venerdì 14 settembre 2018

Califano, 80 nostalgia di un poeta

 di FRANCESCO TRONCARELLI



Amava la vita e la musica era la sua vita. Era uno spirito libero, un anticonformista che andava per la sua strada, lontano dal circo mediatico dei raccomandati che nel mondo dello spettacolo hanno vita facile e per questo successo garantito. Era semplicemente Franco Califano, per chi lo conosceva ed amava il Califfo,  uno dei più grandi autori del nostro pop, un artista unico che ha regalato emozioni a non finire a intere generazioni e che per il suo essere controcorrente non è stato mai adeguatamente considerato dalla critica e dai media. Messo all’angolo in vita, dimenticato in fretta da morto.

Oggi avrebbe compiuto 80 anni, ma vedrete saranno in pochi a ricordarlo sui media, come è successo nell'anniversario della sua scomparsa, avvenuta il 30 marzo di cinque anni fa. Se non fosse per la passione dei suoi collaboratori più stretti degli ultimi tempi, il ricordo del Califfo sarebbe relegato in un baule impolverato, lontano dagli occhi e lontano dal cuore.

Ecco così che va applaudito il talentuoso Alberto Laurenti, produttore degli utimi album del Califfo che costantemente ne rilancia e propone la produzione e che proprio stasera lo omaggerà con un recital da giorni "sold out" al Teatro Manfredi di Ostia mentre allo spazio Atlantico un altro fedelissimo come Gianfranco Butinar (che lo ha interpretato nel film di Stefano Calvagna "Non escludo il ritorno") terrà una festa happenig in suo onore con personaggi ed amici che gli hanno voluto bene lo hanno sempre apprezzato.

Poeta, ribelle, artista maudid, protagonista di storie di cronaca nera e cronaca rosa, attore di cinema e di fotoromanzi, idolo di una certa Roma ai confini della legalità e al tempo stesso di tanta gente di ogni ceto sociale innamorata dei suoi brani, Califano resta comunque un grande chansonnier, un cantautore immenso e un autore prolifico e sempre di qualità.

Un uomo dalle spalle larghe e dalla creatività innata, con la capacità di raccontare il vissuto quotidiano della gente, fosse di borgata come in quel brano portato al successo da Edoardo Vianello e Wilma Goich in coppia, o fosse dei quartieri alti della città, l’una e l’altra alle prese con i problemi che da sempre tormentano le rispettive esistenze. La vita, l’amore, l’amicizia. Non a caso qualcuno molto acutamente l’aveva definito il Prevert di Trastevere.

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E’ stato autore di alcune pagine intense della musica leggera italiana come "La musica è finita"  "Una ragione di più", "Minuetto", "Un grande amore e niente più", "E la chiamano estate", ma nel corso della sua carriera Califano non aveva trovato il modo di farsi apprezzare appieno anche come interprete.

Dopo alcuni tentativi rimasti nel limbo l'occasione gli capitò, quando incise "Tutto il resto è noia" che diventerà uno dei capolavori assoluti della musica italiana.

Una canzone dal sapore amaro ma irresistibile che dipinge su musiche di Frank Del Giudice, il malessere esistenziale di una passione che si spegne piano piano nella routine, che il Califfo scrisse più di quarant’anni fa ma che per le dinamiche e le situazioni del rapporto di coppia che racconta, è sempre attuale.

Pubblicato nel 1976 ed inserito nel suo quarto album (33 giri etichetta Ricordi) sulla cui copertina c’è un bambino dal cognome che rimanda ad echi di malavita, ovvero l’allora piccolo Eros Turatello, figlio del boss milanese Francis suo amico, “Tutto il resto è noia” è considerato dalla rivista Rolling Stone, uno fra i cento dischi italiani più belli di sempre ed è per lui, quello che gli americani chiamano “signature song”, il brano cioè con cui si identifica subito un cantante.

Sicuramente è la canzone che gli ha regalato una nuova credibilità artistica dopo le vicissitudini giudiziarie che avevano movimentato in negativo la sua esistenza e lo avevano allontanato dalla ribalta. Un brano che segna il riscatto come artista e per taluni che snobisticamente lo avevano emarginato, anche come uomo, rilanciandolo a pieno titolo e senza falsi moralismi, come cantautore con la “c” maiuscola.

Califano che andava a letto cinque minuti dopo degli altri per avere cinque minuti in più da raccontare, nato per sbaglio a Tripoli da genitori campani, ma romano d’adozione, con quella inconfondibile voce roca e quello sguardo sornione da bel tenebroso, aveva sul braccio tatuato “tutto il resto è noia”, la frase di questa canzone che gli ha dato la notorietà e la fama imperitura e che avrebbe voluto come suo epitaffio.

E aveva ragione. Nel riascoltarla con malinconia nel giorno del suo complenno, ci si accorge come il mondo dello spettacolo sia maledettamente noioso senza uno artista come lui.




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