lunedì 25 febbraio 2019

La voce del silenzio, capolavoro del pop

di FRANCESCO TRONCARELLI



L'applaudistissima esecuzione da parte di Orietta Berti e Barbara Cola nell'ultima puntata di "Ora o mai più" de La voce del silenzio", ha riprosto all'attenzione generale questa canzone entrata nella storia del nostro pop.

La standing ovation che ha sottolineato l'interpretazione delle due artiste esibitesi dal vivo con l'orchestra diretta dal maestro De Amicis, ha scatenato sui social entusiasmi a non finire, con commenti e ricordi del popolo del web che hanno confermato come questo brano scritto da Paolo Limiti, faccia ormai parte dell'ideale playlist di chi ama la musica.

Amico personale di star internazionali e dive nostrane, Limiti conosceva tutto del mondo dello spettacolo e ne ra un puntuale e appassionato divulgatore. Cultore della memoria musicale del Belpaese, aveva anticipato coi suoi programmi il boom del vintage, dell’amarcord nostalgico che lui sapeva riproporre con intelligenza e dovizia di particolari, facendo rivivere con classe e garbo al pubblico che lo adorava, antiche suggestioni ed emozioni perdute.

Ma non era solo “un signore di una volta” come qualcuno lo ha definito per l’educazione innata e il suo sguardo rivolto al passato, ma anche e soprattutto un personaggio al passo con i tempi, come dimostra la sua attività di paroliere e autore per tanti big della musica italiana. Gli oltre sessanta brani che ha composto nel corso della sua attività ne sono la testimonianza. Pezzi mai banali ma sempre coinvolgenti e suggestivi, che hanno accompagnato la carriera di nomi importanti.

Basti citare  “Amare di meno” per Peppino di Capri, “Una musica” per i Ricchi e Poveri, “Anna da dimenticare” per i Nuovi Angeli, “Voglio ridere” per i Nomadi, “Non sai fare l’amore” per la Vanoni, “Buonasera dottore” per Claudia Mori per citarne alcuni dei più noti e poi tutti quelli per Mina, con cui ha avuto una lunga e proficua collaborazione.


Per la Tigre di Cremona infatti Liniti ha scritto dei pezzi come “Sacumdì sacumdà”, Bugiardo e incosciente”, “Una mezza dozzina di rose”, “Credi” e “Viva lei” che hanno puntualmente scalato le classifiche di vendita ed altrettanti che sono stati inseriti negli album della grande artista.

Ma fra le tante canzoni che ha scritto il conduttore milanese, è proprio "La voce del silenzio" riascoltata l'altra sera nel programma di Amadeus, quella più apprezzata e riproposta, inequivocabile segno della sua importanza e validità artistica perchè è considerata unanimemente un capolavoro assoluto della musica, un pezzo che ha superato la generazione di riferimento diventando un evergreen e al tempo stesso uno standard per tanti artisti.

E' un brano dal sapore autobiografico per l’autore e al quale collaborò l’onnipresente Mogol, che venne presentato a Sanremo nell’edizione del 1968. Su quel Festival gravava l'ombra di quanto accaduto l'anno prima, ovvero il suicidio di Luigi Tenco.

Che il gesto avesse in qualche modo scosso l'ambiente musicale, provocando qualche cambiamento nei gusti delle giurie, fu evidenziato dalla vittoria finale di un cantautore raffinato e molto bravo come Sergio Endrigo, che si aggiudicò il primo posto con 'Canzone per te', proposta col brasiliano Roberto Carlos.


Sul palco in quella edizione salirono molti big stranieri, come Louis Armstrong, Lionel Hampton (che eseguì tutti i brani in gara), Wilson Pickett, Shirley Bassey, Eartha Kitt e Dionne Warwick. La partecipazione di quest'ultima fu incredibimente piuttosto trascurata dalla stampa, nonostante già da tempo fosse la musa ispiratrice di Burt Bacharach, del quale aveva inciso 'Anyone who had a heart', 'Walk on by' e 'I say a little prayer' tre successi mondiali.

Ad invitarla fu il Maestro Elio Isola, autore della musica de “La voce del silenzio”. Le inviò il provino che ottenne l'approvazione di Bacharach, e così l'artista americana si precipitò in Italia per imparare a cantare nella nostra lingua ed essere pronta per il festival. Tra l'altro qualcuno notò che l'inizio della melodia del brano, corrispondeva in maniera sorprendente al tema principale del Preludio in do minore del secondo volume del Clavicembalo Ben Temperato di Johann Sebastian Bach, ma nessuno ne fece una questione.



Per eseguire in gara 'La voce del silenzio' la Warwick fu abbinata a Tony Del Monaco, artista che aveva già partecipato al Festival l'anno prima con 'E' più forte di me'. Laureando in legge ma cantante a tempo pieno, Del Monaco non era ancora riuscito ad ottenere un grande successo. "Era un ragazzo di Sulmona, di grande simpatia al di là della sua bellissima voce- raccontò successivamente Limiti-. E' una delle persone che mi sono davvero rimaste dentro, era gentile e solare, la sua esecuzione fu formidabile, veramente sentita".

E ancora, al riguardo del suo pezzo "Per scrivere una canzone si attinge sempre a se stessi. Dietro ciascun brano c'è un nome, un cognome, una data. Per 'La voce del silenzio' c'era la solitudine di mia madre dopo la scomparsa di mio padre. Quello fu il mio primo e unico Sanremo - feci il viaggio in treno con un agitatissimo Pippo Baudo, al suo debutto al Festival. Lui poi ci sarebbe tornato molte volte, io invece non sono più tornato perché penso che certe cose si debbano provare una volta sola".

Il testo parla di una persona che vuole stare da sola a pensare, ma nel silenzio troppe cose e troppi ricordi ritornano nella mente e nel pensare si accorge che la persona che ha sempre amato non ha mai perso il posto nel suo cuore. dando vita così ad un crescendo di emozioni e suggestioni che vengono esaltate dalla musica.


La canzone entrò in finale, ma ottenne soltanto 28 punti, classificandosi all'ultimo posto a conferma che spesso a Sanremo le cose buone non trovano strada facile. La Warwick subito dopo Sanremo tornò negli USA per incidere "Do you know the way to San Jose", anch'essa destinata alla top ten americana proponebdo peraltro anche una cover del pezzo sanremese intitolata "Silent voice" che ebbe un buon riscontro. Del Monaco tentò ancora per qualche anno di cogliere un successo, ad esempio ripresentandosi alla kermesse nel 1969 con 'Un'ora fa' insieme a Fausto Leali, ma non fu fortunato.

A dare notorietà al brano fu Mina che qualche mese dopo Sanremo incise un disco dal vivo alla Bussola di Viareggio, interpretando sia 'La voce del silenzio' che 'Deborah' (di Wilson Picket e Fausto Leali). Da quel momento la canzone cominciò un altro percorso, diventando uno dei brani più amati e apprezzati della storia festivaliera.

Si pensi peraltro che grazie al rilancio effettuato da Mina, la popolarità della canzone crebbe a tal punto che gli organizzatori del Festival di Castrocaro dell’anno successivo, la gara fra esordienti da cui venivano le nuove proposte dell'epoca come ora avviene con Sanremo Giovani, furono costretti a sospendere le prove perché 21 partecipanti su 23 volevano cantarla.

Tra i tanti esecutori di questo pezzo, Mia Martini, Loretta Goggi, Alex Baroni, Iva Zanicchi, Francesco Renga, Renato Zero, Andrea Bocelli, Elisa, Dolcenera e recentemente il Volo. C'è poi la versione di Massimo Ranieri che si staglia su tutte le altre per l'appassionata partecipazione emotiva dell'ex scugnizzo che guadagnava la giornata cantando nei ristoranti di Napoli.

E' un'interpretazione da artista di razza in cui il cantante con il suo carisma e la sua voce formidabile vive in prima persona la storia che canta, la sua è una performance alla Aznavour in cui riesce ad emozionare chi lo ascolta e a scuoterlo. Non a caso insieme al cavallo di battaglia "Perdere l'amore" è il brano più richiesto del suo repertorio. E lui non si fa pregare per interpretarlo, sentendolo veramente suo.


domenica 17 febbraio 2019

Genova per noi...Le Pagelliadi

di FRANCESCO TRONCARELLI


7 a Rodolfo Bada - La differenza e il risulato tra Lazio e Genoa è nei legni delle porte. Noi abbiamo preso una traversa clamorosa, loro un palo, all'ultimo minuto, che però l'ha mandata dentro. Tutto il resto è infortuni, riserve che hanno dato il massimo ma sempre riserve sono e sfiga cosmica in agguato. Una chiave di lettura semplice e forse semplicistica quindi per questa sconfitta immeritata per come stavano andando e sono andate poi le cose in campo, ma tant è. Tra i migliori di una formazione che in cerotti poteva fargli li bozzi ma alla fine l'ha prese, il neo regista che il suo tra gol e traversone, l'ha fatto. La parola d'ordine ora è serrare i ranghi.

6 e mezzo a Sylva Strakoshina - Ma che je voi dì? Il primo tempo l'ha retto da solo con due tre interventi da numero uno. Poi per i gol loro nella ripresa, non ha colpe. Altro che chiacchiere.

6 e mezzo a dal 753 a. C. il calcio nell'Urbe si chiama Romulo - Finchè c'è stato in campo lui, la squadra ha lottato, ha giocato, ha difeso, ha illuso. Il cambio, inspiegabile, ha favorito il botto. Come con Bisio a Sanremo al posto di Favino.

6 a Innamoradu - Un altro infortunato, uscito a pezzi dal campo. Dall'oroscopo di Branko la Luna consiglia: rivolgersi all'esorcista, che l'Esorciccio non compra nessuno.

