giovedì 30 maggio 2019

Mino Reitano, il quinto Beatles

di FRANCESCO TRONCARELLI

Una leggenda metropolitana per tanti, una barzelletta per certa stampa che snobisticamente lo aveva sempre considerato un parente povero della nostra musica leggera. E invece era tutto vero. Quel racconto di Mino Reitano sugli inizi della sua carriera quando aveva diviso il palco di un locale con i mitici Beatles, era pura verità, altro che storie.

Una foto spuntata a sorpresa dall'archivio di Gegè Reitano, fratello di Mino e custode della sua  memoria artistica insieme alla moglie Patrizia e alle figlie del cantante scomparso dieci anni fa, rende giustizia una volta per tutte a una vicenda umana e professionale unica.

Una storia fatta di tanta gavetta, di musica vissuta con passione e di molteplici incontri, come quello avvenuto in Germania nel 1962 con il complesso inglese più amato nel mondo, a quei tempi emigrante del rock come il ragazzo di Calabria, primo incontro di una lunga serie che negli anni l'avrebbe poi visto duettare con Frank Sinatra e ricevere l'applauso di Azanvour.

Per lui tutto era cominciato proprio con i Fab Four, con loro Mino Reitano, partito da Fiumara in provincia di Reggio Calabria a 16 anni con una valigia di cartone, aveva fatto amicizia ad Amburgo dove si esibivano insieme nello Star Club, locale del quartiere a luci rosse della città tedesca rinomata per il porto e relativo grande movimento generato dal commercio e dal classico "marinai, donne e guai".

Lui era lì come Benjamin and His Brothers — cioè Mino con i fratelli Antonio, Gegè, Franco e Domenico —, mentre i ragazzi di Liverpool non ancora famosi nel mondo e non ancora baronetti della Regina, erano presenti come Silver nome che di lì a poco avrebbero cambiato in Beatles.

«Ero un capellone e cantavo con i futuri Beatles senza nemmeno saperlo. Noi e i Silver eravamo gli ospiti fissi del locale, si stava sul palco dalle 10 di sera alle 5 di mattina suonando anche tre volte al giorno per un’ora ciascuno. Poi si andava tutti assieme a mangiare würstel e spaghetti. Era un rapporto di simpatia reciproca e pacche sulle spalle. Le ragazzine già impazzivano e si strappavano i capelli per la lro musica travolgente e assordante» aveva raccontato Reitano, suscitando spesso in chi lo ascoltava sorrisetti di scherno.


E aveva detto anche altro, ossia che John Lennon che con gli altri lo ascoltava nei momenti di pausa, impazziva per la sua voce, quando cantava "Pretty Woman" e "It's over", cavalli di battaglia del grande Roy Orbison, mito indiscusso per tutti quelli come loro che volevano intrapendere la carriera di cantanti.

E lì altri sorrisi e occhi levati al cielo come a dire "e vabè, ancora con questa storia...". Ironia e malcelato fastidio destinati ad incrinarsi però quando Paul McCartney venne ospite nell’ultima serata del festival di Sanremo del 1988, quello in cui Reitano arrivò sesto con quel suo inno all’"Italia" che sarebbe diventato la nuova colonna sonora degli italiani all’estero, che al termine della conferenza stampa, chiese "dov’è Benjamin?", a testimonianza inequivocabile che non aveva dimenticato la comune gavetta amburghese.

Cresciuto in  una famiglia composta da dieci figli in cui tutti suonavno uno strumento sull'esempio del padre Rocco, ferroviere amante del clarinetto, Mino virtuoso del violino che aveva studiato al conservatorio, costituì con alcuni dei fratelli un'orchestrina che aveva Gegè alla batteria, Franco alle tastiere e fisarmonica, Domenico e Antonio alle chitarre a cui si agggiunse come seconda voce e chitarrista, Franco Minniti, un'amico d'infanzia.

Il gruppo crebbe piano piano, serata dopo serata, prima facendosi conoscere in Sicilia alla celebre “Silvanetta” di Milazzo dove andavano ad ascoltarli Alberto Sordi, Silvana Mangano e il produttore. Dino De Laurentis che li ingaggiò per alcune feste nella sua villa in Costa Azzurra in Francia.

Poi il passaggio alla BBC, la televisione inglese, dove il loro nome “Beniamino e i suoi fratelli”, fu subito ribattezzato come “Benjamin and his Brothers” fu un ulteriore spinta alla loro carriera. Da lì, Amburgo. E lì, i Beatles. Successe allo Star Club, sulla Reeperbahnn la strada del quartiere a luci rosse che all’epoca era il centro di una delinquenza molto pericolosa e di un turismo amante del brivido.

In quel periodo John, Paul e George, con il batterista Pete Best e il bassista Stuart Sutcliffe, l'amico del cuore di Lennon fin dai tempi dell'Art School, si chiamavano Silver. Loro e i fratelli calabersi, dormivano in pensioni di terz'ordine ed entrambi si alternavano sul palco di quel locale dal tardo pomeriggio sino alle prime luci dell'alba, in un tour de force massacrante supportato da birre e wurstel.

Amburgo peraltro fu per i Beatles una tappa fondamentale e decisiva per spiccare il volo verso il successo internazionale, perchè nella città tedesca impararono veramente a suonare affinando la loro tecnica e perchè cambiarono anche il loro look a cominciare dalla celebre frangetta (il taglio alla Beatles) su consiglio della fotografa Astrid Kirchherr, che poi venne imitata dalla gioventù di mezzo mondo dando vita al fenomeno dei Capelloni.

I Beatles versione Silver ad Amburgo

Furono cinque i soggiorni dei Beatles ad Amburgo tra il 1960 e il 1962.  Il batterista Pete Best venne reclutato nella band nell'agosto 1960 in occasione del primo ingaggio nella città, dove suonarono per 48 serate all'Indra Club e in seguito per altre 58 serate al Kaiserkeller. I Beatles ritornarono in Amburgo nell'aprile 1961 per suonare al Top Ten Club per un ingaggio della durata di tre mesi.

Poi nel 62 lo Star Club, dove il gruppo inglese si esibì all'inaugurazione del locale in aprile tornandoci a novembre e dicembre con il il batterista Ringo Starr, che aveva rimpiazzato Best in agosto. E in questo periodo c'erano anche i Reitano brothers. E qui finalmente entra in scena la foto che conferma il racconto di Mino Reitano sulla comune gavetta e scapigliata amicizia giovanile fra sogni di gloria e musica suonata all'ennesima potenza.

E' una foto eccezionale e unica in tutti i sensi, perchè non ce ne sono altre a immortalare per le generazioni future un momento storico incredibile (all'epoca, soprattutto per i "saranno famosi" non si pensava di fotografare le esibizioni in locali per lo più di bassa categoria). L'immagine ritrae la facciata scrostata di un palazzo su cui svettano l'insegna del locale Star Club da una parte e quella di un'altra sala, L'Erotik, sorta di avanspettacolo con night club e programmazione di film.

Sotto le insegne, i cartelloni che annunciano le due attrazioni dello Star, The Beatles e Bengiamino and the Brothers poi sulla destra l'insegna del bar "Monica", approdo naturale degli artisti ingaggiati dallo Star e dei suoi scatenati avventori, per la birra con crauti come dessert.

Reitano e i fantastici quattro in cartellone dunque, la prova del nove di una vicenda sottaciuta che a distanza di quasi 60 anni fornisce una risposta definitiva agli scettici altezzosi e ai maldicenti increduli. Una storia incredibile, tra destini incrociati e incognite sul futuro, quando Mino, il generoso per antonomasia della canzone italiana, trionfatore delle classifiche e autore di talento (Una ragione di più), era il quinto Beatles senza esserlo, cantando con loro e spesso per loro. Una cosa che certamente sorprende. Ma vera come lui.



domenica 26 maggio 2019

Lazio già in vacanza e Inzaghi? Le Pagelliadi

di FRANCESCO TRONCARELLI



6 + al Ciro d'Italia - La Lazio ha perso col Toro l'ultima partita di un campionato che doveva proiettarla verso la Champions e che invece l'ha relagata ad un insignificante ottavo posto. Per fortuna c'è stata la Coppa Italia che ha salvato una stagione deludente e che la sconfitta coi granata, con la squadra con la testa e non solo già in vacanza, ha certificato impietosamente. Ora che è calato il sipario sul torneo, il tormentone sarà "Inzaghi resta o non resta?", domanda che avrà la sua risposta tra qualche giorno, intanto si celebra la fine dei giochi giudicando quello che si è visto (sic). Il migliore del match? Non c'è stato, ma il meno peggio è stato certamente il bomber al 15 sigillo personale e che coi suoi 8 legni colpiti è il miglior testimonial di un campionato da dimenticare.

