mercoledì 26 giugno 2019

Farrah Fawcett, indimenticabile Angel

di FRANCESCO TRONCARELLI 



La versione cinematografica di «Charlie’s Angels» arriverà nelle sale a novembre, eppure basta questo titolo per evocare l’immagine dell’attrice Farrah Fawcett, stroncata da un male incurabile dieci anni fa a Santa Monica (il 25 giugno 2009) e divenuta un simbolo della cultura pop proprio grazie al ruolo di Jill Munroe, la bionda e atletica detective che, insieme alle colleghe Sabrina Duncan (Kate Jackson) e Kelly Garrett (Jaclyn Smith), combatteva il crimine nella celebre serie televisiva andata in onda sulla ABC a partire dal 1976.

L'occhio azzurro, il fisico statuario e una pettinatura che ha fatto epoca. Farrah Fawcett è stato uno dei volti simbolo degli anni 70 e 80. Icona della femminilità, simbolo della emancipazione della donna, sex symbol ammirato da intere generazioni. Era divenuta celebre con la celebre serie televisiva poliziesca di cui fu una delle protagoniste solo della prima stagione, ma tanto le bastò per entrare nel mito.

La decisione di abbandonare la serie, presa per le pressioni del marito Lee Majors, le costò una causa milionaria e l'ostracismo del mondo dello spettacolo americano. Riuscì a riprendere in mano la sua carriera solo dopo alcuni anni, mettendosi in luce in alcuni ruoli drammatici che le valsero anche numerose nomination a Emmy e Golden Globe.

Le Charlie's Angels

Nata a Corpus Christi, in Texas, il 2 febbraio 1947, Farrah Fawcett si era diplomata nel 1965 alla W.B. Ray High School per poi frequentare un corso d'arte presso la University of Texas di Austin. Quando l'ateneo ospita un servizio giornalistico sulle Dieci studentesse universitarie più belle, un giornalista di Hollywood nota la sua avvenenza e la sprona a trasferirsi a Los Angeles per posare come modella e partecipare a spot commerciali.

I suoi primi ruoli d'attrice sono alcune particine nei telefilm "Strega per amore" e "Owen Marshall: Counselor at Law e in Harry O". Il primo ruolo importante arriva nel 1970, quando la Fawcett interpreta la bella Mary Ann Pringle ne 'Il caso Myra Breckinridge' di Michael Sarne, tratto dal romanzo Myra Breckinridge di Gore Vidal.

Il film è un grande insuccesso commerciale, stroncato peraltro, oltre che dalla critica, dallo stesso Vidal: questo flop fa arenare la carriera della Fawcett, che torna a fare pubblicità. Tre anni dopo il neomarito dell'attrice, Lee Majors, comincia a recitare nella serie 'L'uomo da sei milioni di dollari', riuscendo a trovare un posto anche per la moglie: la popolarità della Fawcett comincia a crescere e le sue immagini appaiono su tutti i magazine di spettacolo e attualità ed è richiestissima per servizi fotografici.

Il produttore Aaron Spelling nota la giovane e le propone una nuova serie, 'Charlie's Angel', la cui prima puntata va in onda il 22 settembre 1976. Farrah recita il ruolo di Jill Munroe, una detective bella e scaltra reclutata dal proprietario di un'agenzia investigativa insieme ad altre due avvenenti colleghe, le belle, brave e castane Sabrina Duncan e Kelly Garrett.

Il successo della serie spinge quello di un poster che la raffigura in un costume intero rosso che lanciato da un'agenzia, diventa sempre più iconico, tanto che l'acconciatura della Fawcett diventa una moda internazionale. Riguardo alla serie, che le vale un People's Choice Award, l'attrice racconta in un'intervista al giornale TV Guide: "Quando Charlie's Angels incominciò ad avere un primo successo pensai che fosse grazie alla nostra bravura ma, quando ebbe un successo internazionale, capii che ciò era dovuto al fatto che nessuna di noi portava il reggiseno".

il poster
Alla consacrazione immediata decretata dal successo televisivo contribuì anche il poster che dicevamo, anzi «il poster», considerato che con i suoi venti milioni di copie, risulta tuttora il più venduto da sempre di queste maxi foto da appendere al muro. I retroscena dello scatto sono noti. Il fotografo Bruce McBroom la invitò a indossare un bikini personale, ignorando che l’attrice non ne possedesse neppure uno.

Motivo per cui Farrah si presentò con il suo costume intero preferito, un modello rosso semplice ed essenziale firmato dalla stilista Norma Kamali (oggi esposto allo Smithsonian National Museum of American History). Inoltre volle occuparsi personalmente di trucco e capelli e, davanti all’obiettivo, quella combinazione naturale si rivelò esplosiva.