6 ad Antonio Elia Acerbis - L'ultimo ad arrendersi. Come il selvaggio Corona dalla Berlinguer, rimasto a combattere da solo contro il logorio della vita moderna.

6 al Ciro d'Italia - Ha giocato con una gamba sola. Ma centomila volte meglio lui di tante pippe al sugo presenti purtroppo per noi.

6 a Bruno Jordao de Trasteverao -  Per farlo giocare a Marassi vuol dire che siamo arrivati proprio all'ultima spiaggia. Oltre Castelporziano dove si ritrovano i nudisti. Come noi, che semo rimasti dopo sta botta con na mano davanti e una de dietro.

6- a Massimo Di Cataldo - Per uno che era una promessa e non gioca mai, troppo ha fatto. Un po' come Michele Pecora a Ora o mai più di Amadues.

5 e mezzo a veni, vidi, Lulic al 71° - Tanto rumore per nulla. Come Achille Lauro a Sanremo.

5 a Lucas 2 - Nel rimpallo che ha favorito Criscito alll'ultimo assalto, ha ricordato il suo predecessore Biglia. E ho detto tutto.

5 a Patric del Grande Fratello - Come direbbe Cristian De Sica, lasciam perdere.

5-  a Correa l'anno 1900 - All'inizio s'è involato, poi col passare del empo si è involuto. E' finito involtino.

5 - al Pantera - Inutile. Anzi utile ai rossoblu per sculare all'ultimo il gol vittoria che liscio). Era meglio che non ci fosse stato. Come Nino D'Angelo al festival.

4 e mezzo a Somarussic - Il sonnambulo dal volto umano ha colpito ancora. Lui e il pallone sono due cose agli antipodi, come Pisu con la comcità e Renzi e la sinistra. Se fosse una canzone sarebbe Le foglie morte, se fosse un libro sarebbe Quel pasticciaccio brutto de via Merulana, se fose una strada sarebbe la Tangeniale est che è tutta na buca. Nè carne nè pesce semplicemente nè. A lui manco er televoto lo salva. Amen.

Appunti di gioco
di Roberto Taglieri

Domenica, 17 febbraio 2019
Una Lazio incerottata e molto sfortunata soccombe a Genova. Nel 24simo turno di Campionato al “Ferraris” Badelj nel primo tempo illude i suoi, il pareggio è siglato nella ripresa da Sanabria con un rimpallo fortunoso e praticamente a tempo scaduto Criscito pesca il jolly e segna la rete della vittoria rossoblu: 2-1 il risultato finale. Prandelli oggi ritrova Romero dopo la squalifica, il mister rossoblu opta per un 433 con Rolon dentro e Bessa che resta in panchina. La Lazio è reduce da due vittorie in Campionato, ma ha la squadra ai minimi termini: ben 10 infortunati per Inzaghi, che deve fronteggiare una situazione complicatissima, anche dal punto di vista psicologico dopo la sconfitta di giovedi col Siviglia. In difesa c’è Patric, a centrocampo Badelj e Cataldi con Romulo a supporto, davanti per fortuna recupera Immobile, che fa coppia con Correa. Grande equilibrio tra le  formazioni all’inizio della partita; il primo tiro in porta al 13’ è dell’ex Romulo, che per la verità non impegna più di tanto Radu. Non c’è grande velocità e movimento: solo buon giro palla da parte delle due squadre ma nessuna giocata in profondità. Rolon alla mezz’ora prova in scivolata un tiro difficile, su cui Strakosha riesce a mettere in corner. Poco dopo Romulo non trova l’impatto preciso di testa e spreca un’occasione molto favorevole per sbloccare la partita. Al 34’  Acerbi inciampa e mette in movimento Sanabria, che calcia in porta ma trova ancora i piedi di Strakosha. Al 43’ i biancocelesti passano: Badelj detta il passaggio su Immobile che rimette in mezzo ancora per il croato, che prima dribbla, poi col destro calcia e porta la Lazio in vantaggio proprio alla fine del primo tempo. Nella ripresa Prandelli toglie Lazovic per Bessa, provando a rendere i suoi più offensivi. E’ la Lazio però a tenere meglio il campo ed a sbagliare il raddoppio per un pelo con Correa, che trova una parata miracolosa di Radu. Inzaghi cerca di conservare integro Immobile e lo sostituisce al 54’ con Caicedo, il Genoa risponde togliendo Radovanovic per Pandev. L’ingresso in campo del macedone cambia un po’ gli equilibri; il Genoa si rende più intraprendente ma rischia grosso con Badelj, che con una gran coordinazione batte di collo pieno e colpisce la traversa. Esce Romulo, tra i migliori dei suoi per Lucas Leiva; poi esordisce Jordao per l’infortunio di Radu ma proprio adesso arriva il fortunoso pareggio rossoblu con Sanabria, al quale sbatte il pallone sulle gambe dopo il rinvio di Leiva e la sfera termina in porta, beffando Strakosha. La Lazio dopo l’1-1 non riesce più ad uscire dalla sua metà campo con lucidità, all’84’ il diagonale di Pandev, sporcato da Lulic finisce out, altrettanta sorte ha il tiro di Biraschi poco dopo. Nel recupero arriva addirittura la beffa per la Lazio: Criscito nel recupero trova il gol con un rasoterra quasi impossibile, che batte sul palo e s’infila in porta al 93’; così il Genoa si prende tre punti pesantissimi. Grande è invece la delusione del popolo biancazzurro perchè la Lazio dopo aver disputato una buona partita avrebbe meritato almeno un pareggio. I ricambi non all’altezza, la stanchezza ormai palpabile, il mister Inzaghi che anche oggi commette degli errori nei cambi e la frittata è servita. Il contraccolpo psicologico di questa sconfitta potrebbe essere tremendo: la Lazio ora dovrà preparare tre difficilissime sfide: subito l’Europa League, poi la Coppa Italia contro il Milan, infine il Derby: cercasi esorcista!


GENOA  LAZIO    2–1     43’ Badelj  74’ Sanabria  93’ Criscito
GENOA: Radu, Biraschi (87’ Pereira), Romero, Zukanovic, Criscito, Lazovic (46’ Bessa), Leranger, Radovanovic (55’ Pandev), Rolon, Kouame, Sanabria.  All: Prandelli
LAZIO: Strakosha, Patric, Acerbi, Radu (71’ Jordao), Marusic, Romulo (63’ Leiva), Badelj, Cataldi, Lulic, Correa, Immobile (54’ Caicedo). All: Inzaghi.
Arbitro Banti

venerdì 15 febbraio 2019

Un'avventura, ecco i brani del film

di FRANCESCO TRONCARELLI



E' uscito nelle sale il giorno di San Valentino, data scelta di proposito per ovvi motivi legati alla ricorrenza legata alla festa degli innamorati, “Un’avventura”, il film con Laura Chiatti e Michele Riondino ispirato come si intuisce dal titolo, alle musiche di Lucio Battisti ed ai testi di Mogol che hanno accompagnato generazioni su generazioni.

Una storia d’amore che si snoda sulle note di alcune delle più famose canzoni scritte dall’intramontabile paroliere e interpretate dal re del nostro pop e che a distanza di anni dal primo ascolto, emozionano ancora oggi. Dieci brani firmati dalla premiata ditta agli inizi del loro sodalizio e che contribuirono ad alimentare da subito il mito del caro amico Lucio.

Le canzoni che fanno da colonna sonora a questo musical per il cinema, riproposte dai due attori in una versione sicuramente convincente e al tempo stesso spettacolare per lo svolgimento della pellicola sono quelle che riportiamo di seguito. Un mix di classici intramontabili e chicche meno note, pescate in particolare dal primo album dell’artista intitolato semplicemente “Lucio Battisti” pubblicato nel 1969.

“Io vivrò (senza te)” è una canzone pubblicata da Battisti come lato B del singolo del 1968 “La mia canzone per Maria”, estratto dall’album di esordio omonimo dell’artista. Un brano con un percorso particolare, perché prima che Battisti se ne appropriasse a pieno era uscito in un 45 giri dei Rokes, il complesso guidato da Shell Shapiro, dove lo stesso Battisti suonava l’organo.


"Uno in più" - Anche questo pezzo trova posto nel primo disco di Battisti, che esce nei negozi il 5 marzo 1969, praticamente 50 anni fa. Un pezzo considerato minore all’interno della vastissima discografia del musicista di Poggio Bustone, ma che in realtà è un piccolo gioiello che fotografa un'epoca, quella del Beat. La incise e lanciò il grande Riki Maiocchi, già frontman dei Camaleonti, il "primo capellone d'Italia" come lo presentava la stampa specializzata in quei tempi.


"Acqua azzurra, acqua chiara" - Uno dei grandi classici, forse il più conociuto tra i tantissimi successi di Battisti. Fu il tormentone dell’estate di fuoco 1969 eppure non doveva nemmeno uscire come singolo principale, ma come lato B di “Dieci ragazze”. Fu Renzo Arbore, che avendo un trasmissione radiofonica ascoltava in nteprima le novità in uscita, a spingere per l’inversione tra le due. Scelta quanto mai azzeccata: il brano fece il botto, portando Battisti alla vittoria del Festivalbar di Vittorio Salvetti.


"Un'avventura" - Il tema portante del film, nonché una delle canzone senza tempo di Battisti. È la canzone con la quale partecipa per la prima e ultima volta a Sanremo, nel 1969 in coppia con Wilson Pickett. Capelli ricci foulard al collo, doppiopetto scuro e pantaloni a zampa d'elefante, l'immagine della sua partecipazione al festival è rimasta nella storia della tv. Il brano parla di un amore che supera gli ostacoli per incidersi nell’eternità, supportato da una musica in stile R&B che trascina chi ascolta e lo fa volare.


"Nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto" - Altro brano tratto dall’esordio di Battisti, inserito sul lato A del disco uscito a inizio 1969. La canzone era stata inizialmente incisa da I Ribelli, l'ex gruppo di Celentano ai tempi del Clan, con un Demetrio Stratos in forma di grazia dopo il boom di "Pugni chiusi" e gli arrangiamenti soul del bravo Natale Massara.


"Non è Francesca" - Battisti diede notorietà a questo brano che in realtà compose insieme a Mogol per i Balordi nel 1967. Lo ripescò due anni dopo per inserirlo come lato B del singolo “Un’avventura” e poi nel disco “Lucio Battisti”. E ovviamente con lui in voce il pezzo spiccò il volo. Altro successo immortale.


"Il vento" - Altro brano contenuto nell’album di esordio di Battisti, quello che chiude il disco. Battisti e Mogol lo scrissero per i Dik Dik, complesso da loro prodotto. Furono loro a portarlo al successo nel fatidico 1968. Poi i due autori decisero di inserirlo in “Lucio Battisti”, cercando di sfruttarne in parte la scia.


"Dieci ragazze" -Sarebbe dovuto essere il singolo dell’estate 1969 per Lucioi. Ma, come detto, alla fine venne preferita “Acqua azzurra, acqua chiara” e “Dieci ragazze” passò ad essere il lato B di quel 45 giri storico dal successo clamoroso. Col tempo diventerà così popolare che non si potrà più parlare "tecnicamente" di canzone principale e canzone meno importante. Diventerà anche questa un must del repertorio battistiano.


"Ladro" - Brano scritto da Battisti e Mogol per l’Equipe 84, che lo pubblica come lato B di “Nel cuore, nell’anima” nel settembre del 1967. Battisti lo reinterpreta nel 1969 facendolo confluire anch’esso in “Lucio Battisti”. E' considerato un pezzo minore, ma ha un suo fascino particolare che lo rende unico.

"Balla Linda" - Il primo grande successo di Battisti. Eppure venne pubblicato il 29 aprile 1968 solo come lato B di “Prigioniero del mondo” uno dei pochi pezzi non scritto dai due insieme ma da Mogol su musica di Carlo Donida. Il singolo fu il primo dell’artista ad arrivare alla Hit Parade codotta da Lelio Luttazzi, svelandone al mondo anche il talento come interprete, con quella voce così particolare ed affascinante che colpiva subito a chi ascoltava, oltre che come compositore.


mercoledì 13 febbraio 2019

Serena Rossi è proprio Mia

di FRANCESCO TRONCARELLI




Quando un film va dritto al cuore, ti regala emozioni e fa riflettere. Sulla fragilità, sull'amicizia, sui sentimenti, sulla cattiveria, su un modo che appare dorato ma che nella realtà spesso e volentieri è pronto a colpirti e a rivelare la sua vera essenza fatta di gelosie, invidie, interessi legati a quello che dovrebbe essere solo un lavoro intellettuale, artistico, basato sui rapporti umani e le sette note, ma che a volte non è.


Dopo l’uscita nei cinema, è arrivato anche in tv "Io sono Mia", il film biografico sull’indimenticabile Mia Martini, una delle voci simbolo della musica italiana, trovata morta il 14 maggio 1995 nella sua casa di Cardano al Campo, vicino a Varese. A prestarle il volto e la voce una bravissima Serena Rossi, artista a tutto tondo che ancora una volta ha confermato le sue qualità interpretative e soprattutto la sua capacità nel calarsi in un personaggio in maniera così convincente e credibile da sembrare veramente, al di là della finzione scenica, il personaggio stesso.

La pellicola di Riccardo Donna racconta la vita e la carriera di Mia fino al 1989, l’anno del suo ritorno a Sanremo con "Almeno tu nell’universo" dopo un prolungato periodo di assenza e depressione causati dall'assurda etichetta di iettatrice che le era stata appiccicata e che le aveva avvolta in un alone negativo pesantissimo.

Come in ogni biopic, viene da chiedersi cosa è vero e cosa è frutto della fantasia degli autori, ma tranne alcune comprensibili licenze, si può affermare che la soastanza della vicenda unama e artistica della Martini, sia proprio quella rappresentata nel film. La storia comincia appunto a Sanremo nell’89 e, per ripercorrere gli eventi chiave della vita di Domenica Rita Adriana Bertè, per gli amici Mimì.  Per introdurla viene usato l’espediente dell’intervista. Quella che la cantante lascia a Sandra (Lucia Mascino), giornalista del settimanale Epoca.

Il personaggio di Sandra è immaginario, ma è vero che, il 5 marzo 1989, proprio su quella rivista, uscì un articolo dove la Martini parlava apertamente della fama di portasfortuna con cui doveva convivere: «Tutto è cominciato nel 1970. Allora cominciavo ad avere i miei primi successi. Fausto Paddeu, un impresario soprannominato “Ciccio Piper” perché frequentava il famoso locale romano, mi propose una esclusiva a vita. Era un tipo assolutamente inaffidabile e rifiutai», racconta la cantante.

«Dopo qualche giorno, di ritorno da un concerto in Sicilia, il pulmino su cui viaggiavo con il mio gruppo fu coinvolto in un incidente. Due ragazzi persero la vita. “Ciccio Piper” ne approfittò subito per appiccicarmi l’etichetta di porta jella».

L’episodio viene documentato anche nel film, dove però l’impresario ha un soprannome diverso, «Notte Management». Dopo i primi ricordi di quando, ancora bambina, cantava nella cameretta della sua casa di Bagnara Calabra, il flashback fa un salto fino al 1970: sono gli anni romani, quando Mia diventa inseparabile con Renato Zero e assieme scroccano i passaggi conquistati dalla sorella Loredana in minigonna.

Purtroppo, il cantante ha chiesto di non essere coinvolto nel biopic, così al suo posto gli autori hanno immaginato Anthony, incontrato una sera fuori da un locale, il Piper. L’altra figura assente è quella di Ivano Fossati, il grande amore di Mimì, che ha preferito non essere nominato: alla tormentata storia con il cantautore genovese si ispira quella di fantasia fra Mia e il fotografo Andrea (Maurizio Lastrico).

È invece esistito il produttore discografico Alberigo Crocetta (Antonio Gerardi), che scoprì Domenica Bertè, le fece cambiare nome, Mia perché la sua attrice preferita era Mia Farrow, suggerendole al contempo il cognome, Martini, "perchè nel mondo insieme a spaghetti e pizza è uno dei nomi italiani più conosciuti", e la lanciò con un pezzo dissacrante, "Padre davvero", che parlava di una relazione complicata fra padre e figlia molto simile a quella che Mimì aveva vissuto e viveva con suo papà Giuseppe irreprensibile e austero professore di Latino e Greco.

Ma perchè il pubblico si accorgesse di lei ci vollero artisti del calibro di Bruno Lauzi e Franco Califano (interpretato da un improbabile Edoardo Pesce che non è riuscito assolutamente a centrare un personaggio come il cantautore romano) che cucirono su di lei due brani diventati dei successi enormi che sono entrati nella storia del nostro pop. "Piccolo uomo", scritto da Lauzi (che poi diventò un suo amico) su musica di Dario Baldan Bembo e "Minuetto", scritta dal Califfo, due pezzi stratosferici che trasformarono l’artista calabrese in una stella, le fruttarono la vittoria al Festivalbar e la corona di cantante dell’anno secondo la critica europea.


Finché quella voce sul suo portare sfortuna divenne insopportabile e la costrinse a ritirarsi dalle scene. Tutto vero, anche se a molti potrà sembrare incredibile, ma la triste realtà dei fatti era proprioquella, voci che alimentavano quel clima di odiosa "persecuzione" morale ed umana che andava a minare la sua persona, la sua vita.

E Serena Rossi è riuscita perfettamente a dare sentimenti a questa vicenda umana terribile, assorbendo la sua storia, le sue sofferenze e la sua malinconia. Si è approcciata con rispetto e pudore alla Martini facendo suo, il suo modo di camminare o di muovere la bocca. Ma non l'ha imitata, l'ha evocata, calandosi per mesi in quel ruolo nella quotidianeità prima delle riprese.

E' stato un atto d’amore per Mia Martini, un omaggio, un modo per restituirle la dignità che le hanno tolto. Che è riuscito e che è stato apprezzato e gradito dal pubblico che con 7 milioni e settecentomila spetattori, ha segnato il 31% di share, un boom insomma. E un applauso speciale, quello di Loredana Bertè, che tanto sta facendo per tenere viva la memoria della sorella.

La scena con cui si conclude il film, con Mia-Serena che con i pugni al cielo canta tutta la sua rabbia sul palco dell'Ariston "Almeno tu nell'universo", il brano tenuto a lungo nel cassetto da Lauzi per farla tornare protagonista, è stata l'emozione finale di una pellicola che non sarà certamente un capolavoro, ma sicuramente un doveroso e ben realizzato omaggio ad una grande artista, che ha smosso le coscienze e invitato alla riflessione chi lo ha visto. E fosse solo questo sarebbe già un risultato enorme.


lunedì 11 febbraio 2019

Sanremo, promossi e bocciati

di FRANCESCO TRONCARELLI


E così è finalmente finita, con la vittoria a sorpresa di Mahmood si è chiusa la lunga maratona del festival di Sanremo, edizione numero 2, gestita, condotta, duettata, amministrata da sua maestà Claudio Baglioni, vero e proprio "dittatore artistico" della sua kermesse, dove, come da copione scritto e accettato da Mamma Rai, ha fatto quello che ha voluto.
E i risultati si sono visti e sono così facilmente sintetizzabili: qualche buona canzone, tante da dimenticare, calo degli ascolti, successo sui social dove però le critiche e i lazzi hanno preso il sopravvento sui giudizi postivi e gli entusiasmi dei vari fan, eccesso di protagonismo del conducator che ha duettato con tutti sino allo sfinimento di chi ascoltava.
C'è chi è andato bene e ha fatto la sua figura e chi è andato male come in tutti i festival che hanno preceduto questo, facendo la sua sfigura, vediamo allora i promossi e i bocciati.

