lunedì 29 giugno 2020

Vittorio Gassman, 20 anni senza il Mattatore

di FRANCESCO TRONCARELLI 
 

Quell’appellativo, Mattatore, gliel’avevano cucito addosso come un abito su misura e gli è rimasto per sempre. Perchè lui era Vittorio Gassman, un gigante del nostro Novecento, un numero uno dello Spettacolo che moriva il 29 giugno del 2000 ma, come tutti i grandi, è più presente che mai. Voce possente, volto di una bellezza classica, capacità di spaziare dal registro drammatico a quello comico e una sensibilità che lo rendeva immenso sul palcoscenico e fragile nella vita.

Aveva scelto il giorno di San Pietro e Paolo, patroni di Roma, per andarsene nel sonno 20 anni fa esatti, lui che sul set aveva interpretato molti personaggi tipicamente romani, rendendoli al meglio sia nella versione popolare che quella più tipicamente borghese, ma non era romano Vittorio Gassman, figlio di un ingegnere tedesco, era nato a Genova e aveva passato una breve stagione a Palmi, per poi crescere nella Città Eterna e diplomarsi al Liceo Tasso e diventare una colonna della squadra di pallacanestro dei Parioli.

Non era romano Vittorio, ma sapeva esserlo più di tanti suoi concittadini, capace peraltro di mimetizzarsi in ogni regione per la sua maniacale precisione nel ripetere tutte le inflessioni dialettali e regionali, affinata all'Accademia nazionale d'arte drammatica, nella quale studiò con futuri "saranno famosi" come Paolo Stoppa, Rina Morelli, Adolfo Celi, Luigi Squarzina, Elio Pandolfi, Rossella Falk, Lea Padovani. Alla fine della sua parabola umana e artistica è stato così tanto romano da meritarsi (come solo Anna Magnani e Marcello Mastroianni) una doppia targa stradale nelle vie della sua città adottiva.


A trent'anni aveva già interpretato Amleto e Otello e quando apparve in televisione per condurre "Il Mattatore", una sorta di contenitore ante litteram dove lui primeggiava con il suo carisma e la sua arte, divenne un nome e volto popolare.  A Gassman riusciva tutto e apparentemente senza sforzo. Ma quando decise di mettersi a nudo, prima come attore e poi come uomo e svelò nella sua autobiografia i tarli dell'anima, si scoprì la fatica della perfezione, l'infaticabile ricerca del dettaglio, la necessità di superarsi ogni volta con precisione maniacale.

La sua passione era il Teatro, ma fu il Cinema a renderlo immortale per il grande pubblico e attore magistrale e insuperabile nell'immaginario collettico di un Paese in cerca di miti a tutto tondo capaci di poterlo ammaliare, emozionare e farlo divertire.

Gli anni Sessanta così si rivelarono molto gratificanti per la carriera cinematografica di Gassman, sulla scia del grande successo ottenuto nel 1958 con "I soliti ignoti" di Mario Monicelli, che ebbe anche due seguiti ("Audace colpo dei soliti ignoti", 1959, di Nanni Loy e il tardo "I soliti ignoti vent'anni dopo", 1985, di Amanzio Todini), dove tratteggiò un personaggio irresistibile di ladro arruffone e simpatico che lo distingueva dalle prime interpretazioni più drammatiche degli esordi.


Con Peppe "er Pantera", pugile suonato, dalla parlata incerta, ladro per caso, indossò una maschera comica che lo avrebbe accompagnato nella carriera per anni. Fu l'inizio di un'escalation inarrestabile che lo consegna alla storia della Commedia all'italiana, Gassman sarà infatti uno dei "quattro colonnelli" della risata insieme a Sordi, Tognazzi, Manfredi.

Questo nuovo registro espressivo lo rese complice di autori come Dino Risi, Luciano Salce, Luigi Zampa con Mario Monicelli in testa. Fu lui a disegnare il suo Brancaleone sul "Miles Gloriosus" plautino, così come Risi gli offrì lo spaccone disperato de "Il sorpasso" Bruno Cortona, quell'eccezionale road movie in cui viene raccontata l'Italia che si affacciava al boom economico, tra cambiali, vacanze di massa, risate e tragedie in agguato mentre Ettore Scola fu suo complice in tutto l'itinerario della maturità da "C'eravamo tanto amati" a "La terrazza" a "La famiglia". Tre capolavori.