Se i maschi di tutto il mondo appesero il poster nelle loro camere (incluso Tony Manero/John Travolta ne «La febbre del sabato sera», 1977 ), le ragazze fecero impazzire eserciti di parrucchieri pretendendo chiome vaporose e un taglio «alla Farrah Fawcett». Ma a lei la sola fama non bastava, voleva essere apprezzata come interprete. Un sogno che però si rivelò più difficile.
 
Quando la bionda Farrah abbandona la serie più seguita d'America, il produttore Aaron Spelling, su tutte le furie, intenta una causa da tredici milioni di dollari contro di lei esercitando anche la propria influenza per evitare che la Fawcett trovasse lavoro.

La bella attrice paga così una multa salata, impegnandosi a tornare in alcuni episodi della terza e della quarta serie in qualità di guest star. A sostituirla nel telefim è Cheryl Ladd che assume il ruolo di Kris Munroe, sorella minore di Jill. Nonostante l'ostracismo, la Fawcett risorge dal teatro dopo aver divorziato dal marito: il ruolo di Marjorie nel musical di Broadway Extremities la consacra come attrice di spessore e le permette di tornare a Hollywood.

Farrah a 40 anni
La prima candidatura agli Emmy Awards è del 1984 grazie al film televisivo Quando una donna, mentre due anni dopo arriva la candidatura al Golden Globe per il film 'Oltre ogni limite', adattamento cinematografico di Extremities in cui interpreta una donna che sequestra il suo strupratore, ruolo drammatico e importante come quello dell'attivista tedesca Beate Klarsfeld nel film per la TV 'Il coraggio di non dimenticare' (1986). Questa prova le vale una nomination ai Golden Globe, poi replicata nel 1987 grazie al ruolo di Barbara Hutton nella miniserie televisiva 'Una povera ragazza ricca - La storia di Barbara Hutton'.

Una terza candidatura ai Golden Globe arriva nel 1989, quando affianca il fidanzato Ryan O'Neal (dal quale ha avuto un figlio, Redmond, nell'85) nella miniserie TV 'Sacrificio d'amore', che le vale anche una doppia nomination agli Emmy Awards. Nel 1995, anno in cui le viene conferita una stella con il suo nome sulla Hoolywood Walk of Fame, la Fawcett decide anche di cedere alla proposta di spogliarsi per la rivita Playboy, esperienza che ripete anche due anni dopo per i suoi 50 anni.

Dopo i film 'L'apostolo' (1997) e 'Il Dottor T e le donne' (2000), l'attrice riceve la terza candidatura agli Emmy Awards per un ruolo secondario nella serie 'The Guardian'. Poi una svolta negativa che segnerà per sempre la sua vicenda umana e artistica: nel 2006 le viene diagnosticato un cancro al colon e, nell'aprile 2009, viene ricoverata in Germania in un disperato tentativo di salvarla.

Nei suoi ultimi mesi di vita l'attrice partecipa ad un documentario sulla sua battaglia contro il cancro, filmato dalla Fawcett e dall'amica e produttrice Alana Stewart: il film 'La storia di Farrah Fawcett' viene seguito da 10 milioni di telespettatori negli Stati Uniti.

Ryan O'Neal e Farrah Fawcett

La pellicola riceve la nomination agli Emmy Awards tra i migliori programmi dell'anno. Il 22 giugno il Los Angeles Time annuncia le imminenti nozze fra O'Neal suo compagno da sempre e con cui ha formato una coppia molto amata dal pubblico, ma i due non riescono a coronare il proprio sogno d'amore. Tre giorni dopo, Farrah Fawcett si spegne al Saint John's Health Center di Santa Monica.

Intervistato dalla rivista "People" in occasione dell'anniversario della scomparsa della sua Farrah, O'Neal ha detto che "non c'è mai stato un giorno in cui non l'ho amata". Ed è stato proprio così per il biondo divo di tanti film di successo, che nella vita reale con la triste fine della Fawccet ha vissuto incredibimente sulla sua pelle il dramma portato sullo schermo con "Love story".

Un amore totale e totalizzante la cui fine così drammatica, lei senza più capelli e in carrozzina, lui invecchiatosi repentinamente e conclusasi senza potersi dire "sì" nonostante tutto, lo sconvolse. Tanto che al termine della cerimonia funebre, tra un ringraziamento e un saluto ai presenti, si mise a parlare della sua amata con una ragazza che era lì fra i tanti, che guardandolo stupita gli disse "Ma papà non mi riconosci? Sono Tatum". Era sua figlia, attrice anche lei, premio Oscar per "Paper moon".

martedì 25 giugno 2019

Michael Jackson, dieci anni di solitudine

di FRANCESCO TRONCARELLI



Un artista tra i più acclamati, ma non c'è nessuno che abbia voglia di ricordarlo degnamente. Potrebbe sembrare strano, non è mai successo in circostanze simili, ma è proprio così. Dieci anni fa il mondo del pop perdeva il suo re ma sono pochi, fra chi tira le fila dei media, che hanno voglia di celebrarlo. Il 25 giugno del 2009, il cuore cinquantenne di Michael Jackson artista conosciuto e applaudito in tutto il mondo, cedeva per una overdose dell'anestetico Propofol. Una morte giunta inaspettata mentre stava preparando "This Is It", lo show che avrebbe dovuto mettere in scena a Londra e che rappresentava il suo ritorno sulle scene. Nonostante l'importanza di Jackson nella storia della musica del '900, il decennale della sua scomparsa viene però celebrato in tono minore. E tutti sappiamo perchè.