6 al Sor Capanni - Appena entrato ha rimediato subito un cartellino giallo. E questo è senza dubbio un bel biglietto da visita per una carriera tutta da costruire e scoprire. Na botta da laziale storico pur essendo giovanissimo e proveniente dalla Primavera. Una rondine insomma più che un aquilotto. Staremo a vedere se spiccherà il volo come tutti ci si augura.

6 ad Antonio Elia Acerbis - Con le sue 50 partite quasi consecutive (una solo saltata per una  squalifica assurda), il roccioso e volitivo difensore è stato senza dubbio uno dei pochi acquisti azzeccati. E' uno tosto, che dà sempre il fritto, e anche in questa debacle nel gran finale ha comunque provato a tappare i buchi. Coi bruchi c'è riuscito alla grande nel derby di ritorno, stavolta qualcuno remava contro, nel senso che se ne stava col pedalò a mollo durante la partita. Bravo Ace.

6 a dal 753 il calcio a Roma si chiama Romulo - Se l'Alex Britti biancoceleste (separati dalla nascita col cantante) avesse giocato sempre, altro che Somarusic a pascolare. Ne avremo viste delle belle. Ma tant è e tocca accontentarsi. Come ha fatto Giordana ad Amici della De Filippi.

6 a veni, vidi, Lulic al 71° - Diciamolo, in occasione del primo gol s'è fatto uccellare come un pivello, ma siccome il 26 maggio (stesso giorno della partita) siamo nella storia grazie a lui, possiamo bocciarlo? Ma de che, gloria eterna. 

6 a Innamoradu - Pure lui è andato per farfalle come il compagno di merende storiche, ma è anche lui nella storia di una giornata che ha fatto piangere amaramente quelli che sono venuti dopo. Come dire gli anni passano, i bimbi crescono ma il 26 maggio è per sempre.

6- a Massimo Di Cataldi - Tanto fumo e poco arrosto. Avete presente Raul Cremona da Fazio?

6- a Bruno Giordao de Trasteverao - Poco fumo e un po' d' arrosto. Avete presente il mago Forest sempre da Fazio?

5 e mezzo a Rodolfo Bada - Certa stampa lo sostiene, ma al dunque... Avete presente Fazio?

5 e mezzo a dillo a Parolo tuo - Lo stakanosvista del centrocampo biancoceleste ha staccato la spina. Ma non avendo ancora pagato la cabina al Tibidabo è rimasto sulla via del Mare. Figurarsi se faceva in tempo ad arrivare allo stadio per incontrare Belotti e gli altri gallinacci.


5 e mezzo a Bastos e avanzos - Ce l'hanno tutti con lui come con Calimero del mitico Carosello. Certo de frescacce ne ha combinate tante, ma qualche pezza ce l'ha messa spesso, come ha fatto coi torinisti. Gli manca però la continuità. Nè più nè meno di Enrico Lo Verso a Ballando con le stelle, che per un tango che azzecca si perde poi in un passo doble come un Giletti qualsiasi.

5 e mezzo a Protomartire - Secondo portiere di nome e di fatto. A cappellatte infatti arriva dopo Sylva Strakoshina, ma le sue però sono più clamorose coem le partone. E andiamo.

5 a Durmisi dove trovate posto - La telecamera assassina l'ha ripreso, occhi socchiusi verso il cielo e braccia aperte da santone ispirato, prima che entrasse in campo. Era il momento del ringraziamento, il rito che almeno una volta al giorno compie per omaggiare la buonasorte che gli ha fatto un regalo incredibile, farlo giocare in serie A con contorno di bei soldoni, vitto e alloggio compresi, senza esserne all'altezza. Come se un disoccupato riuscisse a centrare il Superenalotto pescando a caso la schedina giusta nel mucchio preparato dal tabaccaio. Una cosa incredibile. Appunto.
 
Giordao alza le braccia: mi arrendo


Appunti di gioco
di Roberto Taglieri

Domenica, 26 maggio 2019
Il Torino batte la Lazio nell’ultima della stagione. Allo stadio “Olimpico Grande Torino” per la 38sima giornata succede tutto nel secondo tempo: all’uno-due granata ad opera di Falque e Lukic risponde Immobile che illude i suoi, ma nel finale è l’ex De Silvestri a fissare il punteggio sul 3-1. Nessuna posizione da difendere od obiettivi da conquistare: oggi per tutte e due le squadre è giornata di passerella, l’ultimo scampolo di fatica prima delle ferie. Nel Toro Djidji è indisponibile, Mazzarri opta per il 352 con Iago Falque e Belotti. La Lazio invece si presenta con tanti indisponibili: a parte lo squalificato Correa non saranno della partita Strakosha, Luis Felipe, Leiva, Milinkovic, Luis Alberto e Caicedo. Spazio quindi a Proto tra i pali, centrocampo con Badelj e Jordao dall’inizio, Cataldi nell’insolito ruolo di trequartista ed Immobile unica punta. Le due squadre un po’in disarmo si affrontano comunque a viso aperto ma senz’altro a ritmi blandi. Qualcosa in più prova il Toro, ma il primo tiro in porta di Aina arriva solo al 24’: Proto blocca tranquillamente; poi un contropiede iniziato da Cataldi non è finalizzato da Immobile dopo la mezz’ora. Finisce tra gli sbadigli un primo tempo sporifero, ma non ci si poteva sicuramente aspettare altro. Nella ripresa il Torino è più intraprendente e subito un salvataggio provvidenziale di Acerbi non consente a Iago Falque di battere a rete davanti alla porta. Ora i granata stanno per cambiare la partita: sull’azione seguente da un passaggio di Aina è ancora Falque davanti alla porta col sinistro di collo pieno a battere Proto e portare i suoi sull’1-0. Passano solo 2’ e il Toro raddoppia: Meite confeziona un perfetto passaggio a favore di Lukic, che supera in corsa Proto e deposita in rete indisturbato. La Lazio prova a svegliarsi ed al 65’ il guizzo di Immobile è decisivo. Spalle alla porta, tallonato da Nkoulou il centravanti biancazzurro si gira improvvisamente e mette in porta sul palo lontano un diagonale difficile che accorcia le distanze. Al 74’ sempre Immobile col piatto destro non inquadra lo specchio da buona posizione. Dal possibile pari laziale all’80’ Proto respinge su Zaza, ma l’ex De Silvestri in arrivo sulla destra deposita con lo scavino il pallone del 3-1 per il Torino, che chiude virtualmente la partita. Chi viene, chi va: da segnalare l’esordio in serie A del giovane brasiliano Capanni, che appena in campo prende anche un cartellino giallo, poi la sostituzione di Izzo con Moretti, che disputa in granata l’ultima partita prima dell’addio al calcio giocato. All’85’ Sirigu è molto bravo sul bel tiro dalla distanza di Immobile, poi Capanni sfiora il palo ed infine ancora Sirigu è pronto su Parolo; nel recupero per due volte Proto è impeccabile sul nuovo entrato Rincon e con questi ultimi guizzi si conclude la partita con la vittoria del Torino. Una sconfitta della Lazio si commenta sempre a malincuore, ma oggi a parte l’agonismo latitante, uscito fuori in parte solo dopo il doppio svantaggio, nella squadra biancazzurra era diffusa solo l’idea di smobilitazione. Peccato, perché il 26 maggio andava onorato in modo migliore. E’ tempo comunque di bilanci: la squadra biancazzurra chiude questo campionato all’ottavo posto con 17 vittorie, 8 pari, ben 13 sconfitte e 59 punti all’attivo. Una stagione negativa, accompagnata dal rimpianto di aver buttato al vento la possibile qualificazione in Champions con alcune partite da suicidio, ma ribaltata nel giudizio dalla conquista della settima Coppa Italia, che consentirà di disputare l’Europa League. Alla Lazio sicuramente cambieranno molte cose: Simone Inzaghi se ne andrà probabilmente e con lui anche alcuni importanti pedine, come  Luis Alberto e Milinkovic Savic. Se però sarà rivoluzione, dovrà avvenire in modo da migliorare concretamente questa squadra, senza mezze figure ma con uomini già pronti per fare la differenza.
    