 
QUESTO Sì
Ultimo - Del festival è il vincitore morale, come la squadra che tifa. L'enorme consenso dei voti che ha ricevuto con una marea di sms però, non ha sortito l'effetto voluto dalla gente comune ma non dall'elite, depositaria della sapienza musicale per diritto divino. Il brano che per le storture del regolamento è arrivato secondo, funziona, pop di qualità con sonorità moderne. Sarà un successo comunque. Alla faccia delle giurie.


Cristicchi - Ha portato la posesia nella musica, la recitazione e l'interpetazione dei sentimenti messi sulle sette note. Un cantattore che ha regalato emozioni e incantato con la sua pacata sinecerità intellettuale, le vaste platee televisive. Chi ama la tanto decantata (da Baglioni) armonia, non può non averlo applaudito.

Mammood - Ha vinto e chi vince ha sempre ragione. Poi che abbia vinto con appena il 14 per cento del televoto è un altro discorso. Il can can mediatico che ha amplificato il suo primo posto e relative congetture politiche che l'hanno accompagnato, non hanno fatto altro che aumentare a dismisura la diffusione del pezzo, una cantilena facilmente riproponibile da chiunque, che si tradurrà in quello che lui e i produttori auspicano: "Soldi".


Loredana Bertè - Ha portato una carica rock sul palco dell'Ariston che era da tempo che non si vedeva. Carismatica e arrabbiata al punto giusto, ha dimostrato di essere un'artista di razza che se avesse vinto il festival non avrebbe fatto torto a nessuno. Anzi. Ma tutti avete visto come è andata, neanche in nomination per il premio intitolato alla sorella. I fischi della platea dell'Ariston per la sua esclusione dal podio, la testimonianza di un apprezzamento trasversale e compatto.



Patty Pravo e Briga - Una coppia stramba, maleassortita, lei ex Bambola avvizzita e supertirata lui gigante buono e di bell'aspetto, così diversi così improbabili insieme, ma proprio per questo hanno funzionato. Il fascino della diva con la sfrontatezza della gioventù, due cuori e una capanna di voci ben assemblate  per un brano che di certo non passerà alla storia del pop ma che sicuramente è piacevole e resta impresso dal secondo ascolto in poi.

Negrita-Ruggeri-Roy Paci - Insieme nella serata dei Duetti, hanno dato vita alla migliore jam session di tutta la manifestazione canora. Tre realtà musicali diverse, amalgamate perfettamente in un mini recital che conferma che chi la musica la fa veramente e ha una gavetta e una carriera alle spalle, è sempre una garanzia.

Andrea Bocelli - Un'eccellenza italiana nel mondo. L'ospite più importante di tutti, quello che ha esaltato il bel canto all'italiana ovunque, facendo amare con la musica il nostro Paese. Umile nella sua grandezza, signore nella sua disponibilità. Con lui il figlio Matteo, della serie "piccoli fenomeni cresono". Bravi.


Virginia Raffaele -  Quando ha fatto Virginia Raffaele e non la valletta del divo Claudio o la spalla di Bisio che faceva a sua volta la spalla a lei in una serie di siparietti penosi e patetici. Il suo riscatto come purosangue dello spettacolo lo ha avuto appunto quando nelle ultime serate ha infilato un'imitazione dopo l'altra. Applausi, applausi, applausi.

Silvestri - E' l'unico che ha messo d'accordo tutti: pubblico, platea e stampa che gli ha dato il premio della critica.

Pio e Amedeo - Politicamente scorretti, finti zoticoni alla Vito Catozzo ma paraguru veri con le loro battuttacce da avanspettcolo di una volta, hanno scombussolato il clima ingessato che regnava sul palco e dato una lezione di comicità trash alla Bombolo che ha entusiasmato tutti. Ci volevano loro insomma con la loro pesantezza sgangherata la barba lunga e la panza in fuorigioco a far ridere.

Arisa - Turci - Nek - Nigiotti - Motta - Irama - Boomdabash - Bravi e con belle canzoni. Un passaggio al festival meritato per tutto ciò che produce in termini di visibilità e popolarità.


QUESTO NO
La giuria d'onore - Tranne Mauro Pagani, ex Premiata Forneria Marconi, che era l'unico a poter giudicare senza dover dare spiegazioni a nessuno, che competenza specifica potevano e possono avere Serena Dandini, il giornalista Beppe Severgnini, il regista Ferzan Ozpetek, Camila Raznovic che presenta Kilimangiaro, le attrici Claudia Pandolfi ed Elena Sofia Ricci e il cuoco Joe Bastianich per dire sì questa canzone va bene, quella va premiata e quell'altra non vale niente? Mistero. Anzi nessuna. O meglio, le stesse che avrebbero potuto avere il portiere del vostro palazzo, il pizzicagnolo sotto casa, il parcheggiatore abusivo su Lungotevere, il vigile che sta a piazza Venezia. Tutti comuni mortali che cantano sotto la doccia, sentono le canzoni in radio e vanno a ballare il liscio e perciò qualcosa ne capiscono anche loro. Al premio letterario Stega o a Cannes Venezia e Berlino per il cinema, i giurati sono addetti ai lavori a Sanremo no: perchè? Ecco così che lorsignori giurati d'onore (ma a proposito, onore di che? in che senso?), si sono pronunciati in una maniera molto discutibile, ribaltando il volere del popolo televotante e alterando di fatto la classifica reale in una virtuale che ha determinato un altro podio. Una cosa che nessuno ha gradito. Ricordate quando hanno premiato la coppia Motta e Nada scatenando i fischi dalla platea (e l'imbarazzo di Baglioni e company sul palco abituati ai consensi bulgari degli amici e della claque) e le proteste sui social?. E la clamorosa bagarre con urla dalla platea e dalla galleria per l'esclusione della Bertè? Meditate gente meditate di queste giurie che non rappresentano nessuno tranne loro stessi ne abbiamo piene le tasche.


I siparietti - Da archiviare. Scenette datate anni 50 che riesumavano i Cetra o addirittura Macario e la Wandissima (ma quanta differenza con le vecchie glorie del Varietà con questi improvvisati attori) e skecth più attuali ma tutti copiati come poi ha documentato un servizio del Il Fatto Quotidiano, che hanno prodotto un clamoroso e pesantissimo deja vu che ha contribuito ad affossare il tutto oltre ad allungare il brodo a dismisura e senza senso.

Il premio alla carriera diventato alla memoria - Una cosa incredibile. Mai successa in precedenza.  Pur di non pemiare un artista in attività come si è sempre fatto, leggi Peppino di Capri, e per il quale il comune di Sanremo si era espresso positivamente dopo una mobiltazione imponente sul web di semplici sostenitori e personaggi dello spettacolo, si è andato a pescare un artista che purtroppo non c'è più da quattro anni, leggi Pino Daniele. E allora molti si sono chiesti, e perchè lui che al festival non ha mai patecipato e non Battisti, Dalla, Rino Gaetano o Modugno che al festival ci sono stati con i loro brani? Mistero. O forse no, perchè poi si scopre che anche il caro estinto era fra gli artisti della agenzia che ha portato molti suoi amministrati sul palco dell'Ariston. Sia questa la spiegazione o meno, oramai è andata e pazienza. Resta la scelta insolita e fuori dal mondo. E il fatto che la premazione sia andata in onda quasi di nascosto (vergogna delle proprie azioni?), verso la mezzanotte e mezza quando i più avevano spento la tv e cosa gravissima per la palese mancanza di rispetto nei confronti del premiato (defunto), senza neanche mandare un brano in sottofondo. Un'altra cosa incredibile.


Bisio - C'era una volta il comico di Zelig, il Mentana della comicità irresistibile, tutta tic e parole a raffica che ad ogni performance riscuoteva applausi e risate in sottofondo. Sanremo l'ha paralizzato in un travet della presenazione e di scenette improbabili. Il guizzo del monologo sui rapporti tra padri e figli che con le canzonette c'entra peraltro come i cavoli a merenda, non l'ha salvato da un naufragio annunciato. Che peccato.

La censura a Serena Rossi - Ospitata per pubblicizzare il film per la tv che ha interpretato su Mia Martini e che vedremo domani sera, non ha potuto dire quello che avrebbe voluto, oltre i convenevoli di rito e il classico scambio di battute e ricordi sulla compianta cantane. C'era infatti un bel monologo che raccontava l'indimenticata Mia con le sue fragilità e le maldicenze subite che non si è potuto sentire. E' rimasto sulla carta. Una manciata di secondi che avrebbero fatto riflettere che non si è trovata per motivi di tempo. Quello che invece per Rovazzi e Baudo si è trovato a iosa.


Il Volo - Esageratamente enfatici con un brano eccessivamente retorico che manco il Reuccio dei tempi d'oro, che qualcosa ci capiva nel genere, avrebbe cantato, hanno confermato di essere quello che gli americani (loro estimatori) vogliano dall'Italia insieme alla pizza e agli spaghetti. O sole mio, that's ammore, simmo tutti paisà.

Achille Lauro - Si proclama il nuovo Vasco, ma troppe pagnotte deve mangiare per provare lontanamente ad avvicinarcisi. Più che una Rolls Royce intanto si dovrà accontentare di un pedalò.

Il conflitto d'interessi - L'ha sollevato e denunciato Striscia la notizia e il giornalista senza macchia e senza paura Michele Monina. E in pratica significa che ben undici artisti in gara (Turci, D'Angelo, Renga, il Volo, Lauro, Federica Carta, ecc.) e dieci ospiti (Ligabue, Venditti, Raf e Tozzi ecc.) fanno tutti parte della agenzia in cui c'è anche Baglioni, la Friends and Partners di Salzano. Tutto normale? O la concentrazione di amici è un tantino esagerata a discapito di altri artisti che avrebbero voluto gareggiare. Tipo Dear Jack e Pierdavide Carone con "Caramelle"? Voi che dite?