Nessun concerto di commemorazione, nessun grande evento, nemmeno una raccolta celebrativa di successi come si usa solitamente. Il modo in cui la figura del Michael Jackson uomo è stata messa in discussione, soprattutto in epoca di Metoo, consiglia di non esporsi troppo. Persino il suo amico, mentore e produttore Quincy Jones ha trasformato un concerto in programma nella capitale inglese per celebrarlo in un generico omaggio alle musiche da film degli anni 80.


E nonostante le recenti palate di fango gettate dal documentario "Leaving Neverland" siano state rimosse nel giro di poche settimane, tra credibilità delle testimonianze degli ex bambini accusatori smontata e scarso interesse mostrato dal pubblico, gli schizzi delle nuove accuse di molestie sono rimasti a sporcare questo anniversario.

Una ricorrenza che avrebbe meritato altro tipo di celebrazione perché, al di là di dubbi sulla condotta morale nel privato di Jackson, resta il lascito artistico di una delle stelle più luminose che il mondo del pop abbia visto brillare nel secolo scorso. Una lucentezza che non si limita ai numeri da capogiro dei suoi album più famosi, di cui "Thriller", tutt'ora album più venduto di sempre (un record, considerando i livelli attuali di vendita dei cd, destinato a rimanere imbattuto) è solo il vertice assoluto di un insieme discografico che comprende lavori multiplatino come "Off The Wall", "Bad", "Dangerous" e "HiStory".


Jacko e Sophia Loren

Jackson ha vinto centinaia di premi che fanno di lui l'artista più premiato nella storia della musica. Tra questi figurano 40 certificazioni nel Guinness dei primati, 15 Grammy Awards su 38 nomination (inclusi due Grammy alla carriera), 40 Billboard Awards, 26 American Music Awards, 16 World Music Awards e 14 singoli al numero uno negli Stati Uniti durante la sua carriera da solista, più di ogni altro artista maschile con un totale complessivo di oltre un miliardo di copie tra album e singoli, vendute. 

Ma l'importanza di Jacko va oltre il suo essere fenomeno commerciale senza pari. Perché quel successo era il frutto di uno strarodinario talento. Espresso come interprete, autore e ballerino, performer assoluto e di razza, dimostrato senza ombra di dubbio nel corso di una carriera che ha visto tutte le fasi possibili dello spettacolo affrontate e vinte con talento. Gli inizi da bimbo prodigio (alle prese con un padre-padrone a fare da manager dispotico) insieme ai fratelli, le difficoltà del passaggio alla vita adulta, il successo straordinario fino ad arrivare sul tetto del mondo.

Tipica incarnazione del sogno americano, perchè nato e cresciuto in una famiglia proletaria afroamericana da cui ha spiccato il volo per diventare l'uomo più famoso del pianeta. Dall'America all'Asia, dall'Europa all'Africa lo conoscevano tutti. Fino alla caduta. Prima accennata, con i primi passi falsi quando ha voluto liberarsi della presenza tanto importante quanto ingombrante, di Quincy Jones. E poi clamorosamente rovinosa, soprattutto a livello di immagine, con le accuse infamanti di pedofilia, i processi, le assoluzioni giudiziarie mai sufficienti a togliere dalla testa di molti il dubbio.

Jackson, Clinton con la figlia e Diana Ross

Michael ha vissuto tutto ai massimi livelli in maniera quasi parossistica. Trionfi immensi e momenti bui. In un alternanza di situazioni che hanno creato allarme fra i fan e instabilità psicofisica su sè stesso. Con i riflettori dei media puntati 24 ore su 24 su di lui a lasciare ferite indelebili che ne hanno fatto un uomo tanto fragile e timido almeno tanto quanto era determinato e deciso l'artista. Un personaggio unico e controverso, molto amato e idolatrato finchè in vita sino ad essere detestato e rimosso poi da morto.Passato dal mondo delle fiabe a quello dell'horror.

Persino la sua scomparsa è stata una sorta di tragedia consumatasi sotto gli occhi del mondo. Prima con quel ritorno annunciato in pompa magna e diventato una cosa più grande di lui (le date dello show dovevano essere 10 e furono portate a 50 a sua insaputa per far fronte al gran numero di richieste). Impegno al quale non volle in ogni caso sottrarsi, a costo di bruciare le ultime energie di un fisico fortemente debilitato. E poi con un dottore messo alle sue costole per accudirlo che finirà per ucciderlo, con una dose sbagliata di anestetico chirurgico che Jacko usava per dormire, perché i normali tranquillanti non bastavano più.