TORINO LAZIO   3–1    51’ Falque  53’ Lukic  66’ Immobile  80’ De Silvestri
TORINO: Sirigu, Izzo (83’ Moretti), Nkoulou, Bremer (78’ Rincon), De Silvestri, Meite, Lukic, Baselli, Aina, Iago Falque (68’ Zaza), Belotti. All.: Mazzarri.
LAZIO: Proto, Bastos, Acerbi, Radu (81’Capanni), Romulo, Parolo, Badelj, Jordao (57’ Durmisi), Lulic, Cataldi, Immobile. All Inzaghi 
Arbitro Abisso

giovedì 23 maggio 2019

Una canzone da Oscar

di FRANCESCO TRONCARELLI


Ci sono alcune canzoni che per i più svariati motivi, trovano una seconda vita nel Cinema perchè vengono inserite da registi e sceneggiatori nelle colonne sonore delle pellicole in lavorazione, insieme a quello che poi sarà il leit motiv originale e che accompagna di solito i titoli di testa e alcune fasi salienti della storia narrata nel film.

Le scelte possono essere tante, le principali sono legate ai ricordi personali dell'autore, all'epoca a cui le situazioni che vengono raccontate fanno riferimento e ovviamente, alla bellezza riconosciuta del brano che lo fa preferire ad un altro, nella sterminata marea di quelli in circolazione.

Nel nostro cinema, al di là dei cosidetti Musicarelli in cui tutto, dal titolo in poi, era basato su una determinata canzone di successo del momento, è stato annotato che l'uso di brani di successo con un criterio ragionato in modo di dare maggiore forza a una storia, fu fatto per la prima volta su larga scala ne "Il sorpasso" di Dino Risi, in cui ad accompagnare il road movie interpretato da Gassman e Trintignant, ci sono otto brani in voga nel 1963.

Da lì in poi, spesso e volentieri, in tanti film si è ricorso all'utilizzo di brani più o meno conosciuti, ripresi direttamente dalla versione dei rispettivi 45 giri. In questo contesto raramente uno stesso pezzo è stato riascoltato in due film diversi, sono pochissimi infatti a potersi vantare di un bis del genere. Ma che addirittura si possa ascoltare la stessa canzone in sei film diversi per genere e naturalmente data di uscita è sicuramente un record.

E' il caso questo di "Che vuole questa musica stasera" cantato da Peppino Gagliardi, brano melodico di grande respiro e interpretato magistralmente dall'artitsa napoletano, che ha avuto una fortuna cinematografica eccezionale e che ciclicamente torna alla ribalta in un nuovo film come è capitato questa volta ne "Lo spietato" per la regia di Renato De Maria e interpretato da Riccardo Scamarcio, uscito nei giorni scorsi.
 
Il brano peraltro quando venne lanciato nel 1967, non ebbe un successo di vendite notevole al pari di altri pezzi di quell'anno come "A chi" di Fausto Leali, "Cuore matto" di Little Tony, "Nel sole" di Al Bano o "L'immensità" di Dorelli, per citarne alcuni dei più gettonati, ma ha avuto comunque nel tempo, un riscontro costante che lo ha fatto divenare un longseller. La sua entrata nelle classifiche in Giappone addirittura nel 2004 testimonia questa sua longevità commerciale.


La prima volta sullo schermo di "Che vuole questa musica stasera", si è avuta nel 68, per il film di Sergio Capogna "Plagio" con i giovanissimi Ray Lovelock, Mita Medici e Alain Noury alle prese con un menage amoroso controverso fra ragazzi nell'anno della Contestazione. Qui è chiaro il legame temporale per l'utilizzo, essendo il disco in circolazione da poco e quindi ancora nella possibilità e facilità di ascolto da parte del pubblico.



La canzone infatti musicata dal grande Roberto Murolo e scritta da Gaetano Amendola, paroliere storico di Gagliardi con cui il cantante successivamente firmerà pezzi come "Settembre", "Come le viole, "Sempre sempre" tra i più noti del suo repertorio e con cui ha partecipato a Sanremo e al Disco per l'Estate, era stata presentata l'anno prima dell'uscita del film al Festival delle Rose, kermesse musicale romana molto popolare in quegli anni.

 
Discorso diverso invece per la seconda pellicola in cui la canzone è stata utilizzata ovvero il famoso "La prima notte di quiete" di Valerio Zurlini, filmone di culto con protagonista il divo Alain Delon (in scena spesso con un cappotto di cammello che ritroveremo nel tango parigino sulle spalle di Marlon Brando) che è del 1972.


Il richiamo strettamente temporale alla canzone è evidente che non c'è più, ma c'è piuttosto il richiamo a Peppino Gagliardi che in questo periodo è in piena auge e miete successi uno dopo l'altro.
Il terzo film che dà un'ulteriore popolarità a questo pezzo rinfrescandone il ricordo al pubblico, è "Profumo di donna" di Dino Risi del 1974, con un Vittorio Gassman in forma strepitosa tanto da confermarsi il Mattatore dello spettacolo con la vitttoria a Cannes per la "Migliore interpretazione maschile" a cui si aggiungono il David di Donatelllo, il Nastro d'argento, la Grolla d'oro e il Globo d'oro come attore protagonista.


Con lui in questo famoso film che poi sarà riproposto in America con Al Pacino protagonista ("Scent of woman), ci sono Agostina Belli e il giovane Alessandro Momo già visto in "Malizia", che non potrà godere del successo della pellicola perchè morirà subito dopo le riperse in un incidente con la moto che gli aveva prestato Eleonora Giorgi.


Negli anni 90 il brano torna a farsi sentire nelle sale con la commedia un po' triller un po' i Soliti ignoti,  "L'amico di Wang" (1997) del regista indipendente americano Carl Haber prodotta dalla Lucky Red di Andrea Occhipinti, un film interpretato da Stefania Rocca e Steven Gevedon e da una serie di caratteristi del calibro di Tiberio Murgia (Ferriborre dei Soliti ignoti), Vincenzo Crocitti, Angelo Orlando, Nicola Pistoia, Venantino Venantini e attori come Massimo Bonetti e Mita Medici, che per la seconda volta appare quindi in un film con questa canzone nella colonna sonora.

Deve passare qualche anno poi, perchè la malinconica e coinvolgente "Che vuole questa musica stasera" torni a diffondersi dal grande schermo. Ma è un attesa che vale la pena attendere perchè il film che la riproporrà a sorpresa nel Terzo Millennio, è una produzione americana che diventerà un successo internazionale, portando nuovi estimatori del brano ad interessarsi anche al suo interprete (andate a leggere i commenti degli americani su youtube).

La pellicola s'intitola "The man of U.N.C.L.E.", in Italia "Organizzazione U.N.C.L.E." diretta da Guy Ritchie con protagonisti Henry Cavill (il nuovo Superman del cinema) e Armie Hammer (The Lone Ranger) ed è ispirata alla serie televisiva omonima interpretata da Robert Vaughn (uno dei Magnifici 7) andata in onda dal 1964 al 1968 in ben 105 episodi trasmessi dalle Tv di mezzo mondo.

Si tratta di una Spy story condita da humor e tanta avventura ambientata negli anni della Guera fredda e che vede il protagonista Napoleon Solo, agente della Cia ed ex ladro di opere d'arte, muoversi tra inseguimenti rocamboleschi, sparatorie a raffica come i colpi di scena e intrighi internazionali, tra Berlino e Roma.

In una delle scene iconiche del film molto apprezzata dal pubblico, per creare un effetto particolare e di suggestione con un camion che dalla banchina del porto si inabissa nel mare sullo stile di James Bond, si è ricorso al pezzo di Gagliardi che è suonata per intero. Il brano col suo ritmo melodico contrasta con la dinamica dell'azione (in cui tra l'altro il protagonista mentre intorno si spara, si mangia un panino con il prosciutto) e la accompagna in modo mirabile, come ha sottolineato la critica.

Ultimo, ma non l'ultimo, perchè questa serie di film arricchiti dalla presenza del disco di Peppino "prossimamente su questi schermi" come diceva una volta la pubblicità, sarà certamente increnentata, è quello con Scamarcio protagonista uscito di recente, che racconta la vicenda di un malvivente legato alla Ndrangheta nella Milano da bere degli anni 90.

Sei film di generi diversi quindi, commedia, azione, spionaggio, drammi esistenziali, storie di amori poibiti, poliziottesco, di tutto e di più, pellicole in cui "Che vuole questa musica stasera" diventa il brano per tutte le stagioni che riesce a camaleonticamente ad adattarsi tanta è la sua bellezza e musicalità.