Monicelli lo rivelò anche ottimo attore di ruoli tragicomici come in quello de "La grande guerra", e lui  acquistò in breve una vasta notorietà con prodotti più popolari, specie sotto la regia di Dino Risi oltre che col citato "il Sorpasso" con film come  "La marcia su Roma" (1962), "I mostri" (1963), "Il gaucho" (1964), "Il tigre" (1967) e "Il profeta" (1968). Sempre per gli schermi italiani, Gassman è tornato a lavorare con Risi "In nome del popolo italiano", 1971, "Profumo di donna", 1974, "Anima persa", 1977, "Caro papà", 1979, "Tolgo il disturbo", 1990.

Tutte pellicole di grande successo in cui Vittorio ha interpretato ruoli indimenticabili entrati nella storia del Cinema e nei quali ha dato il meglio della sua arte e capacità espressiva, ruoli in cui la sua fisicità aveva un aspetto importante seppur mitigato da una recitazione sempre intensa e mai sopra le righe, da grande animale da palcoscenico quale era.


Gassman era felicemente ammalato di vita, sprizzava giovialità, fisicità, intelligenza e per questo fu sempre compagno e complice dei migliori registi, mai semplice esecutore. Aveva fin da giovane la presenza scenica del prim'attore, ereditava il piglio roboante della generazione di Renzo Ricci (padre della sua prima moglie Nora), usava il corpo come strumento della sua arte. 

Se sul palcoscenico non ha mai avuto difficoltà a imporsi (tra i primi a riconoscere il talento ci furono Luchino Visconti, Luigi Squarzina e più tardi Giorgio Strehler) svariando con naturalezza dal repertorio classico a quello contemporaneo, al cinema dovette passare per piccoli ruoli fino a costruirsi una certa fama da "villain" e seduttore pericoloso come in "Riso amaro" di Giuseppe De Santis nel 1949 prima del grande boom peronale come attore di grande richiamo per riempire le sale, di cui abbiamo parlato.

Meno nota, ma non meno importante è la carriera internazionale di Vittorio Gassman: da sempre, grazie alla conoscenza delle lingue, lo cercano le produzioni internazionali e, dopo la rivelazione in "Guerra e Pace" (1956), dagli anni '70 in poi avrà i migliori registi: Robert Altman, Paul Mazursky, Alain Resnais, André Delvaux, Jaime Camino, Barry Levinson.

Si proverà anche come regista in proprio, riversando una buona dose di autobiografia in tentativi ambiziosi come "Kean" o "Senzafamiglia, nullatenenti cercano affetto" in coppia con Paolo Villaggio. Chiuderà la carriera là dove l'aveva iniziata, in palcoscenico, tra l'intensa recitazione di pagine poetiche, una memorabile edizione della "Divina Commedia" e lo spettacolo "Ulisse e la balena bianca" che è una sorta di testamento artistico ed esistenziale.

Classe 1922, Vittorio sognava di morire in scena e per poco non ci è riuscito. Spirito irregolare e controcorrente, ha dato "scandalo" nella vita privata con tre mogli e tre compagne, tutte molto amate, da cui ha avuto quattro figli, tre dei quali ne hanno seguito le orme. Spirito inquieto, paradossalmente è stato il meno "italiano" dei nostri grandi attori e forse per questo, pur tra tanti premi, non ha avuto quella gloria che, oggi lo scopriamo, meritava.

Desiderava un suo teatro ma solo dopo morto gli è stato intitolato il Quirino. Meritava l'Oscar ma lo prese Al Pacino al posto suo per il remake di "Profumo di donna" e si dovette accontentare di un premio a Cannes (per lo stesso film). La Mostra di Venezia gli ha dato il Leone d'oro alla carriera nel 1996, ma aveva avuto tutto il tempo per accorgersi di lui molto prima.

E' stato un gigante che in solitudine ha dovuto convivere con la depressione, un mattatore che dominava il pubblico ma non i dubbi e il buio che lo avvolgeva, un attore che recitava se stesso specchiandosi nei vizi e nelle virtù degli altri. E' stato Vittorio Gassman, un attore enorme che ha lasciato un ricordo indelebile della sua arte e della sua bravura. E un epitaffio sulla sua lapide al Verano originale e irriverente: "Qui giace Vittorio Gassman, fu attore, non fu mai impallato".

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