Dieci anni dopo la sua scomparsa, resta la fedeltà di chi lo ha seguito senza tentennamenti e continua a farlo senza porsi dubbi e questioni. A cominciare dai milioni di fan sparsi per il mondo, per proseguire con quegli artisi che si sentono di difenderlo come hanno fatto recentemente Madonna e Diana Ross. Ma ci sono anche quelli che tolgono targhe dalle scuole, emittenti che si rifiutano di trasmettere la sua musica, mostre dedicate a lui che vengono annullate. Per non parlare dei grandi network americani che preferiscono evitare di programmare speciali per ricordarlo in occasione di questo decennale. Resta comunque la sua musica che quando anche l'ultimo polverone di accuse si sarà depositato, sarà ancora là a brillare intatta per continuare a suscitare emozioni.


venerdì 21 giugno 2019

Freddie Mercury, spunta l'inedito

di FRANCESCO TRONCARELLI 



Emozioni, brividi, euforia, ma anche stupore per un regalo arrivato all'improvviso e a sorpresa. Già chi se lo aspettava di rivedere Freddie Mercury e soprattutto riascoltare la sua voce magica, unica e inconfondibile in una esibizione particolare, accompagnata da un solo pianoforte, che riesce ad entrarti dentro e scuoterti l'anima.

Per la prima volta in assoluto, dopo oltre trent'anni, viene pubblicata una versione fino a ora inedita di 'Time', registrata nel 1986 dal frontman dei Queen per il concept album del famoso musical omonimo. Il brano è il frutto del lungo lavoro di Dave Clark, musicista, compositore e produttore e amico di lunga data di Freddie che insieme ai Beatles col suo gruppo Dave Clark Five aveva contribuito a metà degli anni 60 al successo internazionale della British Invasion.  

Dopo il boom mondiale del film "Bohemian Rapsody" che ha fatto incetta di Oscar a cominciare con quello a Rami Malek quale miglior attore protagonista, arriva ora questa performance inedita che ha immediatamente sbancato il web e animato i social, riscuotendo un successo e un clamore enormi in poche ore. E non poteva essere diversamente perchè tanta è l'attenzione nei confronti di questo grande artista nonostante sia scomparso da molto tempo.

Per la pubblicazione del brano, Clark ha scelto di utilizzare il titolo completo della canzone 'Time Waits For No One' e l’uscita del pezzo è corredata anche da un video. La Universal Music Group (UMG)/UMe ovviamente ha annunciato subito la pubblicazione di "Time Waits For No One" che è schizzato in alto nelle piattaforme digitali.

La canzone viene proposta in una veste estremamente intima, in cui l’inconfondibile voce di Mercury è accompagnata dal solo pianoforte come dicevamo, ottenendo così un'atmosfera veramente speciale, libera da orpelli e suoni che di solito accompagnavano le sue performance, ma proprio per questo avvolgente e coinvolgente.

Mercury con Dave Clark e Cliff Richard

Il musical "Time" debuttò con grandissimo successo al Dominion Theatre di Londra nell'aprile del 1986, attirando oltre 1 milione di spettatori durante i suoi due anni di messa in scena. Il cast comprendeva, tra gli altri, Sir Laurence Olivier, il più grande attore britannico di sempre e Cliff Richard la prima popstar d'oltremanica.

Per il concept album dello spettacolo, Dave aveva in mente una canzone per Freddie ("In My Defense"). Mercury registrò il brano agli Abbey Road Studios di Londra (quelli dove erano di casa i Fab Four) nell'ottobre del 1985. Al piano c’era Mike Moran, già membro della band di Dave Clark. Dopo quell’incontro, Mike e Freddie strinsero un legame che, negli anni successivi, li portò a collaborare nella scrittura di “Barcelona”.

Clark ricorda ancora quelle sessioni di registrazione: "Andavamo alla grande, forse perché entrambi avevamo un obiettivo comune, creare qualcosa di speciale". Nel gennaio del 1986 Freddie Mercury e Dave Clark tornarono agli Abbey Road Studios per registrare un altro brano, “Time”, che Dave aveva scritto con John Christie.

"Quando ci siamo incontrati per la prima volta lui mi ha detto 'Beh, come posso fare questa canzone?' e io gli ho risposto che volevo un incrocio tra Edith Piaf, Jennifer Holliday e Shirley Bassey", ha raccontato Dave Clark in un'intervista. "Ho tutti i loro vestiti, quindi gli ho risposto che l'avrei potuta fare perfettamente", ha replicato ironicamente Mercury.

Il video della canzone fu girato proprio al Dominion Theatre, poco prima della messa in scena del musical. Il videoclip che oggi viene pubblicato è stato realizzato con le riprese originali, rimaste negli archivi per decenni.