Sì perchè il brano è una piccola gemma di quella che una volta veniva chiamata musica leggera ed ora pop, con un testo che introduce una domanda che molti si sono fatti ascoltando una canzone che rievoca tempi e storie andati "che vuole questa musica stasera,che mi riporta un poco del passato", una poesia intimista sull'amore che non c'è più in cui Amendola si liberava dall'aridità dei numeri dei bilanci che la sua professione di commercialista doveva far quadrare, per scatenare la sua vena creativa.

Perchè la musica scritta dal grande Roberto Murolo esalta nella melodia struggente ed armoniosa quel senso di malinconia che è il fil rouge della canzone e che l'arrangiamento eseguito da Ezio Leoni rende perefettamente. E perchè Peppino Gagliardi, il Charles Aznavour italiano, regala con la sua voce calda e graffiante a cui fa da contrappunto il panoforte, un' interpretazione vibrante e intensa che colpisce al primo ascolto e che a distanza di anni continua ad emozionare.

Un'interpretazione apprezzata da sei registi per i propri film e che ha dato a questa canzone una popolarità enorme nel tempo facendola diventare il brano per eccellenza del Cinema. Un'interpretazione con cui Peppino Gagliardi si è meritato idealmente l'Oscar dal pubblico cinematografico che ha imparato a conoscerlo e stimarlo come artista di razza qual è.

martedì 21 maggio 2019

Lazio, meno male che la Coppa c'è. Le Pagelliadi

di FRANCESCO TRONCARELLI


8 a Correa l'anno 1900 - E' finita in pareggio la partita col Bologna, tre gol per parte in un alternanza pirotecnica di emozioni, scrosi di pioggia e saluti ai mister in panchina (Simone e Sinisa amici-nemici e forse prossimamente interscambiabili) . Una sorta di amichevole di fine torneo con le solite amnesie del secondo tempo da parte dei biancocelesti e gli applausi a scena aperta per le reti veramente belle segnate dai nostri a cominciare con quella siglata dal Pupo Biondo, un vero Tucu di classe. Poteva andare meglio insomma, come del resto questo campionato che invece ha relegato la squadra ad un ottavo posto imbarazzante che la dice lunga su una stagione buttatta via sul più bello. L'unica consolazione, la vittoria nella finale di Coppa Italia che dà lustro a una bacheca peraltro già importante e ricca di trofei. Mentre altri so' anni che stanno a guardare. Sì, nonostante tutto, meno male che la Coppa c'è.

8 al Sergente -Un bis del botto con l'Atalanta. E' entrato e dopo qualche minuto ha messo a segno una punizione con una bomba all'incrocio da antologia. Che spettacolo. Ora rivale 150 cucuzze. Speriamo che non ce lo portino via con tutto il cucuzzaro.

7 e mezzo a Bastos e avanzos - Credo un gol così non ritorni mai più (cit. riveduta e corretta di Volare di Modugno). Oh, ma l'avete visto? Calimero sembrava Del Piero. Un Pinturicchio de noantri da paura. Una cosa mai vista che sicuramente finirà nella rubrica della Settimana Enigmistica "Incredibile ma vero". Come Toninelli ministro.

7+ a dal 753 a. C. il calcio a Roma si chiama Romulo - Bravo. Punto. Senza se e senza ma. Se pensiamo che abbiamo giocato su quella fascia con Somarusic, ce viè da piagne come Alain Delon a Cannes ieri. Mah. A proposito, ma alla Juve lo sanno che so' stati fatti errori come questi? (chi vuol capir capisca...). Ps: ha vinto più Romulo in quattro mesi che Dzeko in quattro anni.

7 a Lucas 2.0  - La standig ovation che ha salutato la sua uscita dal campo dice tutto. E chi lo Leiva più da questa Lazio. E' insostituibile. Avete presente Fiorello?

6  a dillo a Parolo tuo - Ha fatto il lavoro sporco per permettere agli altri di tirare avanti. Quello che fa la Litizzetto da Fazio co' tutte quelle frescacce che dice.

6 ad Antonio Elia Acerbi - Il minimo sndacale. Come Flavio Insinna all'Eurosong Contest, tanto quello che contava era Mahmood mica lui.

6 a veni, vidi, Lulic al 71° - Tanto fumo e un po' d'arrosto. Praticamente Massimo Giletti.

5 e mezzo a Rodolfo Bada - Abito preferito: pigiama; Animale: ghiro; Bevanda: camomilla; Canzone: Andamento lento; Film: Sogni d'oro; Libro: Il grande sonno; Oggetto: cuscino; Lingua: ronf ronf.

5 e mezzo a chiedimi se sono Felipe - Sì, solo per la Coppa. Tutto il resto è lasciam perdere per dirla alla De Sica.

5+ al Ciro d'Italia - Immobile e la sfiga hanno stretto amicizia, la iella ha messo mi pace. Lo vuoi un consiglio Cirù? Comincia a cambia numero della maglia per l'anno prossimo. Hai visto mai.

5+ a Massimo De Cataldi - Qualcuno si è acccorto che c'era anche lui? Nè più nè meno di Conte capo del governo.

5 ai Guerrieri della notte - Esordio bagnato con tre pere. E j'ha detto bene, se piovevano cetrioli faceva la fine dell'ortolano. Sipario.

Inzaghi saluta

Appunti di gioco
di Roberto Taglieri

Lunedi, 20 maggio 2019


Pari tra Lazio e Bologna. Nel posticipo della penultima giornata di campionato all’Olimpico la sblocca quasi subito Correa, il Bologna va su con Poli e Destro, Bastos riporta in equilibrio il risultato, poi Orsolini ed infine Milinkovic fissano il risultato sul tre a tre. Ultima in casa per gli uomini di Inzaghi che giocano le due restanti partite giusto per onore di firma. Per la squadra biancoceleste i giochi sono fatti: direttamente ai gironi di Europa League stasera la Lazio festeggia davanti al suo pubblico la Coppa Italia conquistata appena 5 giorni fa. Torna all’Olimpico Sinisa Mihajlovic, ancora non matematicamente salvo; manca Mattiello indisponibile, per il resto giocano  Dijks e Poli a centrocampo, mentre Palacio fa da spalla a Destro. Dal canto suo Inzaghi oggi fa esordire in porta Guerrieri, poi in mezzo al campo ci sono Badeljl Leiva e Parolo e in avanti Immobile e Correa. Come sempre il volo dell’aquila Olympia è il prologo alla gara, che comincia con la Lazio che crea subito qualche grattacapo agli ospiti. Al 13’ arriva la rete del vantaggio biancazzurro con Correa che riceve da Leiva in profondità e batte di destro Skorupski in uscita. Il Bologna si vede al 20’ col tiro di Poli fuori misura, poi la squadra di Sinisa sparisce; invece Immobile alla mezz’ora non riesce a raddoppiare perchè tira in modo troppo approssimativo favorendo la respinta del portiere. Al 35’ su punizione dal limite Orsolini calcia bene ma Badelj devia di testa oltre la traversa; poco dopo il diagonale di Immobile sfiora il palo. Nella ripresa sotto la pioggia il Bologna cerca di intensificare gli attacchi ed arriva subito una doppietta: prima il pareggio con Poli, che con un grande fendente da posizione difficilissima buca Guerrieri, poi addirittura l’1-2 con Destro, che nemmeno 2’ dopo appoggia facilmente in rete un assist di Palacio sotto porta. Fa ora il suo esordio in serie A Armini, che rileva Luis Felipe al 52’, passano una manciata di minuti e giunge il pareggio. E’ Bastos a scoprirsi dai piedi vellutati ed a indovinare un destro a girare che lascia di stucco tutti, si deposita sul palo lontano e firma il 2-2 che ristabilisce l’equilibrio. Al 63’ su una mischione in area la mezza rovesciata di Orsolini spalle alla porta è determinante ed il Bologna torna su; Pasqua controlla il var e convalida, nonostante l’evidente gomitata di Destro ad Armini. Il nuovo entrato Cataldi colpisce molto bene al 68’ ma Skorupski respinge di piede; al 72’ un’ovazione del pubblico sottolinea la sostituzione di Leiva con Milinkovic; proprio il Sergente al 79’ di sinistro su punizione manda all’incrocio dei pali il pallone del 3-3 che chiude i giochi in campo e fa iniziare la festa. Ancora con la testa rivolta alle baldorie di mercoledi, i biancazzurri già in vacanza concedono il punto necessario alla salvezza al Bologna che ringrazia e resta in serie A con un turno d’anticipo. Intanto la coppa Italia fa il giro di campo e i calciatori laziali si congedano così alla grande dal proprio pubblico. E gran finale a Torino domenica prossima, altra gara che non significa nulla ma che la Lazio dovrà onorare nel migliore dei modi per terminare in bellezza questa stagione esaltata dal cameo della Coppa Italia.

