suoni dell'orchestra al posto degli abituali accompagnamenti e assoli delle chitarre elettriche, che dà al brano una intensità da grande pezzo.

Così come per gli arrangiamenti orchestrali, il nuovo produttore del complesso Giancarlo Lucariello decide di affidare alla voce di un giovane Dodi Battaglia l'interpretazione della canzone, una scelta motivata dal suo intendimento di non voler lasciare al solo Riccardo Fogli il ruolo in pratica di frontman del gruppo.

La genesi della canzone è molto tormentata. Dopo aver scritto la melodia nella sua casa di Bergamo, Roby Facchinetti affida il brano a Negrini, considerato il poeta del gruppo. Ne nascono testi che non soddisfano il produttore Lucariello e vengono scartati man mano i titoli più improbabili come "Meno male", "Tutto il tempo che vorrai" e "La mia croce è lei".

I Pooh con Valerio Negrini nel 1971
La casa discografica decide allora di affidare le liriche al paroliere Daniele Pace (Nessuno mi può giudicare, Viso d'angelo, La Tramontana, Io per lei), che ne esce con un testo che si rifà a My Sweet Lord, pubblicata l'anno prima dall'ex Beatle George Harrison.

Dodi Battaglia si ritrova ogni volta a dover cantare la canzone su un testo diverso, finché Negrini non porta la versione definitiva del brano, intitolato "Nel mondo tanta voglia di lei", quindi successivamente accorciato in "Tanta voglia di lei".

Questa, che racconta la storia di un tradimento con la "strana amica di una sera" con ritorno a casa da pentito del protagonista, sarà la versione definitiva di una delle canzoni più popolari e rappresentative del complesso con cui tra l'altro arriverà secondo al Festivalbar vinto da Demis Roussos con "We shall dance".

Sarà il brano più gettonato nelle balere e discoteche al momento dei lenti, nella estate di fuoco 1971, anche a dispetto delle numerose donne che lo hanno ballato strette strette al proprio uomo, probabilmente senza nemmeno rendersi conto del senso della canzone che invece fu contestata dalle femministe.

Venne piuttosto privilegiata, come spesso accade quando un pezzo diventa popolare, la melodia accattivante e coinvolgente del brano rispetto al significato del testo e il "mi dispiace devo andare il mio posto è là" vinse ogni contestazione. E fu trionfo. 


mercoledì 29 aprile 2020

Ma il cielo è sempre più blu: 50 artisti per la CRI

di FRANCESCO TRONCARELLI



Il mondo della musica per la Croce Rossa. 50 artisti "riuniti" per cantare un brano simbolo di queste giornate di quarantena e fra i più conosciuti da sempre del nostro pop. Un evento nell'evento a fin di bene.

E' stata registrata ‘a distanza’ una versione corale de “Ma il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano, che è stato, fin dai primi giorni di distanziamento sociale, la scelta popolare per poter far sentire che l'Italia c’è.

L'elenco dei partecipanti è ovviamente lungo e i nomi sono tutti conosciuti. Alessandra Amoroso, Annalisa, Arisa, Baby K, Claudio Baglioni, Benji & Fede, Loredana Bertè, Boomdabash, Carl Brave, Michele Bravi, Bugo, Luca Carboni, Simone Cristicchi, Gigi D'Alessio.

Ancora, Cristina D'Avena, Fred De Palma, Diodato, Dolcenera, Elodie, Emma, Fedez, Giusy Ferreri, Fabri Fibra, Fiorello, Francesco Gabbani, Irene Grandi, Il Volo, Izi, Paolo Jannacci, J-Ax, Emis Killa, Levante, Lo Stato Sociale, Fiorella Mannoia.

E poi Marracash, Marco Masini, Ermal Meta, Gianni Morandi, Fabrizio Moro, Nek, Noemi, Rita Pavone, Piero Pelù, Max Pezzali, Pinguini Tattici Nucleari, Pupo, Raf, Eros Ramazzotti, Francesco Renga, Samuel, Francesco Sarcina, Saturnino, Umberto Tozzi, Ornella Vanoni... e Alessandro Gaetano.



L’idea è di Franco Zanetti, che da Rockol ha lanciato la proposta, subito accolta Takagi & Ketra e Dardust, che ci hanno coinvolti e uniti nell'impresa di produrre un brano corale senza precedenti, mixato da Pinaxa.

Il brano sarà disponibile su tutte le piattaforme digitali venerdì 8 maggio 2020, e sarà possibile ascoltarlo per la prima volta durante l’evento di lancio giovedì 7 maggio alle 18.00 su www.amazon.it/italianallstars4life.

Amazon e le principali associazioni industriali del settore musicale come AFI, FIMI e PMI promuovono questa iniziativa con la donazione alla Croce Rossa Italiana, sostenendo “Il Tempo della Gentilezza", progetto della CRI a supporto delle persone con maggiori vulnerabilità sociali e sanitarie durante l’emergenza Covid-19.

In attesa di ascoltare questa versione così particolare, ripassiamo qualche notizia sul brano inciso dal cantautore calabrese 45 anni fa. Un pezzo che gli aprì le porte del successo dopo qualche flop iniziale e soprattutto molta diffidenza da parte dell'ambiente e dai saccenti della critica.

Rino aveva lasciato la sua Crotone per raggiungere la capitale, sperando insieme ai genitori di trovare lavoro. Aspirante Geometra con scarsa attitudine verso i banchi di scuola, coltivò da subito i suoi interessi verso il teatro e quell'ambiente.

Impara a suonare la chitarra e compone le sue prime canzoni, ma il suo modo scanzonato e ironico di proporre i pezzi che ha scritto viene considerato da subito "troppo originale e poco in linea" con lo stile del periodo piuttosto serioso e di stampo ideologico. Viene però lo stesso notato da alcuni discografici con Vincenzo Micocci in testa, suscitando in loro una certa curiosità.



Ma lui ha la testa dura, nonostante la delusione per  la prima grande batosta legata al suo disco d'esordio, l'istinto creativo non l'abbandona. Tra le mura della sua stanza del seminterrato che abita coi genitori portinai del palazzo, si rimette a comporre e nasce "Ma il cielo è sempre più blu". E' un brano di rottura rispetto a quello che si sente in giro.

Il testo si basa su parallelismi che esprimono le contraddizioni della società, economiche, sociali e così via ma nonostante tutte queste disuguaglianze il cielo è lo stesso per tutti. La canzone piace alla casa discografica, la It e si fa il disco.

Il brano che nel formato originale durava 8 minuti e 23 secondi, nella prima versione fu diviso in due parti (una per lato). Esce nella primavera del 75, ma viene subito censurato e Rino deve modificare due frasi che la radio non può trasmettere: "Chi tira la bomba/chi nasconde la mano" e "chi canta Baglioni/chi rompe i coglioni".

Come il flash di un fotografo, il cantante sa cogliere con dissacrante ironia i mille volti dell'esistenza umana e quel modo di cantare luoghi comuni e verità indicibli mescolando fonetica calabrese a inflessione romanesca spacca, il pubblico resta abbagliato e compra il suo disco.
Finalmente la strada non è più in salita, è successo pieno con tanto di consacrazione a Hit parade, ma l'arte di Rino verrà apprezzata e capita appieno solo dopo la sua tragica e prematura scomparsa. Per quei tempi era troppo avanti. Come questa canzone. Eccola.



martedì 28 aprile 2020

C'era una volta la 3ª C

di FRANCESCO TRONCARELLI


Il flash d'agenzia sulla scomparsa di Claudio Risi, figlio d'arte e regista anche lui, insieme al dispiacere per la sua prematura dipartita, di riflesso come spesso accade in questi casi, ha fatto tornare alla mente uno delle serie televisive più amate dal pubblico, che il figlio del grande Dino Risi aveva diretto e sceneggiato insieme ai fratelli Vanzina.