Clark è riuscito a isolare la traccia vocale registrata da Freddie lavorando minuziosamente sulle 96 incisioni originarie, e Mike Moran ha suonato una nuova traccia al pianoforte. Il risultato è stato letteralmente incredibile.

Nel brano che possiamo ascoltare adesso sembra infatti di rivivere la magia delle session “piano e voce” agli Abbey Road Studios. Questo 'Time Waits For No One' è un omaggio alla forza musicale di Freddie Mercury, alla sua professionalità, alla sua musica, al suo modo di essere artista a tutto tondo. Bravo, molto bravo, bravissimo. Eccolo.


martedì 18 giugno 2019

C'era una volta il Festivalbar

di FRANCESCO TRONCARELLI
  


Era un appuntamento fisso dell'estate. Un modo di sentirsi partecipi e protagonisti di un evento. Generazioni di adolescenti sono cresciute con lui. Finite le scuole, in vacanza o ancora in città, senza cellulari e quindi senza wathsapp, senza internet e quindi senza youtube e i social, ma con tanta fantasia e passione per la musica, i ragazzi lo seguivano sui settimanali specializzati e incollati davanti al televisore.

C'era una volta il Festivalbar, una manifestazione musicale fra le più amate in assoluto dal pubblico, che ha accompagnato una stagione irripetibile del nostro costume e della Tv, tutti i grandi artisti ci sono passati e tutti quanti lo hanno visto e applaudito tifando per chi si esibiva in una passerella senza soluzione di continuità e tanta buona musica.

A idearlo nel 1964 Vittorio Salvetti, ragioniere di Padova con passione per lo spettacolo e una grande carisma, come una gara fra le canzoni dell'estate che veniva misurata con le preferenze del pubblico  tramite gli ascolti rilevati dai jukebox disseminati nei bar di tutta Italia, da cui il nome della kermesse. Il meccanismo era semplice, ad ogni apparecchio era applicato un "contatore" che rilevava quante volte un brano veniva scelto e di conseguenza suonato.

Salvetti e "Casco d'oro" Caterina Caselli

Alla fine della stagione più calda dell'anno la somma di tutte le "gettonature" decretava il vincitore, in una vera e propria festa della musica, delle canzoni e degli artisti. A partire dal 1967 divenne una serata televisiva trasmessa sul quello che era il Secondo canale della Rai e così fino al 1982. Considerato il crescente riscontro, la "finale" già nel 1975 fu portata da Asiago - dove si era svolta sino allora, con le eccezioni delle edizioni 1965 (che ebbe luogo a Milano), 1966 e 1967 (che ebbero luogo a Salice Terme) a Verona, nell'Arena, che per la prima volta aprì i suoi battenti alla musica leggera proprio con questa manifestazione.

Con il passaggio alle reti Fininvest nell'83 dapprima su Canale 5 con alla conduzione una coppia lanciatissima e molto affiatata composta da Claudio Cecchetto e Marina Perzy, poi su Italia 1 a partire dal 1989, la kermesse cambia regolamento e format, adattandosi alle logiche degli ascolti televisivi e divenendo uno spettacolo itinerante, ripreso settimanalmente da una diversa piazza d'Italia.

Alcune location (come l'arena Alpe Adria di Lignano Sabbiadoro) diventeranno storiche, ospitando lo spettacolo per molti anni consecutivi, e nel 1997 una puntata è stata girata addirittura nell'Arena di Pola, in Croazia. Anche il meccanismo di voto cambia: le "gettonature" assumono un ruolo sempre meno rilevante, data anche la progressiva scomparsa dei juke-box dai bar delle località di villeggiatura italiani. Il vincitore sarà stabilito perciò in base al numero di passaggi radiofonici e televisivi ottenuti e dai risultati di vendita.


Salvetti e Alan Sorrenti

La popolarità di cui ha sempre goduto e lo spazio televisivo guadagnato (sempre maggiore) contribuì a rendere la creatura di Vittorio Salvetti un appuntamento imperdibile dell'estate. Non di rado, infatti, è proprio dal suo palco che furono lanciati la maggior parte dei cosiddetti tormentoni estivi, e molti artisti emergenti trovarono l'adeguato spazio grazie anche all'introduzione, di un premio speciale (detto premio Rivelazione) per i nuovi talenti.

Il Festivalbar ha portato fortuna anche a molti dei suoi presentatori. Proprio negli anni Ottanta, ad esempio, ha segnato il debutto in prima serata di un giovanissimo Gerry Scotti, ex speaker di Radio Deejay, mentre nel decennio successivo ha costituito un importante trampolino di lancio per Fiorello (che in questa occasione strinse un solido e proficuo sodalizio artistico con Alessia Marcuzzi) e Amadeus, entrambi inizialmente deejay e presentatori di programmi musicali ma consacrati in seguito come intrattenitori e showmen a tutto tondo.