LAZIO  BOLOGNA   3-3     13’ Correa 49’ Poli  51’ Destro  58’ Bastos  63’ Orsolini 79’ Milinkovic
LAZIO: Guerrieri, Felipe (52’ Armini), Acerbi, Bastos, Romulo, Leiva (73’ Milinkovic), Badelj (65’ Cataldi), Parolo, Lulic, Correa, Immobile.  All: Inzaghi
BOLOGNA: Skorupski, Mbaye, Danilo, Lyanco, Dijks, Pulgar, Poli (80’ Dzemaili), Orsolini, Soriano, Destro (70’ Santander), Palacio (89’ Krejci).  All. Mihajlovic
Arbitro Pasqua

giovedì 16 maggio 2019

Lazio, la Coppa è tua! Le Pagelliadi

di FRANCESCO TRONCARELLI


10 a Simone Inzaghi - Una grande Lazio ha steso con merito l'Atalanta nella finale di Tim Cup, conquistando così la settima Coppa Italia della sua storia. E' stato un trionfo, sancito da due splendidi gol e da un dominio assoluto per larga parte della partita, da parte dei biancocelesti. Con questa vittoria la Prima squadra della Capitale si conferma non solo padrona di Roma (derby sravinto) ma anche padrona d'Italia perchè giunta a questo match secco dopo aver eliminato fior di squadre. E' la vittoria del gruppo che ha dato l'anima e il cuore nello scontro con i bergamaschi ma è sopattutto la vittoria del mister che ha infuso la giusta carica a tutti, compiendo le scelte opportune, sostituzioni comprese, perchè il match prendesse la svolta giusta. Grazie Simone, te la sei meritata questa Coppa e grazie per tutto quello che hai fatto in questi tre campionati. A prescindere.

9 al Sergente - Sellerone bello de casa: sei entrato e l'hai purgati subito. Sei volato in cielo come quell'Aquila che hai sul petto e zac, un'incornata secca e precisa che ha gonfiato la rete. Che spettacolo. E pensare che venivi da un infortunio che ti aveva allontanato dall'agone. Con questo gol ti sei riscattato da tante prestazioni così così, da soldato semplice insomma. Ora sei tornato il Sergente che mette tutti sull'attenti!

9 a Correa l'anno 1900 - In una partita giocata sugli spazi stretti, come in un flipper, è stato l'unico che, palla al piede e testa alta come tutti i campioni, partiva in quarta seminando il panico nelle retrovie della Dea. Dribbling, doppipassi, allunghi, uno show che proprio alla fine ha avuto la ciliegina sulla torta con una rete stratosferica. Ne ha marcato uno, ne ha messo a terra un altro e via, gol, all'ultimo assalto dopo aver speso tutte le energie. Un grandissimo che ha voluto timbrare con un Tucu di classe questa finale.

9 a veni, vidi, Lulic al 71° e Innamoradu - La vecchia guardia colpisce ancora.  L'Eroe del 26 maggio si è tolto un'altra soddisfazione dopo aver fatto piangere mezza città, alzando nuovamente il trofeo davanti a tutto il Paese e nazioni collegate e il più romano dei romeni con questa che ha appena vinto, è alla terza Coppa Italia che conquista, un record che lo fa entrare nella storia della Lazio e lo premia per il suo attaccamento alla maglia. Battiamo la mano ai veri laziali.

8 ar Pantera -E' il fortunello della squadra. Quando c'è lui si vince. Lotta, combatte, e soprattutto smista palloni. E' lui infatti che ha allungato la palla al Tucu per quella galoppata conclusasi nel raddoppio che ha affossato definitivamente Gasperini e compagnia bella. Bene, bravo, bis.

7 e mezzo a Lucas 2.0 - E dopo sta prestazione sontuosa chi lo Leiva più dal centrocampo?

7 e mezzo ad Antonio Elia Acerbis - Non ci sono dubbi, il Ministro della difesa è lui. Dopo le Europee se cambia il governo il posto è suo.

7 a dillo a Parolo tuo - Parolo Parolo Parolo, Parolo Parolo Parolo, soltanto Parolo, Parolo per noi. Mina e Alberto Lupo a Teatro 10 avevano capito tutto.

6 e mezzo a Sylva Strakoshina - In grande spolvero. Parate e lato B (un par de legni, tanto per gradire) che lo ha assistito. Insomma s'è guadgnato anche sto giro la pagnotta. La richiesta di un citofono al posto suo avanzata dalla condomina del terzo piano è stata pertanto respinta dall'assemblea all'unanimità. Alla prossima.

6 e mezzo a Somarusic - Il Sonnambulo s'è svejato, poi è ricaduto in trance, poi ancora all'erta come un cane da guardia. Un'alternanza di esserci e non esserci da fare invidia a Ma x Pezzali che invece da Fazio dorme sempre in piedi.

6 al Ciro d'Italia- Il bomber ha le polveri bagnate, ma il suo l'ha fatto. La coccarda se la merita in ogni caso per la caterva di gol che ha segnato da quando indossa la maglia biancoceleste. E scusate se è poco.

6 a Lupo Alberto - Tanto fumo e un po' d'arrosto. Astratto e concreto come suo solito, ma l'ideale per confondere gli avversari. Della serie va avanti tu che a me me viè da ride. Ed è stata una risata bellissima al triplice fischio finale.


6 a chiedimi se sono Felipe - E certo, dopo sta Coppa Italia che ci ripaga di tante amarezze, non so felipe, de più!


6 a Bastos e avanzos -  Tutti ce l'hanno con lui come con Calimero, l'indimenticabile cartone animato di Carosello. Ma non è giusto, perchè il difensore è uno che cerca di dare sempre il fritto. Magari qualche volta è bruciato, ma è comunque saporoso. Falli criticà sti saccentoni Bartolomè, tu intanto te porti a casa la Coppa. E gli altri, quelli dell'altra sponda che c'hanno i gocatori più forti del mondo, rosicano. E ho detto tutto.

domenica 12 maggio 2019

12 maggio 1974 la storia dice Lazio

di FRANCESCO TRONCARELLI

Quaranticinque anni fa la Lazio guidata da Chinaglia vinceva il suo primo scudetto. La cronaca di quella giornata col tifo alle stelle per una squadra entrata nella leggenda.
 


Faceva caldo a Roma quel 12 maggio del 1974. Non solo per la temperatura che già di prima mattina toccava i 22 gradi, ma anche per altri motivi. Meno tecnici e più personali. Quelli che coinvolgono la passione, il sentimento, l’attesa.

Quei motivi insomma che sono legati indissolubilmente al tifo per una squadra, al sentirsi parte di lei, al viverla come una cosa propria, sentimenti condivisi insieme a tanti altri che la pensano e la sentono allo stesso modo e che così portano avanti una passione che si trasmette di padre in figlio.

Per la prima volta nella sua storia, la Lazio quel giorno aveva la possibilità di conquistare lo scudetto, un evento nel vero senso della parola, che avrebbe ribaltato le gerarchie del calcio portando all’attenzione generale una società gestita in modo familiare da un presidente papà, Umberto Lenzini e guidata da Tommaso Maestrelli, un allenatore psicologo e ricco di umanità capace di tirare fuori il meglio da ciascuno dei suoi giocatori, campioni di grande livello tecnico divisi nella vita ma uniti sul campo come un sol uomo.


Ecco perché in città faceva caldo quel 12 maggio di quarantacinque anni fa. Se avesse battuto il Foggia nella partita in programma all’Olimpico, la Lazio si sarebbe “laureata campione d’Italia” (come si diceva a quei tempi) con una giornata di anticipo sulla fine del campionato.

Non a caso il Corriere dello Sport titolava su cinque colonne: “Per la Lazio il giorno più lungo, per la città la vigilia più sofferta” . Vero, tutto vero. La tensione era alle stelle, come i preparativi. Le radio private allora non c’erano, di telefonini neanche a parlarne, il cellulare infatti era solo il furgone della polizia usato per le retate o per portare i celerini nei luoghi delle manifestazioni, eppure anche senza i diktat delle radio sportive o gli sms pronti a diffondersi in un baleno, il tam tam lanciato dai capi tifosi si era ugualmente propagato per Roma.


