lunedì 9 dicembre 2019

Er fattaccio, tra il rap di Anastasio e la romanità di Proietti

 di FRANCESCO TRONCARELLI


 



"Sor Delegato mio non so' un bojaccia
fateme scioje... v'aricconto tutto..."


"E Roma risorgerà più bella e più superba che pria!" annunciava tronfio il Nerone di Petrolini in na scena entrata nella storia della comicità. Per come stanno messe le cose attualmente, la profetica resurrezzione però tarda a venire come tutti possono constatare: In un aspetto però, qualcosa in effetti si sta muovendo, nella musica de noantri.

Ha iniziato questa estate J Ax  col pezzo su Ostia che è diventato un tormentone radiofonico con quasi 60milioni di visualizzazioni. Ha proseguito Max Pezzali col singolo "In questa città", ballad che fotografa simpaticamente vizì e virtù dei romani. Ora è la volta di Anastasio, il rapper vincitore della passata edizione di X Factor che ha rispolverato, nientepopodimenoche come diceva il grande Mario Riva, "Er fattaccio". Incredibile ma vero.

Anastasio è tornato sul palco del talent che l'ha lanciato come uno dei giovani più promettenti della nuova generazione ed ha incantato il pubblico del sesto live presentando un'anticipazione del suo nuovo album in uscita nel 2020, ovvero 'Il fattaccio del vicolo del Moro', singolo che si richiama a un'opera della tradizione popolare romanesca, in forma rap.

Si tratta infatti del celebre monologo scritto dal poeta romano Amerigo Giuliani (l'originale s'intitola 'Er fattaccio') nel 1911, rilanciato da Gigi Proietti nel corso della sua carriera, dopo un periodo d'oblio. È la confessione in prima persona di un assassino che ha ucciso il fratello, un fatto di cronaca che diventa un atto unico. Oltre che del testo ispirato liberaente a questo monologo, Anastasio è autore anche della linea melodica, mentre la produzione artistica è stata curata da Slait e Stabber oltre che da Alessandro Treglia.

Nell'edizione vinta nel 2018 di X Factor, Anastasio si era fatto conoscere per la capacità di giocare con brani noti, rileggendoli a modo proprio e in chiave rap. Niente hardcore, ma un racconto che attualizzava brani diventati grandi classici della canzone italiana come quella "Generale" che ha ottenuto anche i complimenti di Francesco De Gregori.

Non è un caso che la un paio di settimane fa sia stato chiamato in quota "giovani" a rileggere "La guerra di Piero" nel programma dedicato a Fabrizio De Andrè "Una storia da cantare" condotto da Enrico Ruggeri e Bianca Guaccero. Uno dei pochi a salvarsi per la sua interpretazione senza tanti fronzoli o incidenti di percorso (leggi Ornella Vanoni) in una puntata decisamente da dimenticare.

Dopo i palcoscenici di Sanremo e del Concertone del Primo Maggio, Anastasio ha percorso strade battute e si è cimentato nella rilettura del celebre e caro ai romani di una volta, monologo degli inizi del Novecento di Amerigo Giuliani presentato appunto nel programma condotto da Alessandro Cattelan.


L'esibizione dell'autore de 'La Fine del Mondo' ha esaltato la stampa italiana generalista: "Anastasio incanta X Factor", titolava La Repubblica. "Non è il suo miglior pezzo ma Anastasio ha l'incredibile capacità di ipnotizzarti con i testi, con le interpretazioni, quasi più attoriali che rap", è possibile invece leggere tra le pagelle alla puntata di X Factor diffuse da Rolling Stone.

Tuttavia, per molti fruitori abituali di quello che è ormai il genere più ascoltato dalle nuove generazioni, Anastasio continua invece ad essere percepito come 'Il rapper che piace a chi non ascolta rap', diversi appassionati di hip hop non riescono infatti ad accettare le canzoni dell'artista di Meta di Sorrento inquadrandolo come un rapper per cinquantenni, più attore che cantante.

Poi ci sono i puristi, quelli cioè che amano la canzone e il folk romano, che se da un lato apprezzano comunque la sua rilettura del monologo che ha ridato allo stesso una nuova popolarità ne sottolineano comunque la differenza notevole dall'originale. Come dire, questo Fattaccio è tutta un'altra cosa. A cominciare dal testo che non è più quello in romanesco che emozionava il popolino ma anche la bella gente della società romana, per continuare poi con la pronuncia del giovane artista che a tratti rivela una cadenza "for de porta" e a tratti forbita che ovviamente stona con il tutto.

Certo la Roma di oggi non è quella degli anni Venti e trenta, 300mila abitanti paticamente un quartiere odierno e dove la romanità era patrimonio di tutti con i suoi riti, tipi, siti e miti. Dove la gente si divideva tra l'avanspettacolo e il caffè chantant, dove Petrolini spopolava con i suoi lazzi e la comicità futurista e il suo rivale Alfredo Bambi dominava le scene da gran battutista ma soprattutto come interprete del "Fattaccio".

Il pubblico lo ascoltava in religioso silenzio in quel monologo a tinte rosso sangue con controno di  lacrime di commozione di cui era divenuto il mattatore sulle scene, per la sua interpretazione ricca di patos che raccontava un dramma familiare consumato nelle quattro mura di una famiglia trasteverina, gli applausi si sprecavano..

"Er Fattaccio" era un classico, amato da tutti, dalla Roma che contava e da quella che si accontentava. Non c'era festa o riunione conviviale in una osteria, in cui il più istrionico dei convenuti si alzasse in piedi, per recitarlo, magari con esiti non sempre ottimali ma sempre accettabili per l'uditorio attratto da quel dramma con finale truculento in cui molti rivivevano situazioni di litigi familari ovviamente con finale diverso.

Gigi Proietti, una lunga gavetta nei locali della Roma by night e una vita vissuta nella Roma stradarola di Campo de Fiori (abitava a via Giulia) prima di darsi anima e corpro all'arte, ha respirato l'aria di quel fattaccio scritto di getto da Giuliani ed esaltato dalla voce greve di Bambi nei vicoli della sua Roma, della nostra Roma che fu e quando anni fa decise di tirarlo fuori dal suo scrigno dei ricordi, l'ha fatto con passione e rispetto dando vita a una interpretazione senza fronzoli ma con l'anima che andava dritta al cuore.

Bravo Anastasio che ha avuto l'idea e il coraggio di rilanciare un monologo dei tempi di "Checco e Nina" con la sua performance 2.0, ma bravo bravissimo immenso Gigi che quel monologo ha fatto suo tra un "A me gli occhi please", un one man show televisivo e tante risate di gusto per la "Febbre di cavallo". Solo lui, l'ultimo dei moicani della romanità in scena, poteva farlo. E riascoltarlo, per chi è romano come lui, è sempre una grande emozione.


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