Ed è appunto negli anni Novanta che il Festivalbar effettua alcuni aggiustamenti di rotta. Inizia infatti tradizionalmente a fine maggio con un gala di apertura registrato in un'unica serata ma trasmesso in due parti, per proseguire per tutto giugno e luglio con due-tre appuntamenti dalle varie piazze italiane che vengono poi trasmessi successivamente e suddivisi per distribuire in più puntate le esibizioni, rigorosamente in playback.

Festivalbar 93, Federica Panicucci, Amadeus, Fiorello, Jovanotti e Salvetti

Dopo una pausa ad agosto, a settembre andava in onda il gala finale, e in questo contesto assume importanza anche il programma satellite Anteprima Festivalbar, la cui produzione è stata avviata a partire dall'edizione del 1987: un montaggio (mandato in onda come striscia quotidiana in vari orari oppure con un unico appuntamento settimanale spesso in seconda serata o in tarda mattinata) di varie riprese nei backstage o durante le prove, interviste agli artisti e approfondimenti sulla località ospitante.

Queste ultime informazioni vengono poi riprese nella tradizionale cartolina, ovvero una sorta di mini-spot con la voce di Vittorio Salvetti che introduce il luogo che ospita la tappa, in onda durante la puntata vera e propria. Con la scomparsa dle patron nel 98 la produzione della kermesse passa nelle mani del figlio Andrea già co-conduttore di alcune edizioni e il tutto va avanti sino al 2007 per l'ultima edizione. Poi "l'arma da guerra" per diffondere canzoni e regalare divertimento si ferma per mancanza di fondi per l'organizzazione, in effetti sempre più complessa, chiudendo così un'epoca che ha lasciato il segno nella storia della televisione e del nostro pop.

Una stagione irripetibile che ha lanciato nomi e brani che hanno attraversato decenni conquistandosi il loro posto al sole. Basta scorrere l’albo d’oro del Festivalbar, per rendersi conto del fiuto di Salvetti:  Bobby Solo ("Credi in me"), Petula Clark ("Ciao ciao"), "Caterina Caselli ("Perdono"), Rocky Roberts ("Stasera mi butto"), Lucio Battisti ("prigioniero del mondo", "Acqua azzurra acqua chiara", "Fiori rosa fiori di pesco"), Demis Roussos ("We shall dance"), Mia Martini ("Piccolo uomo", "Minuetto"), Claudio Baglioni ("E tu"), Gloria Gaynor ("Reach out i'll be there"), Gianni Bella ("Non si può morire dentro"), Umberto Tozzi ("Ti amo")



 Alunni del Sole ("Liù"), Alan Sorrenti ("Tu sei l'unica donna per me"), Miguel Bosè ("Olympic games"), Loredana Bertè ("Non sono una signora"), Giuni Russo ("Un'estate al mare"), Vasco Rossi ("Bollicine", "Io no", "Ti prendo e ti porto via"), Gianna Nannini ("Fotoromanza"), Righeira ("L'estate sta finendo"), Tracy Spencer ("Run to me"), Eros Ramazzotti ("Più bella cosa non c'è"), Pino Daniele ("Che male c'è"), Scialpi e  Scarlet ("Pregherei"), Zucchero ("Spirito divino"), Raf ("Ti pretendo"), Jovanotti ("Un raggio di sole"), Francesco Baccini e i Ladri di Biciclette ("Sotto questo sole"), Gino Paoli ("Quattro amici"). Luca Carboni ("Mare mare"), 883 ("Tieni il tempo"), Lunapop ("Qualcosa di grande"), Negramaro ("Parlami d'amore") .


Una lista interminabile di brani e artisti che tutti conoscono e che spesso e volentieri avevano ricevuto una spinta decisiva per affermarsi da parte del patron della gara canora. Salvetti infatti che aveva alle sue spalle una lunga gavetta da organizzatore di eventi inziata da giovanissimo nel mitico Bar Pedrocchi di Padova (gare per voci nuove, tra cui un certo Silvio Berlusconi alias Silvio Gori arrivato penultimo) ad inizio anni ’60 fa l’impresario ed è membro del Clan Celentano.

Sarà lui a lanciare Lucio Battisti venuto da Poggio Bustone a Milano per cercare fortuna, sarà lui a dargli i consigli giusti per cominciare a fare musica sul serio, diventandone così amico negli anni fino a portarlo ai trionfi proprio del Festivalbar con tre vittorie.

Vittorie limpide, ottenute attraverso le gettonature dei juke-box, che proprio in quel periodo vivevano un momento di boom. Con questo sistema il simpatico e solare Salvetti scavalcava il classico meccanismo delle giurie, realizzando la prima “giuria popolare” applicata alle competizioni canore.