Lo slogan era “una persona, una bandiera”, come dire, ogni tifoso che andrà allo stadio porti con sé un vessillo, magari cucito alla buona da una madre premurosa e fissato a un manico di scopa o ad una canna da pesca, in modo che lo stadio sia “dipinto” coi nostri colori in quella che potrebbe essere la nostra giornata. E così fu. Mai tanti stendardi e bandiere sono stati visti all’Olimpico in una sola volta, un colpo d’occhio impressionante e da brividi come dimostrano le immagini girate quel giorno dalla Rai, unica depositaria del verbo.


Sono immagini che ci raccontano di uno stadio stracolmo e pieno di passione. La gente laziale non voleva perdersi quell’appuntamento decisivo e cosi si registrò il tutto esaurito con il record di spettatori paganti rimasto imbattuto negli anni.

60.494 biglietti venduti, più 18.315 abbonati, senza contare le migliaia di persone prive di tagliando che scavalcarono la recinzione in Curva e in Tevere, per un totale di oltre 80mila presenti, sono numeri che parlano da soli e danno il senso di quello che accadde in occasione di Lazio-Foggia. I cancelli non a caso furono aperti eccezionalmente alle 9 per permettere alla gente di entrare per tempo e senza problemi, nonostante l’incontro iniziasse alle 16.


Mezz’ora prima dell’inizio delle ostilità sul prato dell’Olimpico, Lenzini fece il giro di campo per salutare i tifosi e per lui fu un trionfo a scena aperta, un’ovazione speciale e meritata, una sorta di aperitivo di quello che sarebbe successo al momento dell’ingresso in campo delle due squadre.


Una scena bellissima, da brividi. Mentre capitan Wilson guidava i suoi compagni d’avventura verso il centro del campo, migliaia di coriandoli bianco e azzurri vennero lanciati in aria dalle gradinate della Sud, dove allora era concentrato il tifo dei fedelissimi, le bandiere iniziarono a sventolare vorticosamente e quel mare biancoceleste iniziò a spandersi e straripare in tutto i settori dello stadio.

La gente era tutta in piedi a tifare, a sostenere Frustalupi, Garlaschelli, D’amico e Re Cecconi, ad applaudire Pulici, Petrelli e Wilson, ad incitare Nanni, Oddi e Martini, ad impazzire per Chinaglia, l’invincibile guerriero, Giorgione, il calciatore che più di tutti aveva ridato dignità al tifo laziale risvegliandone il senso di appartenenza a suon di gol e di una lazialità spinta ai massimi livelli.

E il destino volle che fu proprio lui a siglare il gol-scudetto, la rete che avrebbe segnato un’epoca e regalato alla banda Maestrelli l’immortalità sportiva. Avvenne al 58° , quando lo stadio piombò in un silenzio assoluto per seguire Long John battere il calcio di rigore. Un attimo di concentrazione che durò un’eternità. Poi appena il pallone scagliato da Chinaglia gonfiò la rete difesa dal foggiano Trentin tuffatosi sul lato opposto del tiro, ci fu l’apoteosi.


Chi piangeva, chi rideva, chi saltava per la gioia. Tutti si abbracciavano ed erano felici. Furono momenti indescrivibili che si sarebbero ripetuti senza freni e all’ennesima potenza al termine della partita, quando ci fu l’invasione di campo festosa e pacifica dopo il triplice fischio finale dell’arbitro Panzino.

Erano le 17 e 45 del 12 maggio 1974 la Lazio era campione d’Italia, come annunciava Enrico Ameri in collegamento dall’Olimpico dai microfoni di “Tutto il calcio minuto per minuto”. La festa aveva inizio e sarebbe durata tutta la notte, tra caroselli con le macchine, cortei in centro, cene e grandi bevute con gli immancabili bagni nelle fontane per tirare fino all’alba, in tempo per correre in edicola e prendere le prime copie del quotidiano sportivo della città che raccontava così quell’avvenimento storico: “LAZIO NEL SOGNO – Ha 74 anni di vita come il nostro secolo, soltanto 2 anni fa era in B: adesso per suo merito è anche la capitale del calcio italiano”.


Il giorno più lungo per la cara vecchia Lazio si era concluso. Lo scudetto era biancoceleste. La Lazio di Maestrelli e Chinaglia entrava nella storia dalla porta principale e diventava leggenda come esempio di attaccamento alla maglia e di squadra anticipatrice del calcio moderno. Sono passati quaranta cinque anni esatti da quella emozione, ma il cuore biancoceleste batte ancora come quel giorno e la festa ritorna all’’Olimpico con quei campioni di ieri davanti a settantamila innamorati di Lazio che celebreranno quello Scudetto indimenticabile. Uno Scudetto dal sapore antico, quello di un calcio a misura d’uomo e non di sponsor, quello di un calcio vissuto e ricordato di “padre in figlio”.


sabato 11 maggio 2019

Lazio, prove generali di Coppa. Le Pagelliadi

di FRANCESCO TRONCARELLI


7 a Lupo Alberto - La Lazio riaccende la fiamma della speranza per un posto al sole via campionato, liquidando la pratica Cagliari con una formazione rimaneggiata, due gol, tante azioni e il solito affanno last minute, tanto per non smentirsi. Anche per una questione puramente psicologica, contava vincere, e così è stato, per poter arrivare alla finale di mercoledì senza ulteriori problemi. Insomma le prove generali sono andate bene e questo era importante, tre punti d'oro per non arrivare col fiatone e poi giocarsela con la Dea. In grande spolvero lo spagnolo che ha aperto le marcature e ha fornito l'assist per il raddoppio. Lui insomma è pronto. Pure noi. Avanti Lazio, avanti laziali!.

7 Correa l'anno 1900 - Un Tucu di classe per chiudere la partita. Chirurgico, col suo sinistro implacabile dopo aver ricevuto una bella palla dal Lupone, sempre più suo compagno di merende perchè oltre all'assist, gli ha passato pure il capello biondo. Una cosa tutta loro che a quanto pare funziona. Come le frescacce che si sparano Bonolis e Laurenti a vicenda. E andiamo.

6 e mezzo a Protomartire - E venne il giorno della riserva. L'eterno secondo che sulla panca c'ha fatto la muffa perdendo i capelli e la pazienza. Un esordio che, diciamolo,  aveva allarmato la piazza. Si puntava su quanti ne avesse presi, prefigurando una caterva di gol. E invece il sellerone belga smentendo tutti e soprattutto se stesso ha sfoderato buoni interventi e ha dimostrato una certa personalità. Insomma uno Stefano De Martino in calzoncini, a cui nessuno dava n'euro di fiducia e invece ha dominato alla grande lo show Made in Sud. Buttalo via.

6 e mezzo a veni, vidi, Lulic al 71° - Quel sombrero che incredibilmente ha piazzato a metà del primo tempo su un malcapitatao rossoblu, lui che sui piedi fucilati ha costruito una carriera, ha mandato in estasi la gente laziale. Bentornato Eroe del 26 maggio, è il tuo mese. E ho detto tutto!

6+ a dillo a Parolo tuo - Tanta carne al fuoco, come nel suo stile. Senza bruciarla ma con le patatine di contorno. Come dire, abile e arruolato per mercoledì.

6+ a Rodolfo Bada -E' durato 45 minuti, come Rocco Siffredi dei tempi d'oro.

6+ a Somarusic - Oh, s'è svejato, come er marchese del Grillo. E speriamo che fusse c'a fusse la volta bona (Cit. Nino Manfredi da Canzonissima).

6 al Pantera - S'è risparmiato. Come l'ex senatore Razzi a Ballando con le stelle che promette sfracelli per il gran finale. Come er Pantera appunto. Scommettiamo?

6 ad Antono Elia Acerbis -  Il minimo sindacale. Avete presente il maestro Pinuccio Pirazzoli alla Corrida? Dirige e basta mentre Pregadio lassù soffre con tanto ben di Dio a disposizione sprecato...

6 a Innamoradu - Bentornato pure a te vecchio gladiatore. Un ultimo sforzo per rispondere presente il 15 e via.


6 - a chiedimi se sono Luis Felipe - Luis sicuro, felipe un po' meno, perchè de casini ne ha combinati pure sta volta.

5 e mezzo a Bastos e avanzos - Sul colpo di testa di Pavoletti che ha ringalluzzito gli isolani è andato per farfalle. Un bel passo avanti, perchè di solito va pe' lumache, nè più nè meno di Teo Teocoli da Fazio che non ne azzecca più una. Sipario.