Sì, avete capito, proprio quella, la più amata di tutte quelle realizzate da Mediaset, la mitica "I ragazzi della 3 C" che andò in onda su Italia 1 per tre stagioni dal 1987 all'89 per un totale di 33 episodi e che poi è stata replicata più volte negli anni successivi, sempre con indici di gradimento altissimi.

Le vicende, spesso goliardiche, di questa classe di studenti conquistarono il pubblico giovanile, che non si perdeva neanche una puntata facendone propri tutti i tormentoni e quello più adulto che riviveva con nostalgia in quelle scene, momenti legati alla propria esperienza scolastica.

Dal pluri-ripetente Lazzaretti, al paffuto Bruno Sacchi, dalla sofisticata Sharon Zampetti, figlia di un industriale di salumi, alla fascinosa e misteriosa Benedetta, ragazza dark appassionata di occultismo e cinema coreano, per continuare con le due secchione Elias e Tisini, il belloccio Massimo e gli eterni fidanzatini Daniele e Rossella, tutti i personaggi della serie che scimmiottava le storie di Fonzie e compagni, non a caso fu definita "la risposta italiana ad 'Happy days'", divennero popolarissimi.

Sebbene gli attori appaiano un po' avanti con l'età per interpretare dei liceali (la più giovane ha 20 anni) e la serie abbia avuto vita relativamente breve rispetto ai canoni odierni, il telefilm divenne presto cult e i tormentoni e le battute ripetute dai personaggi hanno segnato la memoria collettiva di una generazione. A distanza di 31 anni dall'ultima puntata, la domanda sorge spontanea: che fine hanno fatto i protagonisti?



Fabio Ferrari, figlio del grande attore Paolo, era Enrico Lazzaretti, conosciuto da tutti come "Chicco", fiero pluriripetente e battutista della classe. Ha 24 anni e nessuna intenzione di lasciare i banchi di scuola. Indimenticabile la puntata in cui partecipa al quiz "Superstrike" e, pur di non riconoscere la sconfitta della Roma nella finale con il Liverpool del 1984, dichiara che la partita non è stata mai giocata e in nome della "fede" perde 240 milioni di lire. Dopo la serie, Ferrari che in realtà è un acceso tifoso della Lazio, ha recitato in altre serie di successo come "College" e successivamente ha lavorato con registi come Pupi Avati, Ettore Scola e Giovanni Soldati. Negli ultimi tempi si è dedicato molto al teatro, ha compito 60 anni e la sua ultima apparizione al cinema è nella pellicola "Il viaggio", girata nel 2017 da Alfredo Arciero.


Fabrizio Bracconeri era il bambacione Bruno Sacchi, ingenuo ragazzo della periferia che, nonostante l'impegno sui libri, riesce a racimolare solo brutti voti (indimenticabile il tormentone del professore d'italiano "Sacchi...3". Imbranato e esageratamente coccolato dai genitori, Bruno ispira simpatia ed è certamente uno dei personaggi più amati della serie. Al cinema Bracconeri aveva debuttato nel 1983 in "Acqua e Sapone" di Carlo Verdone, per diventare poi volto storico di "Forum" accanto a Rita Dalla Chiesa. Oggi ha 55 anni e dopo aver preso parte ai "Cesaroni", ha tentato la carriera politica candidandosi nel 2014 alle elezioni europee per Fratelli d’Italia.




Renato Cestiè era Massimo Conti, studente che ama lo sport ed è considerato il bello della classe. Molto legato a Chicco, si dimostra sempre una persona di cuore. Bambino prodigio ha lavorato in tanti fim tra cui il thriller/horror "Reazione a catena" nel 1971 di Mario Bava, Si può fare amigo, Cuore, Il venditore di palloncini, L'ultima neve di primavera, Zanna bianca. Negli anni Novanta si è ritirato dalle scene. Oggi ha 56 anni e gestisce una palestra a Roma.
Sharon Gusberti era Sharon Zampetti, considerata la più bella della classe, ma anche la più snob. Figlia del mitico Commendator Camillo Zampetti e scortata da due guardie del corpo ogni giorno quando va a scuola, Sharon è corteggiata sia da Chicco che da Massimo. Dopo l’esordio al cinema nel 1986 con "Yuppies" di Carlo Vanzina, l'attrice ha recitato, per lo stesso regista e nello stesso anno, in "Via Montenapoleone". Oggi ha 55 anni e si è ritirata dalla scene alla fine della serie tv.
 

Giacomo Rosselli interpretava Daniele Rutelli, classico adolescente mai cresciuto (si succhia ancora il pollice), dorme spesso in classe, è perennemente in ritardo e sempre in conflitto con Rossella, la sua fidanzata da quando è in prima elementare. L'attore ha recitato in alcuni film degli anni Ottanta come "Vacanze in America" e "Amarsi un po". Oggi ha 57 anni e si dedica al teatro.


L'attrice Claudia Vegliante è nella serie Rossella Schnell, la storica fidanzata di Daniele, spesso di cattivo umore a causa dei ritardi e delle mancanze del partner. Tuttavia il loro rapporto resta solido e nell'ultima puntata Rossella rivela di essere incinta. Nel corso della carriera l'attrice è stata anche cantante e ballerina specializzata in tip-tap, ha partecipato ad alcune trasmissioni tv dell’epoca ("Tilt", "A come Alice"). Dopo i "Ragazzi della 3 C", ha recitato nel 1995 nella serie tv "Caro maestro". Oggi ha 52 anni ed nel corso del tempo ha lavorato anche come assistente alla regia e coreografa.



Nicoletta Elmi era Benedetta Valentini, la dark del gruppo, appassionata di film horror, tarocchi e meditazione, specializzata in letteratura e cinema orientale. Veste sempre di nero e la sua espressione più classica è "Che angoscia!". L'attrice ha iniziato la sua carriera giovanissima, a soli 5 anni, poi ha recitato in film famosi come “Profondo rosso” di Dario Argento ed è apparsa in tante altre pellicole tra cui "Morte a Venezia" di Luchino Visconti. Nicoletta ha lasciato "I ragazzi della III C" alla fine della seconda stagione e si è ritirata dalle scene. Oggi ha 55 anni e lavora come logopedista.


Franceca Ventura era Tisini. Classe 1956, è un’attrice che può vantare svariate esperienze artistiche. Per esempio ha lavorato in teatro accanto a nomi del calibro di Vittorio Gassmann o Franco Branciaroli e al cinema con Peter Greenaay, Alberto Sordi, Carlo Verdone e molti altri. Ha raggiunto la notorietà interpretando il personaggio dell’immancabile (e insopportabile) secchiona Tisini ne “I Ragazzi della Terza C”. Qualche anno fa si è data alla scrittura e ha pubblicato un romanzo giallo, esperienza poi bissata. Attualmente è direttore artistico e curatrice di una rassegna artistica e culturale in Toscana.



Stefania Dadda alias Elias è un’attrice bresciana classe 1964 che, pur avendo preso parte a molti progetti artistici, resta nel cuore e nell’immaginario popolare solo la Elias di Terza C. Insieme a Tisini, con la quale condivideva anche le battute e gli scherzi perpetrati dai compagni, era una delle secchione della classe. Stefania Dadda è anche regista e ha realizzato progetti e documentari per l’emittente Rai Sat oltre a continuare a recitare soprattutto in teatro.