Per Salvetti ascoltare canzoni e mettere insieme un cast per le sue manifestazioni, non era un mestiere, ma era soprattutto un divertimento perchè l'ambiente lo conosceva a menadito e tutti lo rispettavano per la sue capacità manageriali. Passava intere giornate a ricevere, ad ascoltare e soprattutto a parlare con i suoi interlucutori che proponevano pezzi e nuovi talenti. E a tutti trovava un posto e offriva un'opportunità.

Affabile, bonario, signore d’altri tempi, riusciva a coinvolgere anche i divi internazionali nel suo Festivalbar, ecco così Barry White, Julio Iglesias, Donna Summer, Suzy Quatro, Grace Jones, Sheyla, Gloria Gaynor per citarne alcuni che impreziosivano le sue serate.

Salvetti e Vasco

Nell’agosto 1998, in occasione della XXXV edizione, Vittorio Salvetti ormai già ammalato, consegnò i premi a Vasco Rossi, Nek, Pino Daniele e Renato Zero, intrattenne gli ospiti e fece gli onori di casa come solo lui era capace di fare, con tanta classe e qualche battuta di riempimento. Due mesi dopo, il 19 ottobre 1998 moriva nella sua Padova che l'aveva visto debuttare in quel mondo che tanto amava. Un mese prima se ne era andato anche Lucio Battisti, a chiusura di un ciclo umano e professsionale speciale che li aveva visti protagonisti insieme.


Ma anche un segno dei tempi che stavano cambiando, con l'arrivo dei rigidi dati di ascolto e dei dirigenti televisivi mossi solo dallo stipendio più che dall'amore per quel tipo di lavoro, un segnale della fine dei grandi personaggi carismatici e anche un po' romantici che partecipavano con passione e totale coinvolgimento alla propria attività. Artigiani come lui ed Ezio Radaelli per il Cantagiro. Ma questa è un'altra storia che merita di essere raccontata.

martedì 4 giugno 2019

Lina Wertmuller, 90 anni da Oscar

di FRANCESCO TRONCARELLI



Era scritto che prima o poi avrebbe vinto l'Oscar. Sì, perchè la grande Lina Wertmuller è stata la prima donna regista nella storia del cinema candidata alla prestigiosa statuetta nel 1977, per il film "Pasqualino Settebellezzze" con Giancarlo Giannini, che all'epoca ebbe un successo internazionale.

E se lo merita tuto questo premio Lina, uno dei personaggi dello spettacolo italiano più intelligenti, completo e dotato di una grande cultura coniugata ad una simpatia tutta romana, città dove è nata alla vigilia del Ferragosto del 1928 e da cui ha assimilato quel gusto del bello che ogni angolo della Città Eterna racconta e quella tipica ironia bonaria ma anche caustica profusa poi nei suoi celebri film.

Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, questo il suo vero nome, figlia di un avvocato lucano di lontane e nobili origini svizzere proveniente da Palazzo San Gervasio in provincia di Potenza e della romana Maria Santamaria-Maurizio, era amica d'infanzia di Flora Carabella, futura moglie di Marcello Mastroianni, con cui ha instaurato una lunghissima amicizia, che si rivelerà poi fondamentale per avvicinarla al mondo dello spettacolo.

A diciassette anni si iscrive infatti all'Accademia Teatrale diretta da Pietro Sharoff, da cui apprende le basi del mestiere in seguito è animatrice e regista degli spettacoli dei burattini di Maria Signorelli, un nome di questo genere trdisionale di spettacolo.

E' la volta poi delle collaborazioni con alcuni fra i grandi del Teatro, tra i quali Guido Salvini, Giorgio De Lullo e la premiata ditta Garinei e Giovannini. L'approdo alla televisone è automatico: eccola in veste di autrice e regista alla prima edizione di Canzonissima quella con Walter Chiari, Tognazzi e Gianni Agus, e a Il giornalino di Gian Burrasca, la famosissima serie televisiva-musical, con una scatenata Rita Pavone protagonista maschile che ha fatto la storia della Tv con tanto di tormentone discografico "W la pappa col pomodoro".


 Il Giornalino di Gian Burrasca successo Tv

Incomincia in questo periodo una lungo sodalizio artistico con Enrico Job, apprezzato scenografo teatrale, con il quale si è sposata portando avanti così un sodalizio umano e artistico unico nel suo genere e in questo ambiente.

Gli esordi al Cinema sono importanti, addiritura come aiuto regista e attrice di Federico Fellini nelle pellicole La dolce vita (1960) e (1962) e da quel momento non si ferma più. La prima regia arriva nel 1963 con I basilischi, amara e grottesca narrazione della vita di alcuni poveri amici del sud (il film fu girato in gran parte tra la Basilicata, a Palazzo San Gervasio, e la Puglia, a Minervino Murge), che le valse la Vela d'argento al Locarno Festival. Poi i fortunati film con la Pavone "Rita la zanzara" che ebbero un successo clamoroso (con Totò, Giannini, i Rokes) e addirittura sotto lo pseudonimo Nathan Witch, un western all'italiana, Il mio corpo per un poker con Elsa Martinelli.

