di FRANCESCO TRONCARELLI
Quando un film va dritto al cuore, ti regala emozioni e fa riflettere. Sulla fragilità, sull'amicizia, sui sentimenti, sulla cattiveria, su un modo che appare dorato ma che nella realtà spesso e volentieri è pronto a colpirti e a rivelare la sua vera essenza fatta di gelosie, invidie, interessi legati a quello che dovrebbe essere solo un lavoro intellettuale, artistico, basato sui rapporti umani e le sette note, ma che a volte non è.
Dopo l’uscita nei cinema, è arrivato anche in tv "Io sono Mia", il film biografico sull’indimenticabile Mia Martini, una delle voci simbolo della musica italiana, trovata morta il 14 maggio 1995 nella sua casa di Cardano al Campo, vicino a Varese. A prestarle il volto e la voce una bravissima Serena Rossi, artista a tutto tondo che ancora una volta ha confermato le sue qualità interpretative e soprattutto la sua capacità nel calarsi in un personaggio in maniera così convincente e credibile da sembrare veramente, al di là della finzione scenica, il personaggio stesso.
La pellicola di Riccardo Donna racconta la vita e la carriera di Mia fino al 1989, l’anno del suo ritorno a Sanremo con "Almeno tu nell’universo" dopo un prolungato periodo di assenza e depressione causati dall'assurda etichetta di iettatrice che le era stata appiccicata e che le aveva avvolta in un alone negativo pesantissimo.
Come in ogni biopic, viene da chiedersi cosa è vero e cosa è frutto della fantasia degli autori, ma tranne alcune comprensibili licenze, si può affermare che la soastanza della vicenda unama e artistica della Martini, sia proprio quella rappresentata nel film. La storia comincia appunto a Sanremo nell’89 e, per ripercorrere gli eventi chiave della vita di Domenica Rita Adriana Bertè, per gli amici Mimì. Per introdurla viene usato l’espediente dell’intervista. Quella che la cantante lascia a Sandra (Lucia Mascino), giornalista del settimanale Epoca.
Il personaggio di Sandra è immaginario, ma è vero che, il 5 marzo 1989, proprio su quella rivista, uscì un articolo dove la Martini parlava apertamente della fama di portasfortuna con cui doveva convivere: «Tutto è cominciato nel 1970. Allora cominciavo ad avere i miei primi successi. Fausto Paddeu, un impresario soprannominato “Ciccio Piper” perché frequentava il famoso locale romano, mi propose una esclusiva a vita. Era un tipo assolutamente inaffidabile e rifiutai», racconta la cantante.
«Dopo qualche giorno, di ritorno da un concerto in Sicilia, il pulmino su cui viaggiavo con il mio gruppo fu coinvolto in un incidente. Due ragazzi persero la vita. “Ciccio Piper” ne approfittò subito per appiccicarmi l’etichetta di porta jella».
L’episodio viene documentato anche nel film, dove però l’impresario ha un soprannome diverso, «Notte Management». Dopo i primi ricordi di quando, ancora bambina, cantava nella cameretta della sua casa di Bagnara Calabra, il flashback fa un salto fino al 1970: sono gli anni romani, quando Mia diventa inseparabile con Renato Zero e assieme scroccano i passaggi conquistati dalla sorella Loredana in minigonna.
Purtroppo, il cantante ha chiesto di non essere coinvolto nel biopic, così al suo posto gli autori hanno immaginato Anthony, incontrato una sera fuori da un locale, il Piper. L’altra figura assente è quella di Ivano Fossati, il grande amore di Mimì, che ha preferito non essere nominato: alla tormentata storia con il cantautore genovese si ispira quella di fantasia fra Mia e il fotografo Andrea (Maurizio Lastrico).
È invece esistito il produttore discografico Alberigo Crocetta (Antonio Gerardi), che scoprì Domenica Bertè, le fece cambiare nome, Mia perché la sua attrice preferita era Mia Farrow, suggerendole al contempo il cognome, Martini, "perchè nel mondo insieme a spaghetti e pizza è uno dei nomi italiani più conosciuti", e la lanciò con un pezzo dissacrante, "Padre davvero", che parlava di una relazione complicata fra padre e figlia molto simile a quella che Mimì aveva vissuto e viveva con suo papà Giuseppe irreprensibile e austero professore di Latino e Greco.
Ma perchè il pubblico si accorgesse di lei ci vollero artisti del calibro di Bruno Lauzi e Franco Califano (interpretato da un improbabile Edoardo Pesce che non è riuscito assolutamente a centrare un personaggio come il cantautore romano) che cucirono su di lei due brani diventati dei successi enormi che sono entrati nella storia del nostro pop. "Piccolo uomo", scritto da Lauzi (che poi diventò un suo amico) su musica di Dario Baldan Bembo e "Minuetto", scritta dal Califfo, due pezzi stratosferici che trasformarono l’artista calabrese in una stella, le fruttarono la vittoria al Festivalbar e la corona di cantante dell’anno secondo la critica europea.
Finché quella voce sul suo portare sfortuna divenne insopportabile e la costrinse a ritirarsi dalle scene. Tutto vero, anche se a molti potrà sembrare incredibile, ma la triste realtà dei fatti era proprioquella, voci che alimentavano quel clima di odiosa "persecuzione" morale ed umana che andava a minare la sua persona, la sua vita.
E Serena Rossi è riuscita perfettamente a dare sentimenti a questa vicenda umana terribile, assorbendo la sua storia,
le sue sofferenze e la sua malinconia. Si è approcciata con rispetto e pudore alla Martini facendo suo, il suo modo di camminare o di muovere
la bocca. Ma non l'ha imitata, l'ha evocata, calandosi per mesi in quel ruolo nella quotidianeità prima delle riprese.
E' stato un
atto d’amore per Mia Martini, un omaggio, un modo per restituirle la
dignità che le hanno tolto. Che è riuscito e che è stato apprezzato e gradito dal pubblico che con 7 milioni e settecentomila spetattori, ha segnato il 31% di share, un boom insomma. E un applauso speciale, quello di Loredana Bertè, che tanto sta facendo per tenere viva la memoria della sorella.
La scena con cui si conclude il film, con Mia-Serena che con i pugni al cielo canta tutta la sua rabbia sul palco dell'Ariston "Almeno tu nell'universo", il brano tenuto a lungo nel cassetto da Lauzi per farla tornare protagonista, è stata l'emozione finale di una pellicola che non sarà certamente un capolavoro, ma sicuramente un doveroso e ben realizzato omaggio ad una grande artista, che ha smosso le coscienze e invitato alla riflessione chi lo ha visto. E fosse solo questo sarebbe già un risultato enorme.
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Una bellissima recensione che rende onore non solo a Mimì ma anche alla protagonista eccezionale della quale sentiremo sicuramente ancora parlare di lei in futuro. Se penso, in parallelo, a quella brutta rappresentazione filmata della brava Dalida di qualche anno fa (2005) interpretata dalla nostra Sabrina Ferrilli per la regia di Joyce Bunūel, quella di ieri sera....è stato veramente un "capolavoro". Complimenti Francesco.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaHo dimenticato di apporre il mio nome al commento qui sopra: Gerry Bruno
RispondiEliminaNon mi piace sentire le sue canzoni cantate da altri ,non ho niente contro l'attrice che la impersona ,ma le canzoni cantate da lei sono uniche
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