Tony Hadley - Un'esibizione che ha affossato la brava Arisa. Quando ha cantato infatti in italiano sembrava Ollio doppiato da Alberto Sordi. Chiamavano Mal e facevano prima.


Alessandra Amoroso - Super ospite. Nè più nemmeno di un certo Eros Ramazzotti, di un certo Cocciante, di un certo Ligabue. No, non è una barzelletta. Sic.

Ex Otago - Zen Circus - Tatangelo - Einar - D'Angelo - Ghemon -Irama - Renga - Sinceramente, ricordate il loro passaggio, come erano vestiti, cosa hanno cantato, cosa hanno detto? Silenzio. Ecco appunto.

Baglioni Ter - Ma anche no. Abbiamo già dato. Come direbbe Cristian De Sica "lasciam perdere". Punto

venerdì 8 febbraio 2019

E' il Sanremo che non ricorda. E "tace" su Mia Martini

di FRANCESCO TRONCARELLI



E' il Sanremo che perde ascolti serata dopo serata, il secondo dell'era Baglioni, mica bruscolini ma milioni di spettatori. Un calo di share preoccupante che la dice lunga di come stanno andando effettivamente le cose al di là degli ovvi trionfalismi di facciata.

Una discesa evidente nei gusti del pubblico ma non solo, c'è la storia del cosidetto conflitto d'interessi sollevata da Striscia la notizia e da alcuni giornalisti impavidi, sempre più imbarazzante (la Amoroso superospite!!! naturalmente anche lei della compagnia di giro del Divo Claudio), ma poi ce ne è un'altra ancora più significativa, quella del "non ricordo", non so, non c'è tempo, anzi c'è ma solo per chi dico io.

Il Sanremo numero due di Baglioni infatti non ricorda nel lungo e inutile siparetto tra un Bisio sempre più fuori luogo e una Raffaele poco considerata, che il testo della canzone da loro massacrata "Ci vuole un fiore" è del grande Gianni Rodari, omissione grave se poi sono più di dieci gli autori di questa kermesse.

Senza considerare poi le reazioni a tale "comicità" gratuita della figlia di Endrigo, Claudia, che da anni si batte perchè il padre, grande artista tra l'altro vincitore di Sanremo, non venga dimenticato e ricordato come convenie e si deve. Beh, proprio un bel ricordo gli hanno regalato...

Il Sanremo numero due dell'onipressente Baglioni che duetta con tutti, non ricorda che Bruno Lauzi non solo è stato l'autore di "Almeno tu nell'universo", ma anche uno dei pochi amici nel vero senso della parola della bistratta e messa all'indice Mia Martini su cui è incentrato un momento della lunga e interminabile serata.

Ed è qui poi che succede qualcosa di strano. Secondo alcune voci che giungono dal dietro le quinte del festival, si è verificata una sorta di "censura" su quello che Serena Rossi avrebbe dovuto dire al riguardo della cantante da lei interpreta nel film in programmazione martedi prossimo su Rai 1 "Io sono mia".

Serena Rossi ieri sera infatti non ha potuto recitare per intero il monologo sulla Martini che aveva proposto al Festival. Secondo le ricostruzioni del Messaggero, la Rossi avrebbe voluto interpretarlo prima di cantare - assieme a Baglioni, ovvio, come ti sbagli - "Almeno tu nell'universo", brano della rinascita artistica di Mimì e che portò in gara a Sanremo nel 1989.




Un monologo vero, preciso, diretto. Molto più articolato del brevissimo saluto fatto a fine esibizione, che parla anche del festival, e che avrebbe dovuto dire questo:
«Stasera vorrei dirti cosa è successo quando la mia vita, un anno fa, si è incrociata con la tua e mi hanno detto che sarei stata io ad interpretare te, nella storia che avremmo raccontato.
Vorrei dirti della paura, del senso di inadeguatezza che ho provato subito, ma anche dell’emozione che mi stringeva la gola ogni volta che un pezzo della tua vita si svelava, e una piccola parte di te, magicamente, entrava a far parte di me.

Occhi neri, scialli viola, una bombetta in testa…bionda platino truccata che sembravi arrivata da un altro pianeta, nera corvino, capelli lunghi sulle spalle morbidi e poi anelli, collane, occhiali e capelli corti ricci, giacche eleganti e quella risata che non mi lascia più.

Eppure eri sempre tu. Piccola, ma con quella voce che faceva tremare i polsi, che sembrava graffiare le pareti e che già da bambina mi dava i brividi quando l’ ascoltavo nello stereo di mia madre, senza nemmeno sapere chi eri.

Vorrei raccontarti della mia casa che improvvisamente è stata invasa dalla tua musica, delle sigarette che fumavi una dietro l’altra e che ho finito per fumare anche io, della tua forza, della tua fragilità che sono diventate un po’ anche le mie, della tua sofferenza quando per colpa di un nemico invisibile ti è stato impedito di cantare e quindi di vivere.

Quando il tuo nome: Mia Martini non si poteva nemmeno pronunciare perché faceva paura, perché dicevano che portava male, perché dicevano che tu, proprio tu, Mia, portavi sfortuna e così la tua vita si è trasformata in una guerra contro una violenza subdola e per questo ancora più potente, contro la discriminazione e l’esclusione che hai subito sistematicamente per anni, e ovunque anche qui, sopra questo palco.

Forse perché eri una donna, forse perché avevi successo, forse perché avevi carattere e le donne col carattere non sono mai piaciute. Non lo so.

Tu ora non ci sei più, ma ci sono le tue canzoni, la tua voce e ci sono io che forse posso farti rivivere nella memoria di chi ti ha conosciuto o di chi non ha fatto in tempo a conoscerti. Io che da questo palco voglio chiederti scusa per tutto quello che ti è stato fatto e dirti che se stasera sono qui a parlare di te, significa che malgrado tutto Mia, alla fine hai vinto tu».

Ma queste parole però sono rimaste sulla carta e nel pensiero della brava Serena Rossi e nessuno le ha poture ascoltare. Una manciata di secondi illuminanti per capire tante cose e apprezzare ancor di più due artiste di razza, Mia Martini e Serena Rossi. Una manciata di secondi che non hanno trovato spazio in una serata interminabile fatta di ore su ore per...mancanza di tempo? Mah.



Lazio, meno male che il Pantera c'è. Le Pagelliadi

di FRANCESCO TRONCARELLI


8 e mezzo al Pantera - Un'altra vittoria, un altro golazo del bomber ecuadoregno, un'altra gioia per i tifosi biancocelesti. La Lazio ha steso anche l'Empoli dopo il Frosinone (partita fotocopia con affanno finale), conquistando così in solitaria grazie all'anticipo, il quarto posto in classifica. Quello che le compete, zona Champions, zona dei migliori. Come il colosso del nostro attacco che s'è cercato il rigore, lo ha difeso e si è proposto assistman. Grandissimo!

7+ a Romoletto - Dal 753 a. C. il calcio nell'Urbe e lui, il fratello di Remo, il gemello del cross. E lo si è visto. E' entrato subito in gioco come se fosse stato sempre nel gruppo, smistando palloni e combattendo come un veterano. Tanto pe giocà pe' fa la vita biancoceeste meno amara. E c'è riuscito: buona la prima.

7 ad Antonio Elia Acerbis (Lazio del meno 9) - Certo speriamo che non accetti la quota 100 proposta da Salvini altrimenti semo rovinati. Capirai lui che gioca dai tempi de Fascetti c'ha na certa e potrebbe appende gli scarpini al chiodo de Formllo subito co' la riforma. Ma non lo farà mai, troppo spirito di corpo nelle sue vene. Roba che all'ultimo prelievo pe' il colesterolo jè uscito er sangue biancazzurro.

6 e mezzo a Sylva Strakoshina - Rete inviolata pure 'sto giro. E scusate se è poco.

6 e mezzo a Lucas 2.0 - E chi lo Leiva più dal centrocampo.

6+ veni, vidi e vici al 71° e Innamoradu - La continuità. Ne hanno viste e combinate di tutti i colori ma alla fine sono sempre là a dare il fritto con i loro limiti e i loro numeri. Come Pippo Baudo. Nei secoli fedeli.

6+ a Pedro Pedro Pedro, Pedro Pè - Praticamente il meglio di Santa fe (cit. Raffaella Carrà). Olè.

6 a Correa l'anno 1900 - Tante finte, tanti doppi passi, tanti dribbling, poca concretezza. Come Bisio al festival. Per fortuna el Tucu ha classe, mentre il Kojak dei poveri è rimasto alle elementari col suo spirito da patata.


6 - a Massimo Di Cataldo - Tanto fumo e poco arrosto. Come Massimo Giletti.

6 -  a Rodolfo Bada - Poco arrosto e tanto fumo. Come Gigi Marzullo.

5 e mezzo al Sergente - Infortunio a parte non ha mai ingranato. Avete presente Patty Pravo paralizzata dal tiraggio del volto a Sanremo?

5 e mezzo a basta Bastos - A un certo punto si è fatto una rabona con tunnel su se stesso. Una cosa mai vista, uno spettacolo nello spettacolo, neanche un Oscar Lopez dei tempi migliori che era na sega vera è mai riuscito a tanto. Colto di sorpresa Roberto Giacobbo ha chiesto i filmati a Sky per preparare uno speciale del suo Voyager dal titolo che è tutto un programma: Ai confini della realtà.

5 e mezzo a striscia la Berisha - Come Rocco Papaleo al Dopofestival. Inutile.