Appunti di gioco
di Roberto Taglieri

Sabato, 11 maggio 2019
Trentaseiesima di Campionato: la Lazio espugna la “Sardegna Arena”. Nell’anticipo del sabato i biancazzurri vanno in vantaggio nel primo tempo con Luis Alberto, nella ripresa raddoppiano con Correa e a nulla serve allo scadere il gol di Pavoletti: 1-2 l’esito finale. Simone Inzaghi in vista della finale di Coppa Italia fa ampio turnover: fuori Strakosha, Leiva e Milinkovic, tornano Radu e Luis Felipe dietro, mentre Correa e Caicedo oggi sono i finalizzatori.  Maran, oggi squalificato, prova a far fare ai suoi l’ultimo passo verso la salvezza; senza Ionita squalificato e Faragò infortunato il mister rossoblu prova in difesa Klavan e Pellegrini, davanti ci sono Pavoletti e Joao Pedro con Barella trequartista. La partita comincia con una clamorosa occasione laziale già al 4’ con un fraseggio tra Correa e Caicedo, che si trova davanti al portiere in uscita disperata  ma non riesce a batterlo. Risponde poco dopo Joao Pedro su cui respinge Proto. Al 20’ Luis Alberto fa partire un bel diagonale su cui Cragno fa una bella parata, poi Caicedo non riesce a finalizzare davanti al portiere dopo un’azione splendida di Correa sulla sinistra. Luis Alberto al 28’ si divora il vantaggio sparando alto da dentro l’area a tu per tu col portiere; la Lazio getta al vento troppe palle gol, il Cagliari difende ma ha poca aggressività e paga pegno alla mezz’ora. Infatti da un traversone di Marusic finalmente Luis Alberto aggiusta la mira e porta meritatamente i suoi in vantaggio con un rasoterra alla sinistra di Cragno. Al 34’ si accende Barella  ma non riesce a trovare lo specchio della porta, poi un grave errore di Luis Felipe regala palla a Cigarini, che spedisce di pochissimo fuori il pallone del pareggio. Al 38’ Badelj dai 25 metri colpisce la traversa e questa è l’ultima occasione del primo tempo, assolutamente dominato dalla Lazio. Nella ripresa subito Proto blocca una conclusione di Cigarini da molto distante, ma al 53’ la Lazio raddoppia. In campo aperto parte Correa, servito alla grande da Luis Alberto, che in area batte Cragno di sinistro con un rasoterra preciso sul palo lontano. Maran ora toglie due centrocampisti, Pavoletti e Cigarini per Bradaric e Cerri, mentre Inzaghi a questo punto inserisce Cataldi per Badelj; la partita continua ad essere amministrata dai biancazzurri, che consentono però una grossa opportunità al Cagliari al 70’. Proto salva la sua porta con un intervento alla disperata efficacissimo su Deiola, poi al 74’ esce Radu ed entra Bastos. All’83’ Parolo sfiora il tris con un tiro a fil di palo, poi il nuovo entrato Castro manda alto dai 16 metri. Allo scadere da un preciso cross di Castro, Pavoletti di testa anticipa Bastos  e la butta dentro per l’1-2 isolano che rende duri gli ultimi 5’ di recupero. Ma non succede niente d’importante ed alla fine la Lazio si porta a casa i tre punti. I biancazzurri non sono stati assolutamente condizionati dalla partita di mercoledi, hanno disputato un’ottima gara e se la sono aggiudicata meritatamente, nonostante l’amnesia del finale. La squadra di Inzaghi ora a quota 58 recupera posizioni e attende le gare di domani al settimo posto in classifica: un ottimo viatico per la finale di Coppa Italia.   


  
CAGLIARI  LAZIO  1-2     31’ Luis Alberto  53’ Correa  90’ Pavoletti

CAGLIARI:  Cragno, Cacciatore, Romagna, Klavan, Pellegrini, Deiola, Cigarini (56’ Bradaric), Padoin (56’ Cerri), Barella, Pavoletti, Joao Pedro (77’ Castro). All. Maran
LAZIO: Proto, Luis Felipe, Acerbi, Radu (74’ Bastos), Marusic, Parolo, Badelj (61’ Cataldi), Luis Alberto (84’ Immobile), Lulic, Correa, Caicedo. All Inzaghi 
Arbitro Fabbri


domenica 5 maggio 2019

Lazio, che pena. Le Pagelliadi

di FRANCESCO TRONCARELLI



6 a dillo a Parolo tuo - L'Atalanta ha fatto il bello e il cattivo tempo (pioggia di gol) all'Olimpico. Una Lazio confusionaria e a tratti impalpabile, ha perso così l'ultimo autobus possibile per la Champions. Praticamente sono scesi a piazza Maresciallo Giardino al capolinea del 32. "Quanta pena stasera..." avrebbe cantato il grande Romolo Balzani con il suo "Barcarolo romano". E contro gli orobici ci sarebbe voluto proprio un nocchiero per non andare in barca. Ma è stato un vero naufragio, non solo per le tempeste magnetiche, ma anche dal punto di vista tecnico tattico. E il diluvio abbattutosi sul campo ha spazzato via le illusioni di grandezza. Grazie al paroliere che comunque ha provato a dare la scossa ai compagni di merende. Ma è stato tutto inutile.

6- a dal 753 il calcio a Roma si chiama Romulo - E' durato venti minuti, come Rocco Siffredi dei tempi d'oro. Poi si è adeguato al fancazzismo della truppa. Del resto questi manco co' Belen come mamma l'ha fatta se sarebbero svejati.

6- a Lucas 2.0 - La legge di Murphy (vedi Wikipedia) riveduta e corrotta per le cose di Lazio ha colpito ancora: se le cose vanno male anche i migliori si adeguano. Amen.

6- ar  Pantera - Dà comunque il fritto. Male che va lo portiamo al Tibidabo in cucina questa estate per le fritture calamari e alici.

5 e mezzo ad Antonio Elia Acerbis - E' sì il ministro della difesa, ma co' sti soldati è sicuro che la guerra se perde.

5+ a Sylva Strakoshina - Una bella parata, poi ha lasciato la portineria pe' andà a giocà a battimuro con gli amichetti dell'oratorio. Zapata intanto pensava a battere cassa con noi.

5 e mezzo a Bastos e avanzos - The lyon sleep tonight (il leone s'è addormentato) era un vecchio successo degli anni 50. E' tornato di moda. Purtroppo.

5 a Lupo Alberto - Inguardabile. Nè più nè meno di un film di Guadagnino. Che probabilmente la maggioranza di chi ha la sventura di leggere queste storiche Pagelliadi che da 20 stagioni accompagnano le partite dell'Aquila, sa chi è. Pensate un po' allora che visione c'è toccato di subire.

5 al Ciro d'Italia - Ha tenuto fede alla sua poesia che festeggiava il compleanno in occasione della partita, il 5 maggio: Ei fu siccome Immobile...

5 a Correa l'anno 1900 - S'è fatto biondo ed è appaso tonto. Il suo apporto in corsa alla fine della fiera è stato come un commento qualsiasi di Salemme da Fazio: inutile.

4 -  a Somarusic - Il sonnambulo ha dato il meglio di sè. Una dormita biblica che neanche i telespettatori di Gigi Marzullo.

1 a Wallace, che de nome fa Fortuna, ma c'ha 'na zella che se lo porta via - C'erano una volta le pippe al sugo. Giocatori meno che modesti che calcavano i terreni di gioco senza sapere il perchè ci fossero. Con lui ci siamo superati, perchè è una sega ma, venendo dall'estero ed essendo straniero, internazionale. Cioè il peggio del peggio sulla piazza mondiale. Ogni riccio della sua imbarazzante capigliatura è un capriccio di chi lo vuole far giocare nonostante la nullità che esprime a piè (ma anche capoccia come il terzo gol-autogol conferma) sospinto. Un disastro annunciato che produce danni incalcolabili come un ministro a caso di questo governo quando parla, per il Pil, il divario con i Bund tedeschi e le olive greche del compianto Mario Brega che arrivano però dalla Tunisia. Sipario e tutti a casa.