Guido Nicheli era il mitico Commendator Camillo Zampetti, il papà di Sharon, imprenditore di salumi, interista sfegatato. L'attore, detto anche Dogui, ha recitato in numerosi e celebri film cult degli anni Ottanta e Novanta, sempre nei panni del commendatore brianzolo amante della bella vita tra cui "Sapore di mare" e "Vacanze di Natale". Il suo ultimo film è "Vita Smeralda", girato nel 2006 da Gerry Cala. E' morto l'anno dopo a 73 anni per un ictus fulminante.



lunedì 27 aprile 2020

Whitney Houston, ecco il film

di FRANCESCO TRONCARELLI
 

«Nessuno mi fa fare qualcosa che non voglio fare.
 È una mia decisione. Quindi il mio più grande demone sono io.
 Sono il mio miglior amico o il mio peggior nemico»


Una voce portentosa, strabiliante, unica nel vero senso della parola, un carisma eccezionale, una vita trascorsa fra alti e bassi, trionfi e solitudine, ascese cadute sino ad una fine triste e solitaria nella vasca da bagno della suite 434 dell'Hilton hotel a Beverly Hills ad appena 48 anni. Ora tutto questo sarà un film. Come dire, cronaca di un successo annunciato.

The Whitney Houston Estate, l'editrice Primary Wave e il produttore Clive Davis stanno unendo le forze per realizzare 'I Wanna Dance With Somebody', biopic dedicato alla regina del soul pop con Stella Meghie (The Photograph) alla regia che prende il titolo dal suo primo grande successo internazionale del 1987.

Per ora pochi dettagli sul cast, mentre la sceneggiatura, che a quanto pare non mancherà di affrontare anche le zone più oscure della vita della cantante, sarà a cura del talentuoso Anthony McCarten, più volte nominato all'Oscar e autore di 'L'ora più buia', 'Bohemian Rhapsody', 'I due papi' e 'La teoria del tutto'. Non solo, sempre McCarten è anche lo scrittore dei testi del musical dedicato alla vita di Neil Diamond di prossimo debutto a Broadway.

'I Wanna Dance With Somebody', realizzato dati i costi proibitivi da un pool di produttori come Pat Houston (cognata ed ex assistente della pop star), Clive Davis, Larry Mestel e Denis O'Sullivane McCartner, potrà poi ovviamente contare sulle canzoni dell'artista che accompagneranno vita e carriera della cantante fino alla sua tragica morte.

Il film sarà una "celebrazione gioiosa, emozionante e drammatica della vita e della musica della più grande cantante R&B e pop di sempre, seguendo il suo percorso dall'oscurità alla fama mondiale- hanno speigato i produttori- con la premura di essere davvero onesti anche sul caro prezzo pagato per ottenere quella celebrità"


Sarà, insomma, una saga ricca e complessa alla ricerca dell'equilibrio perfetto tra canzoni, cantante e pubblico e, al tempo stesso, l'emozionante racconto di una semplice ragazza del New Jersey in cerca della sua strada nel dorato mondo dello spettacolo americano.

Il produttore discografico Clive Davis, che ha conosciuto l'artista nel 1983 quando aveva solo 19 anni, ha dichiarato: "Dalla mia esperienza personale e professionale con Whitney fino all'età adulta e alla sua tragica scomparsa, so che la sua intera storia non è stata ancora raccontata.

La bella e brava Whitney Houston figlia della cantante di gospel e corista di Elvis Presley Cissy e cugina della musa di Burt Bacharach Dionne Warwick, è universalmente riconosciuta come una delle più iconiche, popolari e talentuose voci di tutti i tempi, spesso chiamata semplicemente "The Voice", soprannome attribuitole da Oprah Winfrey e che la pone sullo stesso piano di Frank Sinatra.

Il suo enorme successo negli anni '80 ha permesso l'apertura di mercati fino ad allora preclusi alle artiste di colore. Con i suoi brani la cantante ha dominato le classifiche mondiali, in particolar modo la Billboard Hot 100, nella quale ha piazzato sette singoli consecutivi al primo posto battendo il record di sei appartenente ai Bee Gees.

È stata una delle donne di maggior successo discografico, la quarta donna per numero di vendite negli Stati Uniti, con circa 55 milioni di dischi certificati dalla RIAA. Le sue vendite complessive di album e singoli sono di 200 milioni di copie.


Tra gli altri record, detiene anche il primo posto nella classifica degli artisti di colore di maggior successo insieme a Michael Jackson, e nel 2006 il Guinness dei Primati l'ha dichiarata "l'artista più premiata e famosa di tutti i tempi". La rivista Rolling Stone l'ha inserita alla 34ª posizione nella lista dei 100 cantanti più grandi di tutti i tempi.

Come attrice ha girato un film cult come 'The Bodyguard' insieme a Kevin Costner la cui colonna sonora conteneva il grande successo "I Will Always Love You", 'Uno sguardo dal cielo' con Denzel Washington e 'Donne' diretto da Forest Whitaker.

Ed è stato proprio il suggestivo ed emozionante brano della colonna sonora della pellicola interpretata con Costner nel '92, "I Will Always Love You" ad essere stato il suo più grande sucesso di una carriera ricca di hit e pezzi memorabili che hanno fatto ballare ed emozionare in tutto il mondo.

Eppure quel disco divenuto così importante non era "suo", ma una cover, una ripresa insomma di un 45 giri precedente. Era stato infatti inciso nel 1974 da Dolly Parton, la regina della musica country, che l'aveva composto al termine della storia col suo pigmalione Porter Wagoner.

Martin Scorsese attratto da quel pezzo cantato dalla Parton lo inserì come sottofondo di una sequenza del film "Alice non abita più qui", mentre nel 1982 la canzone fu reincisa per la colonna sonora del film musicale "Il più bel Casino del Texas" (The Best Little Whorehouse in Texas) di Colin Higgins, in cui la Parton recitava insieme a Burt Reynolds.


Aveva una storia importante insomma questa canzone. La grande popolarità del brano arriverà però quando Whitney lo reinterpreta per la colonna sonora del film "Guardia del corpo", diventando il singolo più venduto nella storia da una artista femminile con oltre 16 milioni di copie vendute. Una cifra da capogiro.

Prima di diventare "la" canzone della diva del pop però ci furono dei tentennamenti da parte dei produttori del film "The Bodyguard". Resisi conto che "I Will Always Love You" era la stessa canzone  per il film "Pomodori verdi fritti alla fermata del treno" uscito l'anno prima, puntavano su "What Becomes of the Brokenhearted" di Jimmy Ruffin come tema del film.

Ma fu proprio Costner, forte del suo potere contrattuale dopo i 7 premi Oscar del suo "Balla coi lupi" a insistere per il brano di Dolly Parton, che valorizzava particolarmente il timbro vocale della Houston e anzi, lui che era del anche un chitarrista e cantante, le suggerì l'inizio del brano da cantare a cappella. Una particolarità che si rileverà decisiva e di forte impatto sul pubblico.

Il video del brano, girato da Alan Smithee (pseudonimo di Nick Brandt), comincia con la performance del pezzo da parte della Houston alla fine del film, per poi continuare tra spezzoni della pellicola con la cantante seduta in un cinema deserto e verso la fine della clip tra la neve.

In attesa del biopic che seppur per interposta persona la riporterà fra il suo pubblico che l'ha sempre amata a prescindere dagli alti e bassi di una vita straordinaria e travolgente ma piena di momenti negativi, resta la migliore testimonianza in pochi minuti, visiva e vocale, di un'artista indimenticabile. Eccolo.

sabato 25 aprile 2020

Pavarotti for ever

di FRANCESCO TRONCARELLI



L'artista che ha portato l'Italia nel mondo, il miglior biglietto da visita per una Nazione capitale della Storia e della Cultura del pianeta, ma anche l'uomo, con i suoi punti di forza e le debolezze, amico di tutti e amato da tutti, una persona con una marcia in più capace di stupire e di far sognare.