 Appunti di gioco
di Roberto Taglieri

Giovedi, 7 febbraio 2019


I biancocelesti soffrono ma vincono. All’Olimpico nell’inconsueto anticipo del giovedi la squadra di Inzaghi batte l’Empoli per 1 rete a 0, grazie ad un gol su rigore di nel primo tempo procurato e siglato da Felipe Caicedo, migliore in campo dei suoi. La Lazio arriva alla 23sima di Campionato dopo la vittoria esterna di Frosinone, per i toscani invece solo un pari in casa col Chievo. Iachini che è sempre senza Dragowski e La Gumina, propone il suo 352 con Caputo e Farias davanti. Simone Inzaghi invece, che non può disporre di Parolo squalificato, ha Immobile in forma precaria e non rischia nemmeno Luis Alberto, spedito addirittura in tribuna. Esordisce il neo acquisto Romulo, a centrocampo c’è Berisha dal primo minuto, Caicedo e Correa sono le due punte. I biancazzurri vogliono una vittoria interna che manca dal 22 dicembre col Cagliari: la Lazio ovviamente parte bene ed ha subito una buona possibilità: al 3’ Romulo crossa, Acerbi calcia e la palla sfila sul fondo di pochissimo per la prima occasione laziale. Caputo risponde poco col destro dopo impegnando Strakosha. L’Empoli difende abilmente e prova inserimenti in ripartenza; difficile per gli uomini di Inzaghi scardinare le retrovie avversarie, complice anche la cronica carenza d’idee sulla trequarti, ora che manca anche Luis Alberto. Così Correa alla mezz’ora prova cosi a fare tutto da solo e giunto in area scocca il sinistro su cui però c’è Provedel; poi il bel cross di Lulic non trova pronto Milinkovic per la deviazione aerea. Però la Lazio non sembra troppo concentrata, perde tante palle innocue ed innesca spesso i contropiede dell’Empoli. Al 37’ un’azione bellissima, tutta di prima, non ha seguito perché Milinkovic solo davanti al portiere perde tempo prima di calciare, ma al 40’ Dell’Orco fa un regalo inaspettato alla truppa laziale. Il suo retropassaggio è lentissimo e Provedel per raggiungere il pallone atterra Caicedo. Chiffi assegna il rigore che batte lo stesso Caicedo, portando i suoi in vantaggio proprio alla fine del primo tempo. Nella ripresa Iachini toglie Farias per Oberlin; al 56’ su punizione battuta da Berisha, Acerbi di testa colpisce alla grande ma trova i guanti del portiere e subito dopo esce Milinkovic per Cataldi. Per l’Empoli arriva il tiro di Krunic che sfiora il palo, in contropiede Caicedo innesca Correa che spara alle stelle davanti al portiere il pallone del raddoppio. C’è confusione in campo, poca qualità da entrambe le parti; i biancazzurri retrocedono e si espongono a qualche pericolo. Lascia anche Berisha per Badelj al 76’, poi si susseguono altri errori: la Lazio rischia ancora ma alla fine ce la fa, portando a casa la vittoria. E così dopo la doppia debacle con Napoli e Juve i biancocelesti fanno il loro dovere e si riprendono, grazie a due affermazioni di misura. Sei punti in due gare per gli uomini di Inzaghi che intanto scavalcano tutti in Classifica in attesa delle altre partite ed hanno una settimana piena per preparare al meglio la sfida di andata contro il Siviglia di giovedì 14 febbraio. 



LAZIO     EMPOLI    1 – 0        41’ Caicedo  r.
LAZIO:Strakosha, Bastos, Acerbi, Radu, Romulo, Leiva, Milinkovic (57’ Cataldi), Berisha (76’ Badelj), Lulic, Correa, Caicedo (84’ Neto).  All: Inzaghi
EMPOLI: Provedel, Veseli, Silvestre, Dell’Orco, Di Lorenzo, Krunic, Bennacer, Traorè (68’ Acquah), Pasqual (87’ Mchelidze), Farias (50’ Oberlin), Caputo. All: Iachini
Arbitro Chiffi 







 


giovedì 7 febbraio 2019

Peppino di Capri lo premia il pubblico

di FRANCESCO TRONCARELLI 


 A Peppino di Capri il premio alla carriera glielo ha dato il pubblico. E' questa la migliore risposta a quanto è successo a Sanremo, dove a sorpresa e incredibilmente, è stato negato un riconoscimento che doveva invece essere assegnato. Come aveva non solo annunciato, ma addirittura deliberato la Giunta comunale di Sanremo alla presenza del Sindaco.

Lo stesso Baglioni nella conferenza stampa di presentazione del festival aveva affermato che Peppino di Capri "il premio se lo merita, ma deve essere d'accordo il comune di Sanremo" cosa appunto accaduta con la citata delibera plateamente poi annunciata a “Porta a porta “ dall'assessore preposto a Bruno Vespa che aveva allestito una puntata ad hoc della sua trasmissione sul premio a di Capri.

Poi...poi sapete tutti quello che è accaduto, qualcuno ha detto no ed il premio alla carriera è stato conferito a sorpresa a Pino Daniele, grandissimo e indiscusso artista che però non ha mai partecipato in gara al festival e, soprattutto, è deceduto 4 anni fa. Perchè non dargli un premio alla memoria si sono chiesti in molti? Mistero.

E poi, fra i grandi artisti defunti perché proprio a lui e non, per esempio, a Modugno, Battisti, Rino Gaetano, Lucio Dalla, tutti in passato in gara a Sanremo con successi storici? O, considerato il trentennale della partecipazione di Mia Martini con "Almeno tu nell'universo", su cui tra l'altro la stessa Rai ha prodotto un film per la tv con Serena Rossi, perchè non darlo alla brava e compianta cantante? Altro mistero.


C'è chi ha avanzato anche per questa scelta inaspettata la possibilità di un presunto conflitto d'interessi (anche Daniele faceva parte dell'agenzia di Baglioni e di tanti cantanti in gara e ospiti), ma a noi non interessano questi sussuri e grida che circolano sui social per dare una spiegazione a un fatto che ormai è acquisito e a cui ognuno può dare l'interpretazione che vuole.

Quello che ci interessa invece, è sottolineare che Peppino di Capri il premio alla carriera lo ha vinto lo stesso perchè glielo hanno dato metaforicamente una marea di persone, quelle che lo hanno chiesto al Direttore artistico del festival, una circostanza che non si è mai verificata sino ad ora per i premiati sul palco dell'Ariston in precedenza.

Sono stati migliaia infatti i sostenitori dell'appello che abbiamo rivolto a Baglioni e che hanno esternato questa adesione sulle pagine dedicate all'iniziativa, a cui si deve aggiungere un numero considerevolissimo di personaggi dello spettacolo che hanno manifestato apertamente e concretamente il loro appoggio.



Nomi del calibro di Carlo Verdone, Renzo Arbore, Maurizio Costanzo, Cristian De Sica, Enzo Avitabile, Edoardo Bennato, Lillo e Greg, Carla Vistarini, Alberto Salerno, Michele La Ginestra, Massimiliano Bruno, Dodi Battaglia, Lorena Bianchetti, Gerry Bruno, Pino Strabioli, Mimmo Di Francia, Al Bano, Depsa e a cui si sono aggiunti quelli dei giornalisti Paolo Giordano, Giorgio Verdelli e Michele Bovi.

Un vero e proprio movimento d'opinione che ha chiesto a gran voce il premio alla carriera per un cantante che da 60 anni è sulla breccia con la sua classe e il suo pianoforte, per un entertainer che ha dedicato la sua vita al pubblico per regalare emozioni, per un artista che ha segnato il costume lanciando balli e mode, modernizzando la canzone napoletana e accompagnando generazioni su generazioni con i suoi brani intramontabili.


Gran signore, antidivo, bella persona più che personaggio da rotocalco Peppino di Capri ha vinto anche nella sconfitta prendendo atto della decisione di Baglioni e non facendo polemiche. Anzi, il giorno dell'inizio del festival ha augurato a Baglioni e a tutti i partecipanti alla competizione un buon Sanremo. Con 15 festival all'attivo esaltati da due vittorie, 10 dischi d'oro, trionfi al Cantagiro e a Canzonissima e concerti e tournèe in tutto il mondo (è in partenza per il Brasile per tre date sold out da mesi) Peppino non ha bisogno di battere i pugni sul tavolo, ma solo dell'applauso del pubblico, quello che certifica il successo e il premio che ha meritato lo stesso.



mercoledì 6 febbraio 2019

Sanremo, poca musica troppe chiacchiere

di FRANCESCO TRONCARELLI



Quando a mezzanotte e quaranta Claudio Bisio, più smarrito Pulcino Pio che travolgente performer di Zelig, ha annunciato che mancavano ancora quattro cantanti in gara, i sopravvissuti sfiniti hanno gettato la spugna spegnendo il televisore e sui social è scattata la contestazione.

Troppo lungo questo Sanremo, troppe chiacchiere e soprattutto poca musica di qualità. A salvarsi da una "prima" ingessata e affatto comica del festival numero 69, secondo dell'era Baglioni, sono stati infatti in pochi.

Sicuramente gli ospiti, quelli canori s'intende, Andrea Bocelli e figlio e Giorgia, che hanno dato vita a due mini recital di alto livello che hanno incantato la platea televisiva e quella spaparanzata a casa davanti al piccolo schermo.

Emozionante il tenore toscano che ha riproposto il suo "Il mare calmo della sera" scritto da un Zucchero in vena 25 anni fa e che diede il la ad una carriera prestigiosa ed un successo planetario e il successivo passaggio di consegne tramite il giubbotto che indossava quella sera, al figlio Matteo con cui ha duettato con "Follow me", brano primo negli Usa e in Inghilterra.