Nella seconda metà degli anni settanta poi, nasce la sua collaborazione con l'attore Giancarlo Giannini, che è presente nei suoi grandi successi e che darà all'attore una enorme popoalrità: Mimì metallurgico ferito nell'onore (1972), Film d'amore e d'anarchia - Ovvero "Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza..." (1973), Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto (1974), Pasqualino Settebellezze (1976), La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (1978) e Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici (1978).

Giancarlo Giannini in Pasqualino Settebellezze

Per Pasqualino Settebellezze, che ebbe successo anche negli Stati Uniti, la Wertmüller come detto venne candidata a tre Premi Oscar nella cerimonia del 1977 (tra cui quello per la miglior regia), riconoscimento che ora le è stato assegnato finalmente alla Carriera.

Una carriera prestigiosa che l'ha vista cimentarsi anche in regie teatrali e liriche di qualità e pellicole dal grande successo al botteghino come tra le altre, la Carmen di Georges Bizet, che inaugurò la stagione lirica 1986-87 del Teatro di San Carlo di Napoli, ripresa in diretta su Rai 1 o la Bohème che ha diretto all'Opera di Atene.

Si ricordano ancora fra i suoi successi premiati dal pubblico nelle sale, Io speriamo che me la cavo con Paolo Villaggio e Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica, con Tullio Solenghi e Veronica Pivetti nuovi Giannini-Melato impegnati in una satira politica aggiornata ai tempi attuali.

Adesso a coronamento di una vita nelllo spetttacolo e nel cinema, l'Academy of Motion Picture Arts & Sciences ha annunciato con un tweet che tra gli Oscar alla carriera assegnati quest'anno c'è anche la statuetta per lei. I quattro premiati - oltre alla Wertmuller ci sono David Lynch, Wes Studi e Geena Davis - saranno presentati il 27 ottobre agli 11/i Annual Governors Awards dell'Academy.

E così quella frase un po' desiderio della figlia Maria "Un Oscar alla carriera non ci starebbe male", espresso a Cannes solo pochi giorni fa, è stato incredibilmente ascoltato. Forse glielo aveva promesso Leonardo DiCaprio presente alla kermesse per il suo film Once Upon a Time in Hollywood, che ha voluto stringerle le mano e farsi fotografare con lei (in una immagine divenuta già 'storica' scattata da Pietro Coccia, il fotografo scomparso ieri e che il mondo del cinema italiano sta piangendo), a testimonianza della grande rilevanza che la regista romana ha presso i suoi connazionali e nel Cinema internazionale.

Giancarlo Giannini, la Wertmuller e Leonardo DiCaprio a Cannes


«Sono molto felice e grata per la decisione di assegnarmi questo premio — ha commentato la regista —. Non me l’aspettavo affatto, sono sorpresa. Per questo è tanto più gradito, mi fa tanto più piacere. Certo gli americani, grazie a Dio, mi hanno sempre voluto bene».

Verissimo. Adottarono Pasqualino «Seven Beauties». «Merito di un critico cattivissimo, John Simon del New York Magazine, che già aveva apprezzato Storia d’amore e d’anarchia — ha raccontato Lina in una recente intervista —. Venne a Roma per incontrami e scrisse un articolo molto bello. Poi alla prima di New York mi chiesero di fare un discorso ma parlavo male l’inglese. Avevo una bella cintura fatta con un calamaio, chiesi come si dicesse cintura. “Do you like my belt?” esordii. Venne giù la sala».

Quell’anno fu John G. Avildsen, con Rocky a strappare (a lei, Ingmar Bergman, Sydney Lumet e Alan Pakula) la statuetta, mentre il suo attore prediletto Giancarlo Giannini si trovò candidato insieme al Robert De Niro di Taxi driver.

«L’Oscar a Lina? Strameritato», ha commentato Giannini. Un lungo sodalizio il loro (nove film insieme, tre con Mariangela Melato), una lunga e profonda amicizia. «È stata la regista che mi ha costruito, non avrei fatto la carriera che ho fatto senza di lei, la adoro, è la verità, la apprezzo per il suo talento, il suo carattere e la sua professionalità. È stata aiuto di Fellini, parla con gli attori come nessuno, è un’artista completa. A Cannes nei giorni scorsi era felice e io per lei. Oggi ancora di più».

E già ce l'immaginiamo su palco del Dolby Theatre di Hollywood, frangetta bianca come i suoi mitici occhialoni, il sorriso e lo sguardo curioso di chi ha visto il mondo e l'ha narrato in tutti i suoi risvolti, stringere fra le mani la statuetta dorata che ogni artista sogna. E ci sarà per lei una standing ovation, quella che è iniziata già ora in tutto il mondo.

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