Questo ha raccontato il bel film-documentario “Pavarotti”, realizzato da Ron Howard, l'ex Ricthie Cunningham di Happy Days e premio Oscar per il suo "A Beautiful Mind", andato in onda in prima visione su Rai1. Un omaggio del regista di Hollywood al cantante lirico italiano conosciuto ovunque, un tributo a una voce e una carriera incredibile, ma anche a uno straordinario atteggiamento verso la vita che Big Luciano aveva.

Perchè lui era un generoso, nel fisico, nello spettacolo, nella beneficenza, ed è stato un artista che ha avuto un merito enorme, ha fatto conoscere l'opera alle masse e ha portato sullo stesso palco la lirica e il pop, mescolando due generi lontani fra loro anni luce che grazie a lui sono diventati vicinissimi.

Ron Howard e Nicoletta Mantovani

Per la prima volta con la piena collaborazione della famiglia, che fino a questo momento non aveva mai acconsentito a farsi intervistare lungamente rivelando situazioni e momenti particolari, si è potuto dipingere un ritratto di un uomo che è stato un grande interprete e un attore della scena, capace di emozionare come le star del cinema, quando sono tutt'uno col ruolo.

Del resto Pavarotti era veramente un personaggio speciale. Forgiato dalla scuola solida del padre, panettiere a tempo pieno e tenore nei ritagli di tempo, si era concentrato nello studio del canto per sfruttare al meglio le sue doti. Il risultato non tardò a venire (complice una sotituzione per un malore improvviso del grande tenore Di Stefono a Londra) e ben presto quella voce sublime  e quel sorriso carismatico lo fecero conoscere ovunque.

Da Modena alla Cina, dall'Italia all'America, calcando i palchi più importanti Luciano Pavarotti diventò sinonimo di "bel canto", di opera, di musica, di emozioni. Le emozioni che regalava per restiture agli altri la sua più grande gioia ricevuta da bambino per essersi salvato dopo aver rischiato di morire. La vita come un dono unico da non sprecare e da vivere con tutte le forze.

Era un portento Lucianone, un vero virtuoso della voce, un tenore straordinario che esorcizzava l’ansia da prestazione che si presentava tutte le volte prima di salire sul palcoscenico, esclamando “I go to die” (“Vado a morire”) prima di ogni performance.

Luciano con The Edge e Bono Vox

"Pavarotti" di Howard ha raccolto e ci ha mostrato scatti inediti e le testimonianze di chi ha condiviso con lui la vita e il palco, dalle figlie, Cristina, Giuliana e Lorenza, nate dal primo matrimonio con Adua Veroni, all’amore per Nicoletta Mantovani, dalla quale ha avuto Alice. Momenti particolari e ricordi privati delicatissimi che hanno svelato un uomo inedito e molto dolce.

E ancora il ricordo di numerosi artisti come Placido Domingo e José Carreras, Bono Vox, Elton John, Sting, Joe Cocker, James Brown e Zucchero che negli anni lo hanno affiancato sul palco del “Pavarotti & Friends” fino all’amicizia con Lady Diana contro ogni formalismo di corte.

Il pubblico della lirica è da sempre tra i più entusiasti e appassionati del mondo e ha tributato un amore senza limiti alle sue star. Tra i molti record attribuiti a Luciano Pavarotti ce n’è uno pazzesco, documentato: quando il nostro grande tenore cantò nel 1988 alla Deutsche Opera di Berlino nel ruolo di Nemorino ne “L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti, alla fine fu richiamato sul palco ben 165 volte, dopo un’ora e sette minuti di applausi.

Pavarotti e Lady Diana

Con la formazione dei Tre Tenori come dicevamo, si esibì a Los Angeles in uno storico “Encore!”, con la direzione di Zubin Metha nel 1994, nello stadio di baseball dei Dodger, la sera precedente alla finale dei campionati del mondo (persi purtroppo dall’Italia ai rigori col Brasile).

Trasmesso via satellite in cento paesi del mondo, quel concerto vendette biglietti per dodici milioni di dollari, dando il via a una serie di contratti miliardari per dischi, video e trasmissioni televisive. Il debutto dei Tre tenori era avvenuto il 7 luglio 1990 alle Terme di Caracalla, trasmesso in mondovisione e seguito da circa 800 milioni di spettatori, un'esibizione che a rivederla oggi fa venire la pelle d'oca come allora.

Nel programma di qella serata magica c’erano solo brani d’opera ma anche musiche popolari e canzoni come "O' sole mio", "Amapola", "La vie en rose" e canzoni da musical come "Maria" da West Side Story e le emozioni nel vedere queste immagini e ascoltare leloro voci si susseguno, raggiungendo l'apice quando Luciano canta da solo coi suoi amici colleghi, con fraseggi e acuti che si rincorrono e si superano fra loro.

i Tre tenori

Ma Luciano Pavaratti oltre ad aver una grande voce aveva anche un grande cuore. Tra il 1992 e il 2003 nella sua città natale, Modena, organizzò per beneficenza Pavarotti & Friends, una kermesse pazzesca che ha visto il meglio della musica mondiale riunita nella città emiliana. L'anno precedente tra l'altro aveva iniziato la collaborazione col futuro blues mondiale Zucchero Fornaciari, col famoso Miserere.

Tra gli ospiti della prima edizione di quella mitica riunione di amici, Sting, Eric Clapton, Bob Geldof, Brian May e Mike Oldfield. L’album fu acquistato da un milione mezzo di persone. Nelle varie edizioni l’istancabile tenore duetterà con star del pop, del rock e del blues nomi come Anastacia, Barry White, Biagio Antonacci, Andrea Bocelli, Jon Bon Jovi, Bono, The Edge

Ancora James Brown, Mariah Carey, Eric Clapton, Lucio Dalla, i Deep Purple, Céline Dion, Elisa, Gloria Estefan, Giorgia, Elton John, Tom Jones, Jovanotti, B.B. King, Simon Le Bon, Luciano Ligabue, George Michael, Liza Minnelli, i Morcheeba, Dolores O’Riordan, Laura Pausini, Eros Ramazzotti, le Spice Girls, Renato Zero.

con le Spice Girls

Il duetto con Lucio Dalla per "Caruso", su youtube (ed è solo un esempio tra tanti) viaggia verso gli 11 milioni di visualizzazioni. A un certo punto, come spesso accade quando si diventa grandi e si troppo fiducia nel prossimo, Pavarotti fu vittima incolpevole di uno scandalo mediatico a causa della società inglese che gestiva i proventi delle esibizioni, la War Child.

Una cosa impensabile e gravissima per uno come lui abituato a fare beneficenza senza falsi scopi, decise perciò di tagliare i rapporti con questa, continuando a sostenere le iniziative benefiche a favore dei bambini vittime della guerra, aiutando le attività del Centro italiano d'aiuto all'infanzia, dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e dell'associazione Music for Peace a cui devolse somme ingenti.

Pavarotti muore il 6 settembre del 2007 dopo una lunga battaglia contro un tumore al pancreas, lasciando sgomenti tutti quelli che lo hanno amato come tenore e come uomo. Resta da allora la sua voce a ricordarci chi è stato e cosa ha rappresentato e resta quell'acuto del "Nessun dorma" di Puccini lanciato a Caracalla, che ha definitivamente superato la barriera del tempo rendendolo immortale. Un "Vincerò" da qui all'eternità che rimarrà nel cuore di tutti.


giovedì 23 aprile 2020

Zucchero al Colosseo "Canta la vita" con Bono

di FRANCESCO TRONCARELLI



Il Colosseo, una canzone, due artisti. Una magia eccezionale che fa bene all'anima. Roma con Zucchero e Bono sempre più Caput Mundi nella giornata mondiale che celebra la Terra. Uno spettacolo nello spettacolo che scuote le coscienze e fa vibrare il cuore all'insegna della fratellanza e dell'unione. 