Appunti di gioco
di Roberto Taglieri

Domenica, 5 maggio 2019

La Lazio naufraga contro l’Atalanta. Nella gara valida per la 35sima di campionato all’Olimpico  i biancazzurri s’illudono andando subito in vantaggio con Parolo, ma sono raggiunti da Zapata, poi superati grazie a Castagne e verso la fine un autogol di Wallace fissa il risultato sull’1-3, che premia i nerazzurri vittoriosi con merito. Questa tra Lazio e d Atalanta è una sfida che sa di finale: il destino mette di fronte le stesse squadre nello stesso stadio esattamente dieci giorni prima della partita che deciderà la vincitrice della Coppa Italia. Gasperini, che deve difendere il quarto posto, non può disporre di Toloi e Barrow: il 3421 del mister piemontese prevede Djimisiti e non Mancini a destra, mentre come sempre Gomez sta dietro ad Ilicic e Zapata. Simone Inzaghi invece, senza Lulic e Radu,  fa giocare Wallace, mette in campo Romulo a destra e Marusic a sinistra, infine davanti con Immobile c’è Caicedo. Non passano nemmeno 3’ che la Lazio va in vantaggio: Parolo raccoglie un passaggio indietro di Caicedo e riesce a mettere un rasoterra sul palo lontano della porta di Gollini. Al 9’ un tiro a girare di Luis Alberto è respinto con una certa difficoltà dal portiere, la risposta di Gomez un minuto dopo va sull’esterno della rete. Gollini salva su Immobile al 13’ e la Lazio ora legittima il vantaggio, ma i biancocelesti spariscono man mano, concedendo campo agli avversari. Zapata infatti si divora il pari al 18’ spedendo alle stelle da ottima posizione, ma poco dopo non fallisce l’1-1 solo in area, grazie anche ad un’amnesia di Acerbi e Wallace che lo perdono proprio nel momento del passaggio di Freuler. Ancora l’Atalanta è insidiosa al 28’ con Ilicic che stringe troppo il diagonale e manda sul fondo il pallone, la Lazio si fa vedere con una punizione di Luis Alberto che termina out, ma non mostra più l’intensità d’inizio partita. Nella ripresa c’è subito un miracolo di Strakosha sul destro di Ilicic; gli ospiti cercano di forzare i tempi, Inzaghi intanto toglie un ottimo Caicedo, mentre l’Atalanta grazie ad un’altra falla nel meccanismo difensivo laziale si porta sull’1-2. E’ Castagne a trovare il rasoterra vincente dopo che Gomez aveva rubato palla ed era riuscito a seminare il panico nelle retrovie laziali: Wallace, responsabile della seconda rete è ora fischiato spietatamente dagli stessi laziali. I biancazzrri non mostrano segni di ripresa; Marusic al 71’ prova il sinistro in corsa ma manda altissimo, invece al 75’ arriva il tris nerazzurro. Da un calcio d’angolo battuto da Gomez il colpo di testa di Djimisiti è sfiorato guarda caso ancora da Wallace, che fa autogol e chiude definitivamente il sipario sulla partita. Una Lazio inguardabile gioca solo i primi dieci minuti della gara e poi è sopraffatta da un’Atalanta più forte, in condizione fisica migliore e con un gioco più redditizio. Inzaghi oggi è uno dei responsabili di questa prestazione: mette in campo un Wallace inguardabile e non lo toglie mai, scredita se stesso sostituendo Caicedo che stava invece giocando molto bene, ma soprattutto non riesce ad adottare nessuna strategia per cambiare gara in corso d’opera. E così i biancocelesti,  in ottava posizione e fermi a 55 punti, ad oggi sono fuori anche dall’Europa League. Vedremo con quale spirito affronterà le ultime tre gare questa Lazio in grave crisi; conviene concentrare tutte le residue energie al 15 maggio, la serata che deciderà l’intera stagione biancazzurra.  



LAZIO    ATALANTA   1-3       3’ Parolo 21’ Zapata  57’ Castagne 76’ Wallace (a)
ATALANTA: Gollini, Djimisiti, Palomino, Masiello, Hateboer, De Roon, Freuler (85’ Pessina), Castagne, Gomez, Ilicic (64’ Pasalic), Zapata. All. GasperiniLAZIO: Strakosha, Wallace, Acerbi, Bastos (78’ Neto), Romulo, Leiva (78’ Badelj), Parolo, Luis Alberto, Marusic, Caicedo (54’ Correa), Immobile.  All: Inzaghi
Arbitro Calvarese

venerdì 3 maggio 2019

La febbre del pomeriggio al Piper: c'era una volta

di FRANCESCO TRONCARELLI


Via Tagliamento, macchine ferme, gente per strada, i vigili stentano a controllare la situazione, è il caos. Una bolgia incredibile, vista e rivista in quella strada, come succede spesso ogni giorno. Ma quella volta, il 3 maggio del 1969, esattamente cinquant'anni fa, non era dovuta al traffico impazzito come quotidianamente avviene ai giorni nostri, ma alla calca per il pomeriggio "danzante" del Piper con uno dei gruppi più in voga in quel periodo, i Camaleonti.

Era la febbre del pomeriggio che si verificava regolarmente e con largo anticpo sul boom delle discoteche avvenuto dopo il film di John Travolta, nel mitico Piper che apriva i battenti oltre la notte anche nel pomeriggio per permettere ai giovanissimi di scatenarsi sulla sua pista o di ascoltare la musica dei propri beniamini.

Un'operazione di marketing astuta che sfruttando le ore pomeridiane, allargava l'utenza a chi solitamente vuoi per l'età vuoi per il fattore economico, non poteva permettersi di uscire la sera per andare a ballare. Il Piper che andava già fortissimo ed era il locale di tendenza della meglio gioventù "capellona" romana (e non solo) che dal ribellismo del beat aveva preso coscienza per recitare un ruolo nella società, diventava così il punto di riferimento di tutti, per l'ennesimo "appuntamento studentesco".

Ecco così i pomeriggi musicali nel tempio di via Tagliamento dalle 16 e 30 in poi, dopo le abboffate notturne dei vari Rokes, Equipe 84, Mal e Patty Pravo, con artisti di tuti i tipi e generi, come Jimmy Fontana e Fred Bongusto ad esempio, ma anche con certi gruppi entrati nel mito come gli Small Faces, lo Spencer Davis Group e addirittura (incredibile ma vero) i Pink Floyd con i magnifici Roger Waters, David Gilmour e Syd Barret che si esibirono anche loro nel pomeriggio di un 18 aprile di quei ruggenti anni Sessanta.

I Camaleonti

Ma quel 3 maggio di 50 anni fa, con largo anticipo sulle orario previsto per l'apertura alle 16e30, erano tutti lì a via Tagliamento per i Camaleonti, il complesso, come allora si chiamavano le band, composto da quattro amici per la pelle, Livio Macchia, Tonino Cripezzi, Paolo De Ceglie, Jerry Manzoli.

I Camaleonti che si erano chiamati così per la loro capacità di passare da uno stile di musica all’altro secondo le esigenze del pubblico, erano esplosi qualche anno prima in pieno fenomeno beat con pezzi come "Sha La La La La", "Non c'è niente di nuovo", "Chiedi chiedi" con cui avevano cavalcato le classifiche di vendita partecipando a numerose manifestazioni televisive, come il famoso Cantagiro.



L’apice della loro carriera era arrivato nel 1968 con "L’ora dell’amore", versione italiana di "Homburg" dei Procol Harum: con questo brano i Camaleonti restano in vetta alla Hit parade di Lelio Luttazzi per ben tredici settimane, vendendo un milione e 600mila copie e facendolo diventare una sorta di inno generazionale e tormentone da ballare nelle feste in casa.


Il successo viene bissato con "Applausi", che conquista il Disco d'oro, "Io per lei", "Mamma mia" che l'amico Lucio Battisti ha scritto per loro insieme a Mogol e a "Viso d’angelo", brano anche questo in linea col loro pop melodico e commerciale scritto da Pace, Panzeri e dal mastro Isola fresco di successo de "La voce del silenzio" a Sanremo, che proprio quel 3 maggio di 50 anni fa è in testa alle classifiche di vendita. Un trionfo insomma e soprattutto un momento d'oro per i ragazzi milanesi che sono acclamati al Piper.


Naturalmente come tutti i "numeri uno" che si rispettino, anche loro sono preceduti da un "apripista" che deve scaldare il pubblico prima della loro esibizione. Quel pomeriggio il compito viene affidato dalla direzione del Piper a Wess, bassista degli Airedales che dopo l'uscita di Rocky Roberts ("Stasera mi butto", ricordate?), guida il gruppo e ha iniziato a farsi conoscere per la sua voce possente e calda supportata da una musica che echeggia il rhithm and blues.

E il ragazzo della Carolina del Nord non deluderà quella folla di "studenti" con la sua musica che fa ballare anche chi è negato e che introdurrà poi il suo cavallo di battaglia del momento "I miei giorni felici", cover di grande atmosfera di "Chapel of dreams" dei Dubs firmata dal poeta Giorgio Calabrese. Un brano il cui titolo è tutto un programma per quei caldi e affollati pomeriggi al Piper, giorni sicuramente felici in cui con mille lire ballavi, ti divertivi e bevevi un'aranciata con gli amici. C'era una volta.


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