Coinvolgente il medley proposto da Giorgia con i pezzi del suo album "Heart" e alcuni cavalli di battaglia del suo repertorio che ha riconciliato gli spettatori, con quella voce unica e strepitosa, al bel canto, dopo certe sibizioni dei Big in gara imbarazzanti.

Come ad esempio quella incomprensibile di Nino D'Angelo e Livio Cori, come quella penosa con tanto di incidente tecnico di Patty Pravo e Briga (meglio lui comunque di lei), come quella inutile di Ghemon o esageratmente caricata con tanto di sbandieratori simil palio di Siena degli Zen Circus.

A fare da collante fra un cantante e l'altro (24 dicasi 24), una serie di siparietti patetici e inutili (andate a leggere i commenti su twitter) che nella mente degli autori avrebbero dovuto far ridere, ma che hanno riportato la televisione agli anni 50 nella loro ingenuità e ridicolaggine, a gag da avanspettacolo fuori dal modo e inguardabile.

La riproposizione della Vecchia fattoria dei grandissimi Cetra, ci poteva essere risparmiata, sembrava una cosa da serata parrocchiale, il duetto Favino-Freddie Mercury Raffaele-Mary Poppins scontato e da dimenticare. Se si pensa che l'anno scorso a dare la spinta ci fu Fiorello e quest'anno Claudio Santamaria si capisce tutto e non c'è altro da aggiungere.

Peccato per Virginia Raffaele, bravissima nelle incurisoni in corso nelle precedenti edizioni, relegata e stretta nel ruolo di valletta, peccato per Bisio, che il mestiere lo conosce e lo pratica molto bene, relegato a ruolo di spalla della Raffaele che a sua volta faceva la spalla a lui. Ric e Gian con i mezzi che avevano loro avrebbero fatto sfracelli.

E i cantanti? Bene Cristicchi, con la sua poesia magica in musica, brava Loredana Bertè con il brano che le ha cucito addosso Gaetano Curreri, bravo Daniele Silvestri, incazzato al punto giusto con la sua "filastrocca" di grosso impatto, brava Arisa con un brano particolare con l'inciso speciale, bravi gli Ex Otago che forse hanno azzeccato il tormentone, bravo, molto, Ultimo che probabilmente arriverà primo, bravo ma soprattutto furbo Achille Lauro per proporsi nel ruolo di Vasco 2.0, da rivedere (anzi da riascoltare) Motta, Paola Turci, Niggiotti.

Discorso a parte per il Volo, ormai dieci anni di carriera da quando hanno iniziato come i tre tenorini dalla Clerici, che pur bocciati da tutta la critica, con il loro pop lirico enfatizzato e retorico al massimo e al netto delle loro belle voci, rispondono alla richiesta di Italia per la ricca platea estera, americana su tutti, che vede il nostro paese rimasto alla pizza, al mandolino e a O sole mio.

Tutto il resto poteva anche non esserci oppure esserci come in realtà è stato, ma così debolmente da non lasciare il segno nel bene o nel male. Insomma tra conduzione, canzoni, comici et similia, non è andata proprio bene e lo confermano gli ascolti.

La prima serata del Festival di Sanremo è stata vista da 10.086.000 spettatori, pari al 49,5% di share. Un dato che sarà sbandierato come importante, ma tuttavia in netto calo rispetto all’edizione del 2018, quando all’esordio si erano collegati a Rai 1 circa 3 milioni di persone in più.

La prima parte della serata, infatti, nel 2018 aveva raggiunto un picco di 13 milioni 776 mila ascoltatori (51,4%), per poi assestarsi sugli 11 milioni 603 mila spettatori, con uno share del 52,1%.


E stasera si replica, sperando negli ospiti annunciati che possano far da traino al tutto e nel secondo ascolto delle canzoni e artisti in gara. Per fortuna solo dodici.



martedì 5 febbraio 2019

Lazio, il ruggito del Pantera. Le Pagellliadi

di FRANCESCO TRONCARELLI


8 al Pantera - Una Lazio rilassata e solo a tratti in palla, ha avuto ragione di un Frosinone combattivo ma sicuramente poca cosa. Diciamo è stata una partita da Lunedì dopo le feste, che ha messo in evidenza tanta stanchezza (120 minuti di Coppa) soprattutto nella testa e qualche preziosa individualità rivelatasi determinante. Come quella del puntero ecuadoregno che con una bomba di sinistro ha bucato la rete difesa da Sportiello. Insomma meno male che er Pantera c'è, se pijamo sti tre punti d'oro e via. Ma attenzione, giovedì con l'Empoli si gioca per davvero.

6 e mezzo a Rodolfo Bada - Finalmente lo abiamo visto giocare e bene. Oddio, davanti mica c'aveva il Real Madrid, ma degli onesti lavoratori del pallone, ma è anche vero che se giochi e ti riescono i numeri, l'autostima sale. Guardate Salvini, ha cominciato coi selfie ed è finito al governo.

6 e mezzo ad Antonio Elia Acerbis (Lazio del meno 9) -  Il ministro della difesa. Lui sì. La Trenta prenda nota come si fa.

6 e mezzo a Sylva Strakoshina - Ha giocato per buoni 80 minuti a scopone con i fotografi dietro la sua porta. Un trionfo. Poi l'arbitro ha cioccato e l'ha ammonito. A quel punto ha deciso di giocare. E meno male, na paratona su tal Trotta all'86° che lèvate. Vittoria salva.

6+ a Inamoradu - 11 anni con l'Aquila sul petto e 4 giornate di squalifica come medaglia di appartenenza. Battiamo le mani ai veri laziali.

6 a basta Bastos - Dite la verità, quando per un lieve contatto in area con Galeazzo Ciano c'è stata l'assegnazione di un rigore, l'avete mandato affangala? Si ce l'avete mandato. Ma stavolta è valso il detto can che abbaia non morde, come quel contatto appena accennato e così è finito tutto a tarallucci e vino per la gioia di tutti. Frascati e champagne.

6 a dillo a Parolo tuo - E' partito in quarta è finito in folle. Come Martina alle primarie del PD.

5 e mezzo a Lupo Alberto - Daje de tacco, daje de punta ma non è bona la sora Assunta. I suoi fraseggi tutto culo basso e poca sostanza ricordano i compitini di Gigino Di Maio, tanto fumo e poco arrosto. Il ciuffo biondo che fa impazzire il mondo insomma si è limitato a far impazzire i tifosi laziali che da lui aspettano la manna dal cielo come Berlusconi le ragazze pon pon.

5 e mezzo a Durmisi dove capita - Ma ce serve o nu ce serve? Perchè se ce serve non se capisce a che, si nun ce sereve, non se capisce lo stesso perchè.

5 e mezzo a Somarusic - Il sonnambulo non si sveglia più. Dorme in piedi come Toninelli.

5 a veni, vidi, Lulic al 71° - Ei fu.

5 al Ciro d'Italia - Ei era.

5 a Striscia la Berisha - Ei. Ei regazzzì, dico a te: ma ce sei o ce fai?



Appunti di gioco
di Roberto Taglieri

Lunedi, 4 febbraio 2019

Bottino pieno per i biancocelesti. A Frosinone nel posticipo pomeridiano della 22 esima di Campionato dopo una partita difficile e combattuta è una rete di Caicedo nel primo tempo a  demolire le speranze dei ciociari: 0-1 il risultato finale che sorride ai capitolini. Oggi i biancazzurri vogliono tornare avanti in Classifica, il Frosinone invece cerca punti per riagganciare il Bologna: Barone stasera non può disporre di Cassata, che è sostituito da Valzania a cenrocampo. Goldaniga poi è mezzo acciaccato e parte dalla panca; al suo posto dietro c’è Capuano; infine in campo c’è Viviani, neo acquisto di gennaio. Dopo l'ottima prova contro l’Inter invece Inzaghi, che fa un po’ di turnover, manda ancora nella mischia Durmisi e Caicedo, manca Milinkovic per squalifica e Leiva per scelta tecnica: ci sono in mezzo al campo Parolo e Badelj. Al “Benito Stirpe” come sempre c’è grande entusiasmo: all’aggressività dei padroni di casa risponde una Lazio chiusa e pronta ad andare in ripartenza. Il primo tiro in porta è di Caicedo al 5’, con Sportiello che para a terra senza problemi. Ancora il portiere del Frosinone al 14’ si oppone a Badelj e pochi istanti dopo Pinamonti si coordina e sfiora il palo. Adesso però è la Lazio a fare la partita ed a palleggiare con grande facilità, ma non riesce ad essere incisiva ed addirittura rischia grosso quando al 26’ Bastos ostacola Ciano in area e Fabbri addirittura decreta il rigore, poi trasformato in semplice rimessa dopo il controllo var.  I biancazzurri non riescono ad inventare nulla, vanno troppo a rilento ma a sbloccare ugualmente una partita un po’ in salita ci pensa Caicedo, imbeccato in profondità da Luis Alberto, che controlla di destro, tira di sinistro e porta i suoi in vantaggio al 36’. Il Frosinone prova una reazione che però non si concretizza: finisce solo in avanti il primo tempo. Dopo il riposo i padroni di casa provano a fare più giro palla, al 53’ Beghetto la piazza al centro per Pinamonti, che da solo manda altissimo da ottima posizione. Caicedo poco dopo prova il tap in sul tiro di Parolo e respinta di Sportiello, ma la palla va alta e proprio ora termina la gara dell’ecuadoriano, sostituito da Berisha. Anche Badelj va fuori, entra al suo posto Leiva, poi al 64’ si fa male Luis Alberto, lo rileva Lulic che si mette a fare il trequartista. Per i biancazzurri cambia poco, perché la squadra laziale continua ad avere il controllo sugli avversari, attivi e volenterosi ma sempre molto imprecisi. Barone toglie un difensore, Krajnc per Ciofani, poi Viviani per Sammarco ed infine anche Valzania per Trotta, con uno spregiudicatissimo 334. Adesso la Lazio rischia di più: Pinamonti davanti alla porta all’85’ cerca un destro a giro che colpisce malissimo, poi sul tiro di Trotta c’è Strakosha che para con un piede. Il Frosinone nel finale fa correre qualche rischio ai biancazzurri, che appaiono stanchissimi ma portano ugualmente in porto la gara. Forse ci sono anche le scorie della partita di giovedi, ma stasera la Lazio non era per nulla brillante, senza ritmo nelle gambe. Consapevoli di essere superiori ma troppo poco concentrati e rilassati, gli uomini di Inzaghi hanno affrontato in modo sprovveduto questa sfida ma sono riusciti comunque a portare a casa i tre punti, tornando al quinto posto a quota 35. Ed ora sotto con l’Empoli, che la Lazio affronterà giovedi sera all’Olimpico: una partita fondamentale per rilanciarsi verso un posto in Champions.