E' stato un momento emozionante e irripetibile. Unico come l'Anfiteatro Flavio che lo ha ospitato con la sua maestosa scenografia ammirata e sognata da milioni di persone che lo vengono a visitare da tutte le parti del mondo ogni anno. La performance si è svolta in occasione del 50° Anniversario della Giornata Mondiale della Terra (Earth Day).

Zucchero 'Sugar' Fornaciari in una Piazza del Colosseo nottuna e deserta e veramente magica, ha eseguito nella notte per la prima volta in assoluto l'inedito "Canta la vita", pezzo tratto da "Let Your Love Be Know" la ballata di Bono Vox dedicata ai medici e agli infermieri del nostro paese, che ha tradotto in italiano, a conferma di un sodalizio artistico che lega i due artisti da molti anni.

In un periodo così complesso come quello che stiamo attraversando, questa brano è un messaggio positivo di speranza e conforto per tutti. Un inno alla Vita. Un'esibizione unica, una performance incredibile in una cornice meravigliosa, in cui, nell'inciso finale, le voci di entrambi gli artisti si fondono e uniscono, per lanciare un messaggio mondiale di grande unione.

Questa canzone è nata nella fase iniziale dell'emergenza dovuta al Covid 19. Quando i due si sono sentiti, era esplosa in tutta la sua gravità la pandemia al Nord Italia. E la cosa che in quel momento terribile li ha colpiti, è stata la reazione delle persone, vederle e sentirle cantare sui balconi ha fatto scattare in loro una molla.


Così si sono attivati in quello in cui riescono meglio, la musica, per sottolineare che il canto è una grande forma di resistenza. E in un dramma come quello che stiamo vivendo, attraverso il canto si può essere più vicini, si può reagire insieme, in tutte le parti del mondo. La musica, attraversa i muri ed accorcia le distanze e ci fa sentire più vivi.

L'esibizione di Zucchero che arriva dopo la sua performance a Together at Home di Lady Gaga, relativa a questo brano che il frontman degli U2 aveva dedicato agli italiani, è andato in onda durante la maratona multimediale #OnePeopleOnePlanet trasmessa sul canale streaming Rai Play, con un palinsesto live di 12 ore e può essere rivisto su questa piattaforma.

L’Italia è stata chiamata ad aprire le celebrazioni mondiali con una dedica a Papa Francesco che tanto ha fatto per creare consapevolezza sul cambiamento climatico. Dopo il perdono universale offerto al mondo da una piazza San Pietro completamente vuota gli organizzatori hanno pensato alla musica.

Intonare un canto con un personaggio come Zucchero, uno dei pochi artisti italiani conosciuti nel mondo, davanti ad un Colosseo illuminato di blu in una Città eterna altrettanto vuota, si è pensato che fosse il modo migliore per dire grazie al Papa e raccogliere il suo messaggio di speranza.

E la performance ha centrato in pieno l'obiettivo perchè le sue immagini, emozionanti e suggestive, hanno fatto e continuano a fare il giro del pianeta con queste parole che rappresentano senza dubbio lo spirito di questa giornata mondiale di riflessione. 


Giorni isolati, io e te ancora qui come sospesi nel tempo, ho paura di sì ma viene sempre il giorno, sorridimi se puoi e andiamo che il viaggio del ritorno è sempre il più lontano”, “Ma sono qui sotto questo cielo, non puoi toccarmi ma puoi cantare”.

mercoledì 22 aprile 2020

"Cento campane" per Roma di notte

 di FRANCESCO TRONCARELLI

Chiusi i locali, spariti i capannelli della movida, a casa come una volta con il coprifuoco, Roma ha riacquistato il volto di una città sparita agli occhi dei più soprattutto la notte. Non gira un'anima, come si dice dalle nostre parti, e la città, soprattutto il Centro, sembra proprio quello che faceva da sfondo a «Il segno del comando», la serie cult della televisione in bianco e nero che emozionava e teneva in tensione il pubblico.

A cinquant’anni di distanza, i luoghi e i segreti di uno degli sceneggiati tv più iconici della Rai, girato nei posti più belli della capitale, sono tornati deserti come in questi giorni. Via Margutta da dove al civico 33 prendeva il via lo sceneggiato, l' Hotel Galba a Trinità dei Monti, il Caffé Greco, la Taverna dell’Angelo, la Casina Valadier, l’Isola Tiberina, via delle Tre Spade 119, la chiesa di Sant’Onorio, la Basilica di Massenzio, i Mercati di Traiano, la Biblioteca Angelica.

Luoghi reali e luoghi immaginari (la locanda di Trastevere che appare solo di notte) che vanno dritti  verso un’unica direzione: "Il segno del comando". Trasmesso dal Programma nazionale (attuale Rai 1) per cinque domeniche, dal 16 maggio al 13 giugno 1971, per una platea di 15 milioni di spettatori.

Un successo incredibile dato il tema che trattattava e che oltre al riferimento ai grandi classici della letteratura, si spingeva a mescolare generi in grande libertà come il Gotico e la spy story, la toponomastica e l'esoterismo con riferimenti colti e pop.

La regia era di un maestro di questi sceneggiati, di Daniele D’Anza ed aveva nel cast grandi attori di teatro come Ugo Pagliai, il professore di letteratura di Cambridge Edward Foster, gran conoscitore di Lord Byron, Massimo Girotti l'addetto alla ambasciata britannica a Roma George Powell, Carla Gravina una modella di un pittore molto affascinante e misteriosa e ancora nomi come Andrea Cecchi, Rossella Falk, Franco Volpi, Carlo Hintermann.


E nella memoria collettiva del Bel paese, su tutto, su queste location fantastiche e nomi di grido che lo interpretavano, è rimasta la sigla: "Cento campane". Un brano che è diventato un classico della canzone romana e che tutti conoscono per quel ritornello che resta facilmente impresso e che Lando Fiorini ha portato al sucesso.

Non tutti sanno però che il brano diventato uno dei cavalli di battaglia del trasteverino Fiorini, in realtà, nella versione originale, cioè quella legata indissolubilmente alla fiction (che peraltro si può rivedere su Raiplay), fu affidato dai suoi autori, il bravo e poliedrico Fiorenzo Fiorentini e il musicista Romolo Grano, a Nico Tirone, nome che se abbinato al gruppo con cui aveva iniziato la carriera potrebbe essere più riconoscibile.

Tirone infatti non era altro che il Nico dei Gabbiani, il gruppo che aveva avuto un successo clamoroso qualche anno prima col 45 giri "Parole". La cosa strana però è che Nico era siciliano e quindi non proprio adatto a interpretare un pezzo d'ambientazione de noantri, ma i legami degli autori con la casa discografica di Tirone, furono più forti dell'incertezza dialettale, e perciò l'ex Gabbiano si aggiudicò l'incisione.

La canzone, trainata dal successo dello sceneggiato televisivo, ebbe un discreto successo, poi finito l'effetto novità, rimase lì, tra le tante che hanno "ballato una sola estate". Ci penserà Lando Fiorini a riproporla in grande spolvero e a darle una "dignità" romanesca e un altro appeal. La prima mossa fu quella di inciderla dopo qualche tempo, poi, decisiva, l'esecuzione a Canzonissima nell'edizione del 1973.

Lando, col suo stile inconfondibile da grande cesellatore e la presenza scenica di cabarettista del Puff, la fece sua, dandole un'anima, un cuore e un'intonazione più decisa premiata subito dal gradimento degli spettatori della famosa gara televisiva e da quel momento il pubblico iniziò ad associare questo brano a lui. E a tutti i livelli.


Non a caso quando la Ricordi anni dopo ha pubblicato una compilation con tutti i brani delle sigle televisive degli anni 60 e 70, a fianco di pezzi come il "Tuca tuca" della Carrà o "Sandokan degli Oliver Onions (i fratelli De Angelis) c'è un'intrusa di tutto risetto, appunto la versione di Fiorini di "Cento campane".

Il brano ovviamente con la riedizione di Lando Fiorini tornò ad avere successo diventando un longseller che nel tempo ha venduto moltissimo risultando così il disco più venduto in assoluto dall'artista romano.

Il motivo del succeso al di là della interpretazione e dell'orecchiabilità del brano, è da individuare nella melodia che è si romana (il brano inizialmente era stato composto da Fiorentini negli anni 50 col solo accompagno della chitarra), ma italianizzata, cosa che succede per altri pezzi immortali come "Arrivederci Roma" e "Roma nun fa la stupida stasera" ed altre canzoni che riescono ad essere popolari pur uscendo dai canoni delllo stornello.

Curiosità di questa canzone che ha avuto tanti interpreti come ad esempio Alvaro Amici, i Vianella, Bobby Solo e Giorgio Onorato (che nella fcition appare per un cameo), è che ha avuto un successo strepitoso in Nord Europa legato alla messa in onda dello sceneggiato da alcune Tv di quei Paesi. E' andato fortissimo specialmente in Norvegia con l'idolo locale Stein Ingebrigsten e in Finlandia con Tapio Heinon e Taisto Tamnni.

Ma la chicca che rende ancora più sorprendente la curiosità è che la versione dell'artista norvegese soprannominato Mister Hit Parade per i successi in serie inanellati negli anni 70, è cantata in italiano. Incredibile ma vero. E questa circostanza, rivaluta alla grande la verisone siculromanesca di Nico Tirone.


martedì 21 aprile 2020

"Aspettanno" il video di Peppino di Capri è virale

di FRANCESCO TRONCARELLI



                                                          Chiusa rint’ a casa ‘a ggent che ppo’ ffa’
                                                          S’affaccian ‘e bbalcun’ pecchè vonno canta’
                                                          Ce basta ‘na canzone penzanno e ce abbraccià
                                                          Diceno ca’ fernesce nun sai si è verità
                                                          E aspettann’ aspettann’  

                                                         ‘o tiempo chianu chianu sta passann’
                                                          E aspettann aspettann 

                                                          'na bbona stella ce po’ aiutà


La musica al tempo della quarantena, come dire niente concerti, niente spettacoli, niente incontri degli artisti con i fan per il "firmacopie". Il coronavirus ha fermato un mondo da sempre in attività negando alla gente il piacere di emozianarsi con i propri beniamini che cantano e suonano. Come si è fatto sempre.

Allora bisogna ingegnarsi, aggirare al meglio l'ostacolo, ecco così che vengono incontro agli artisti i social come mezzo di comunicazione e megafono virtuale per rimanere in contatto con il pubblico. In tanti si sono così cimentati in dirette Instagram e Facebook e tra questi non poteva mancare Peppino di Capri.

Il cantautore napoletano da amante della tecnologia e appassionato di tutte le novità in tema di comunicazione qual è, non si è fatto sfuggire anche in un momento come questo, le opportunità che ci sono per realizzare un video con una sua canzone che grazie proprio ai social è diventata virale.

«Vedevo tutta questa gente che si affacciava ai balconi e che cantava, all’inizio li guardavo con diffidenza, poi ho pensato: perché non lo faccio anche io? In fondo è un omaggio alla loro voglia di sentirsi vitali ».

E’ nata così “Aspettanno”, la canzone di Peppino di Capri in napoletano ("Aspettando") dedicata al lockdown e  che potrebbe diventare l’inno di questo momento così drammatico e difficile per il Paese.

Questa volta non si tratta di un brano d’amore, ma di una canzone di sentimenti, che invita a stringere i denti e ad aspettare la buona stella, come dice la parte finale del testo. La constazione che le nostre città sono vuote, che manca la vita di tutti i giorni, che si sente la mancanza degli affetti, dell’abbraccio dei bambini hanno fatto riflettere Peppino.

C'è tanta solitudine fra le persone più anziane, siamo tutti in attesa di un qualcosa di positivo e allora  Peppino ha fatto suo l'"adda passa a nuttata" di Eduardo, con la speranza che il domani ci possa riservare qualcosa di migliore.



L'interprete di "Champagne" e di tanti successi si è messo così all'opera nella sua casa di Napoli che guarda il mare, ed ha iniziato a comporre la musica sul fido pianforte che lo accompagna da una vita.

Poi si è messo in contatto con i suoi collaboratori storici (Enzo Anoldo, Roberta Bianco, Piero Braggi, Pascal De Angelis, Adriano Guarino, Antonio Mambelli, Michela Montaldo, Luigi Esposit) e nel giro di una settimana è nato il brano.

Un pezzo molto bello dalla melodia accattivante e il testo poetico come solo i versi in napoletano riescono a dare, che è stato inciso da ciascuno dei musicisti e le coriste coinvolti separatamente, in isolamento, per poi essere mixato in una sintesi perfetta di musica e di immagini molto suggestiva.

A questo punto sono entrati in scena i social. La canzone è stata inviata ad amici, parenti e fan di tutto il mondo, attraverso le chat di wathsapp e dei gruppi Facebook, una vera e propria catena che ha dato il la ad un fenomeno mediatico inaspettato.

Sono arrivati così i maggiori quotidiani nazionali che lo hanno rilanciato nelle loro edizioni on line, poi i Tg, addirittura è stato usato come stacco tra un servizio e l'altro nel programma "La Vita in diretta" con Alberto Matano e Lorella Cuccarini.

«Ora mi stanno chiamando da tutta Italia e persino dal Brasile -ha raccontato divertito ma soddisfatto di Capri-, dove in molti la stanno cantando, mio figlio mi ha inviato un filmato in cui si vede gente ai balconi di Napoli in coro sulle note di Aspettanno».

Come dire, cronaca di un successo non annunciato ma prevedibile, vuoi per la magia del brano, le  atmosfere e le sensazioni che evoca e vuoi per il carisma di Peppino, che anche in un'occasione così particolare ed insolita, si è confermato un entertainer di razza. Ed è probabile ora, che da questo omaggio alla gente dei balconi, nasca un singolo.


lunedì 20 aprile 2020

Gianrico Tedeschi, 100 anni in scena

di FRANCESCO TRONCARELLI


Gianrico Tedeschi compie 100 anni. E' la sua festa. Ma anche quella del Teatro, della Cultura dello Spettacolo taliano. Con lui non si celebra infatti "solo" il grande attore che è stato, ma tutto un mondo in cui questo personaggio ha vissuto da protagonista e di cui ha fatto parte con nomi entrati nella storia del Novecento come lui.

Ci sono compleanni che sono simbolici di per sè, come quello di Tedeschi appunto che ancora quattro anni fa recitava ''Dipartita finale'' con la regia di Branciaroli, ma una ricorrenza simile assume un valore particolare, perchè offre la possibilità di comprendere la storia di un secolo che questo artista ha attraversato nella sua interezza nel bene e nel male, come ogni uomo, mantenendosi sempre fedele ai principi etici che l'hanno ispirato.

Studente alla facoltà di Magistero della Cattolica di Milano, città dove è nato, durante la Seconda guerra mondiale fu chiamato alle armi come ufficiale e partecipò alla campagna di Grecia. Fatto prigioniero dopo l'armistizio, venne internato tra gli IMI nei campi di Beniaminovo, Sandbostel e Wietzendorf per non aver aderito alla Rsi.