FROSINONE   LAZIO   0 – 1   Caicedo 36’     
FROSINONE: Sportiello, Capuano, Salamon, Krajnc (Ciofani)75’ , Zampano, Chisbah, Viviani (76’ Sammarco), Valzania (80’ Trotta), Beghetto, Ciano, Pinamonti.  All: Baroni
LAZIO: Strakosha, Bastos, Acerbi, Radu, Marusic, Parolo, Badelj (57’ Leiva), Durmisi, Luis Alberto (64’Lulic), Caicedo (57’ Berisha), Immobile.  All: Inzaghi
Arbitro Fabbri

 


lunedì 4 febbraio 2019

45 giri, 70 anni di un boom

di FRANCESCO TRONCARELLI


 
E’ indissolubilmente legato ad un’epoca, ai juke box, ai mangiadischi, alla storia della musica leggera. Piccolo, maneggevole, leggero, è stato anche definito ‘’un buco con due canzoni intorno’’, nacque negli Stati Uniti 70 anni fa.

Il piccolo disco in vinile gira 45 volte in un minuto, da qui il suo nome, contiene due canzone, ciascuno della durata massima di 4 minuti. Sul lato ‘A’ è incisa il brano considerato più importante, sul lato ‘B’ ce ne è uno meno appetibile, un riempitivo, spesso però dopo l’immissione sul mercato e le prine diffusioni in radio, succede che la canzone meno importante ha più successo di quellasu cui i discografici puntavno tutto per vendere e sfondare sul mercato.

E' il caso di "A chi" di Fausto Leali incisa sul lato B di "Se qualcuno cercasse di te", di ‘Piccola Katy’ dei Pooh incisa sul lato ‘B’ de ‘In silenzio’ e di "Azzurro" di Celentano lato B di "Una carezza in pugno" per citare qualcuno di questi casi celebri.


Sulla nascita del 45 giri c'è una storia, quasi una leggenda metropolitana, che dà l'idea di come a volte un successo può nascere dal caso. Nel 1948 il colosso discografico americano Columbia annuncia la nascita del 33 giri che in un attimo cancella il 78 giri, la cui lontana origine viene fatta risalire addirittura a Thomas Edison, il famoso inventore della lampadina e di tante altre cose rivelatesi più che utili.

Il microsolco in vinile, che soppianta la vecchia gommalacca, cambia il sistema di ascolto della musica, con apparecchi elettrici, puntine dedicate e senza rumori di fondo. Il disco può contenere fino a dieci brani, è comodo e fa risparmiare.

Per la Columbia cominciano affari d’oro ma, secondo quanto si tramanda, la celebre etichetta si scorda di registrare il brevetto e la rivale storica Radio Corporation of America per tutto il mondo più semplicemente Rca, ne approfitta.

Nel gennaio del 49 infatti, brevetta un nuovo formato che deriva dal 33 giri e fa concorrenza al competitor. Nasce così il 45 giri da una buffa equazione che cambia la storia della musica della seconda metà del Novecento: settantotto meno trentatré uguale quarantacinque. Un formato di mezzo, più economico e pratico che diventa in pochissimo tempo un prodotto di largo consumo che fa crescere la domanda di musica.


Un boom insomma su cui le case discografiche investono nella ricerca di nuove voci, nuovi autori, nuovi musicisti. Il primo 45 giri in assoluto la Rca lo pubblicò il primo febbraio del49, 70 anni fa. Era 'Texarkana Baby' del cantante country Eddy Arnold. In vinile verde, venne poi messo ufficialmente in vendita dal 31 marzo.

Il singolo, basato sul progetto di Thomas Hutchinson, venne presentato dal massimo dirigente della RCA David Sarnoff ma rischiò di non trovare successo a causa dei giradischi, tarati sui 33 giri. La RCA spese cinque milioni di dollari per una sontuosa campagna pubblicitaria che portò i suoi frutti e nel 1954 i 45 giri venduti a livello mondiale erano 200 milioni.

Una curiosità: inizialmente i vinili avevano un colore che indicava il genere musicale d'appartenenza. I brani country erano colorati di verde, quelli classici di rosso, quelli per bambini di giallo e quelli R&B e gospel di arancione. In Italia i primi singoli a microsolco vengono stampati a Milano nel 1952, ma l’anno del decollo è il 1954, quello degli inizi della televisione.

E’ casa Ricordi a iniziare a produrre i 45 giri e i primi dischi saranno quelli di Jannacci, Gaber, Paoli e Vanoni. Contemporanemente ci saranno i vendutissimi dischi di Claudio Villa, Domenico Modugno, Luciano Tajoli, Renato Carosone. Da questo momento il piccolo disco nero con la copertina di carta, che diventerà anch’essa oggetto da collezione con le sue foto colorate che accompagnano il titolo del brano, accompagnerà la vita quotidiana degli italiani fino agli anni ’80.

Tutti comprano i dischi dei vincitori delle gare canore trasmesse dalla tv come Canzonissima, Sanremo, il Disco per l'Estate, il Festivalbar. I brani incisi da Celentano, Gianni Morandi, Rita Pavone, Peppino di Capri, Massimo Ranieri, Mina, Little Tony, Patty Pravo, Bobby Solo, Battisti. E poi quelli dei complessi Equipe 84, Rokes, Camaleonti, Dik Dik, Nomadi, Giganti, Pooh, degli stranieri Neil Sedaka, Paul Anka, Gene Pitney, Frank Sinatra. L'Italia va a 45 giri e si diverte con la musica che fa da colonna sonora della vita di tutti.


Ad apprezzare il nuovo formato saranno innanzitutto i giovani che capiscono come una buona collezione di 45 giri apra loro le porte di feste da ballo, divertimento e primi amori. A dar loro manforte arriva poi il mangiadischi, giradischi portatile a batteria con piatto girevole, testina e altoparlante integrato che consente di organizzare una festa ovunque ci si trovi.

I dati sui ‘singoli’ più venduti non sono sempre attendibili perché ogni casa discografica ha gonfiato i suoi successi ma, secondo le classifiche più accreditate, in Italia al top c’è la canzone con cu Domenico Modugmo vinse il festival di Sanremo nel 1958 "Nel blu dipinto di blu" e che raggiunse un successo planetario, seguita a brevissima distanza da "Una lacrima sul viso" di Bobby Solo" anche questa  presentata nella kermesse sanremese nel 1964.


In particolare c'è da ricordare che il brano di Modugno che ebbe anche il merito di svecchiare la canzone italiana, scritto con Franco Migliacci, sarà inciso dai più grandi cantanti al mondo a cominciare da Ella Fitzgerald, per arrivare a Louis Armstrong, Frank Sinatra, Ray Charles e David Bowie.

Un po' come successe alla canzone lanciata da Tony Renis sempre al festival ma nel 62, che è diventata uno standard internazionale con quasi 40 milioni di copie fra i vari artisti che l'hanno incisa, stiamo parlando della frizzante "Quando, quando, quando".

Un posto particolare poi in una classifica però ancora non scritta lo occupa Neil Sadaka, che nel 1963 fu l'unico artista (fra gli stranieri e gli italiani) a collezionare tre dischi d'oro (che allora si otteneva con almeno un milione di copie vendute al contrario di ora che ne bastano diecimila) con i brani "I tuoi capricci", "Il re dei pagliacci" e "La terza luna".



A livello mondiale però a vincere su tutti è ‘White Christmas’ di Bing Crosby che ha venduto oltre 70 milioni di dischi. E’ negli anni ’80 che il periodo glorioso del 45 giri comincia a declinare e la parabola si conclude il 18 agosto 1990 quando un accordo tra tutte le multinazionali del disco interrompe la produzione del piccolo disco che circolerà ancora fin verso il 1993 per cedere poi definitivamente il passo a musicassette e CD. Ma questa è tutta un'altra storia.

I dieci dischi più venduti in Italia                                   
1) Nel blu dipinto di blu - Domenico Modugno
2) Una lacrima sul viso - Bobby Solo
3) Il cielo in una stanza - Mina
4) Il ragazzo della via gluck - Celentano
5) In ginocchio da te - Gianni Morandi
6) Cuore matto - Little Tony
7) Pensieri e parole - Lucio Battisti
8) Questo piccolo grande amore - Baglioni
9) Ancora tu - Lucio Battisti
10) Azzurro - Celentano

I dieci dischi più venduti nel mondo
1) White Christmas - Bing Crosby
2) Rock araund the clock - Bill Haley
3) Hey Jude - The Beatles
4) Nel blu dipinto di blu - Domenico Modugno
5) It's now or never - Elvis Presley
6) Diana - Paul Anka -
7) Don't be cruel - Elvis Presley
8) Yesterday - Rolling Stones
9) Satisfaction - Rolling Stones
10) Only you - The Platters




Lazio avanti così. Le Pagelliadi

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