Nella prigionia conobbe un altro internato destinato a diventare celebre, Giovannino Guareschi, lo scrittore che dalla sua magica penna inventò Don Camillo e Peppone. A Sandbostel, in una compagnia di militari che s'improvvisavano attori, recitò per la prima volta nella parte di Enrico IV nell'omonima opera di Pirandello che poi lo accompagnerà per tutta la vita.


Finita la guerra infatti, si trasferì a  Roma per imparare il mestiere di attore e così frequentò l'Accademia nazionale d'arte drammatica. Si diploma e inzia subito dalla porta principale: il suo debutto teatrale infatti è sotto la guida di Giorgio Strehler.

Da quel momento inizia una carriera che lo vedrà protagonista sul palcoscenico con le migliori Compagnie teatrali e negli sceneggiati televisivi targati Rai che incollavano milioni di persone davanti il piccolo schermo. Ma anche in tanti film di cassetta a conferma della sua poliedricità e capacità interpretativa.

I capelli sempre scapigliati, lo sguardo sornione, una recitazione improntata all'umorismo, il sorriso come biglietto da visita di una signorilità interiore, Tedeschi ha fatto tutto e bene, basta scorrere una piccola parte del repertorio che ha affontato in tanti anni di palcoscenico e di set televisivi e cinematografici, per comprendere la grandezza del suo essere attore. E dei colleghi che lo accompagnavano nei lavori in cartellone.

Tedeschi in My Fair Lady, con Mario Carotenuto e Delia Scala

Per esempio, "La dodicesima notte" di William Shakespeare per la regia di Orazio Costa con Giorgio De Lullo, Renzo Giovampietro, Mario Gallina, Camillo Pilotto, Paolo Panelli, Salvo Randone, Gualtiero Isnenghi, Francesco Mulè, Nino Manfredi, Rossella Falk, Anna Proclemer e Bice Valori al Castello di San Giusto per il Teatro Verdi  a Trieste.

Vogliamo dare un'occhiata a caso alla prosa televisiva? "I giocatori", "Tredici a tavola", "La padrona di raggio di luna", "La professione della signora Warren" per citare solo alcuni titoli, dove si è cimentato con successo, ma ha offerto prove brillanti anche nello spettacolo leggero.

Nella rivista e nella commedia musicale si è cimentato in Enrico '61 con Rascel e nel 1964 My Fair Lady con Delia Scala entrambe realizzate dall coppia Garinei e Giovannini, mentre per la Tv ha affiancato Bice Valori e Lina Volonghi nel varietà di Falqui "Eva ed io" e nel 1977 voluto fortemente sempre da Falqui partecipò a "Bambole, non c'è una lira" con i mitici Tino Scotti e Gianni Agus, la Biagini, Pippo Franco, Mastelloni, De Sica e la Bertè, varietà che ebbe un successo strepitoso.

Bambole non c'è una lira, il cast

Ha preso parte anche ai grandi sceneggiati della Rai, interpretando, tra gli altri, personaggi come Marmeládov in "Delitto e castigo" (1963),  Paolino in "Demetrio Pianelli" (1963) e Sorin ne "Il gabbiano" (1969).

Tanti i film dal successo popolare come "Susanna tutta panna" di Steno, "Bravissimo" di Luigi Filippo D'amico, "Il federale" di Salce, "Ettore Lo Fusto" di astelari, "Il Mostro" di Zampa, "Mimì Bluette" di Carlo Di Palma e anche pellicole di culto come "Adua e le comagne di Antonio Pietrangeli e "Brancaleone alle crociate" di Monicelli.

Un volto riconoscibile e simpatco come il suo non poteva essere ignorato dalla pubblicità. Tedeschi è stato uno dei personaggi di Carosello più famosi, è ricordato infatti soprattutto come lo stralunato ed efficace testimonial delle caramelle Sperlari in scenette trasmesse dal 1974.
 
Tedeschi e la Biagini sul set

Ventidue anni dopo ancora pubblicità prestando il volto del nonno negli spot del formaggio Philadelphia, a cui nel giugno 1999 si affiancò Marina Massironi. E poteva mancare la Radio? No, certo, negli anni 70 infatti partecipò anche alla trasmissione Gran varietà condotta da Raffaella Carrà,

Una vita sulle scene e adesso il mritato riposo. Tedeschi è uno dei 1377 abitanti di Pettenasco, piccolo borgo sul lago d'Orta al confine tra Piemonte e Lombardia. Oggi spegnerà la torta con una sola candelina che varrà per 100 con la moglie e partner Marianella Lazlo, ma senza le figlie Sveva attrice anche lei ed Enrica docente di sociologia e i nipoti lontani per ovvi motivi legati all'emregenza Covid.

Ma con lui, l'irresitibile "Arlecchino servitore di due padroni" che è diventato attore nella prigionia di un campo di concentramento, ci saranno tutti gli spettatori che l'hanno applaudito in una vita sul palcoscenico e che si sono emozionati e divertiti con le sue interpretazioni sempre puntuali ed incisive. Da grande attore, da Gianrico Tedeschi. Auguri Maestro!


sabato 18 aprile 2020

Addio Sergio Fantoni, attore di razza

di FRANCESCO TRONCARELLI


Aveva una voce calda, a cui abbinava un sorriso e uno sguardo che ti rimanevano subito impressi. E poi la classe nel sapersi porgere al pubblico, l'eleganza nei modi e l'affabilità nei comportamenti. Sergio Fantoni che se ne è andato con 89 primavere sulle spalle, su quella voce veramente magica aveva costruito le sue fortune, perchè era un attore di razza, capace di passare da un ruolo all'altro senza difficoltà, tanto era bravo, preparato e scrupoloso nel suo mestiere.

Fantoni infatti è stato uno dei grandi della scena italiana tra Cinecittà e Hollywood, tra la prosa e la fiction. In tutti i modi in cui si declina lo spettacolo insomma. Attore di teatro, cinema e tv, regista e doppiatore. E' scomparso ieri sera dopo una carriera di interprete durata mezzo secolo, che lo ha visto diretto al cinema dai più grandi registi, da Roberto Rossellini a Luchino Visconti fino a Blake Edwards.
 
Ma anche protagonista dei famosi teleromanzi in bianco e nero della Rai che incollavano davanti la tv decine e decine di milioni spettatori come "Anna Karenina", "Lungo il fiume e sull'acqua", "La coscienza di Zeno" e "La Piovra". Il suo ultimo ruolo tv era stato nel Commissario Montalbano di Sironi per l'episodio "La voce del violino".

Fantoni e Frank Sinatra

Mattatore sui maggiori palcoscenici teatrali e infine doppiatore, prestando la sua voce, tra gli altri, a un memorabile Marlon Brando nei panni del colonnello Kurtz nel film "Apocalypse Now" (1979) di Francis Ford Coppola, a Henry Fonda in "Meteor", a Rock Hudson ne "Il gigante" e a Ben Kingsley in "Gandhi". 

Nato in una famiglia d'arte, anche il padre Cesare e la madre Afra Arrigoni sono stati interpreti teatrali, a Roma il 7 agosto 1930, in un primo tempo pensava di diventare ingegnere o architetto ma la passione per il teatro prevalse e cominciò a frequentare compagnie teatrali sperimentali fino a creare negli anni Settanta, insieme a Luca Ronconi e alla moglie Valentina Fortunato, una delle prime compagnie indipendenti. 

Poi nel tempo con registi del calibro di Luchino Visconti "Senso", Francesco Maselli "I delfini", accanto a Claudia Cardinale, Giuliano Montaldo con cui ha girato "Tiro al piccione" e poi "Sacco e Vanzetti", "Il gattopardo" ancora con Visconti ma anche peplum come "Esther e il re".

sul set con Paul Newman
  Negli anni Sessanta aveva vissuto una parentesi hollywoodiana (che era durata tre anni, dal 1963 al 1966) con partecipazioni a film come "Intrigo a Stoccolma" di Mark Robson e "Il colonnello von Ryan" accanto a Frank Sinatra, e poi "Papà, ma che cosa hai fatto in guerra?" di Blake Edwards. 

Negli anni Ottanta aveva recitato nel film di culto "Il ventre dell'architetto" del regista britannico Peter Greenaway. Fantoni ha lavorato in numerose riduzioni televisive di importanti lavori letterari e a sceneggiati televisivi che, particolarmente negli anni Sessanta e anni Settanta, hanno avuto un particolare successo di critica e di pubblico. 

Il nudo integrale frontale di Sergio Fantoni in "Delitto di Stato", trasmesso su RaiDue nell'82, fece scandalo. In coppia con il drammaturgo Diego Fabbri Fantoni ha condotto per la radio - a Rai Radio Uno - il programma "Voi ed io", che nonostante trattasse di argomenti legati al mondo del palcoscenico ebbe un successo enorme, proprio per il suo carisma innegabile e quella voce che ti catturava.

Alain Delon e Sergio Fantoni

 Nel gennaio del 1997 venne operato di laringectomia, operazione che gli causò problemi vocali, così interruppe l'attività di attore e si dedicò alla regia e alla direzione artistica della Contemporanea dove tra gli altri recitava anche la moglie Valentina Fortunato. Insieme al drammaturgo e regista Ivo Chiesa e alla collega  Bianca Toccafondi ha ricevuto nel 2002 il Premio alla carriera intitolato a Ennio Flaiano.

Sergio Fantoni è stato un attore poliedrico e di alto livello, il suo nome insieme a quello di colleghi e amici come Giancarlo Sbragia, Ivo Garrani, Luigi Vannucchi è stato per anni sinonimo di Teatro con la "t" maiuscola", di Cultura, di emozioni. La sua figura di professionista della voce come anche di persona dotata di grande ironia e signorilità, si staglia nel panorama artistico del Novecento come un gigante della scena.

Un protagonista di una scuola irripetibile a cui si sono formati tanti numeri uno che hanno sempre rispettato il pubblico, regalando con il loro sapere e la loro preparazione, stagioni felici e momenti indimenticabili nello Spettacolo italiano. Sa ne va un grande, ci lascia Sergio Fantoni. Sipario.

Addio Christophe, l'estate sarà senza te

 di FRANCESCO TRONCARELLI



Non ce l'ha fatta il vecchio leone del pop francese Christophe. Era insieme a Marianne Faithfull e Christopher Cross uno di quegli artisti conosciuti in tutto il mondo che stava combattendo contro la peste del Terzo millennio. E 'morto a Brest, in Bretagna, all'età di 74 anni.

A confermarlo all'AFP la moglie Véronique che ha parlato genericamente di enfisema e malattie polmonari, senza mai nominare il coronavirus come causa del decesso. Il giornale 'Le Parisienne', invece, da subito aveva indicato il virus come responsabile della malattia ma la famiglia, quasi per una sorta di pudore verso di lui, non l'ha mai confermato.

L'artista era stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva di un ospedale di Parigi lo scorso 26 marzo, e successivamente trasferito a Brest in una clinica specializzata per il Covid dove è avvenuto il decesso. "Christophe non c'è più", ha annunciato Véronique assieme alla figlia Lucie.

"Nonostante la dedizione dei medici, le forze lo hanno abbandonato. Siamo senza parole e tutti i discorsi lunghi, sono futili in questo momento" scrivono, riprendendo una delle sue canzoni più famose, "Le mots bleus".



Christophe era salito alla ribalta del successo con "Aline", nel 1965, un pezzo che esplose nelle classifiche di mezza Europa ed ha poi attraversato mezzo secolo della scena francese con un percorso del tutto personale e apprezzato dal pubblico. In Francia era considerato un monumento, un "cantante extraterrestre", un artista dal carattere particolare che addentava la vita, giocatore di poker incallito, nottambulo, edonista. Un vero personaggio.

L'artista aveva firmato e cantato decine di successi che fanno parte del canzoniere francese, da "Les Marionnettes" passando per "Les Paradis perdus" a "Les Mots bleus", "Petite fille du soleil" e "Un peu menteur" tra le tante. Cinque decenni di successi come ha ricordato il quotidiano Libération che fanno capire quanto la sua figura e i suoi pezzi sono state importanti per la Francia.

Christophe, pseudonimo di Daniel Bevilacqua e di origini italiane, ha fatto parte di quella schiera di artisti come Antoine, Michel Polnareff, Nino Ferrer e Johnny Hallyday, che piombarono in Italia tra gli anni 60 e 70, per lanciare le cover dei loro successi. In un mercato come il nostro dove i 45 giri si vendevano a palate, tutti quei cantanti riuscirono a piazzare i propri brani e anche lui, sbancò le classifiche con un lento da mattonella e da rotonda sul mare.

Il pezzo era "Estate senza te", cover di (J'ai entendu la mer), scritto in taliano addirittura da Herbert Pagani.  Fu presentato nella Canzonissima vinta da Claudio Villa con "Granada". Aveva un intro che faceva "Castelli di sabbia che sbatto giù" che divenne una frase tormentone sulle spiagge dopo una parodia di Franco e Ciccio.


Il boom del disco fu per lui una sorta di rivincita dopo l'affronto di Modugno che qualche mese prima non lo aveva voluto in coppia a Sanremo con lui per cantare "Sopra i tetti azzurri del mio pazzo amore", temendo di esserne oscurato (per fama sul mercato estero e secondo la stampa anche per fascino).

Al suo posto preferì un sconosciuto (e rimasto tale anche in seguito) suo conterraneo, tal Gidiuli, ma il brano fu comunque un flop clamoroso. Successivamente l'artista francese tornò spesso da noi, sempre con cover dei suoi brani, riadattati in italiano con testi di Cristiano Malgioglio (come la canzone del video presentata da Boncompagni), che lo ha pianto con un post sui social ricordando la sua figura e la sua grandezza come autore.

Christophe faceva parte di quei cantautori rock che hanno segnato la strada Oltralpe, assieme a numeri uno come Johnny Hallyday, Gérard Manset. Dopo un piccolo calo negli anni '80, era tornato  nei '90 firmando anche colonne sonore come nel film Kill Bill con Uma Thurman. Era un mito, un'icona, indipendentemente dal successo che poteva avere.

il tweet del Ministro della Cultura francese
"Le sue parole, la sua melodia, e la sua voce ci ha accompagnato ed emozionato, con la sua morte , la canzone francese perde parte della sua anima, ma il sapore dolce amaro delle sue canzoni è indelebile" ha detto il Ministro della Cultura francese Frank Restier.

Ecco, queste parole la dicono tutta non solo su come venisse considerato Christophe ma anche di come la Francia tenga in coniderazione i suoi artisti che nel tempo hanno accompagnato generazioni e hanno contribuito alla loro formazione culturale.

E queste parole, veramente sentite perchè rappresentano un sentimento comune, ci spingono a fare anche una considerazione: vi risulta che in Italia succeda lo stesso? Ricordate un tweet del ministro della cultura del nostro paese quando è scomparso Fred Bongusto? Sipario. Addio Christophe.

Alessandro Momo, 50 anni dopo

 di FRANCESCO TRONCARELLI Chissà cosa avrebbe detto della Lazio di Baroni Alessandro Momo. Sicuramente sarebbe stato contento di vederla gio...