mercoledì 18 marzo 2020

I Giardini di marzo, il flashmob della natura

di FRANCESCO TRONCARELLI 


Con l'Italia in quarantena tutti restano a casa, ma escono sui balconi per cantare, per sentirsi comunità che vive e resiste nonotante tutto. E' una festa improvvisata tra vicini e gente sconosciuta che tramite la musica si emoziona e sfoga la sua voglia di vivere repressa dalle circostanze drammatiche che l'attanagliano.

E tra le tante canzoni che rimbalzano da un flashmob e l'altro, ce n'è una che è suggerita dalla natura stessa, che virus o non virus, fa comunque il suo corso in questi giorni. Basta guardare dalla finestra o dare un'occhiata in giro nelle uscite per fare la spesa o per necessità certificate, per sognare tempi migliori con i giardini che a marzo stanno tornando in fiore.

Uno spettacolo che fa bene al cuore e allo spirito, uno spettacolo che in altri tempi sarebbe stato ignorato, ma che oggi acquista un valore immenso e infonde speranza e gioia. I giardini di marzo si vestono di nuovi colori scriveva il poeta, ed è vero e subito torna nella mente quel brano meraviglioso della coppia più amata del nostro pop.

"I giardini di marzo" fa parte dell’album “Umanamente uomo: il sogno” che inaugura la felice e prolifica stagione del sodalizio Battisti-Mogol con la nuova etichetta "Numero Uno". E' stato pubblicato il 24 aprile 1972, il giorno successivo alla partecipazione di Battisti a Teatro10 in cui si esibì con Mina in un duetto entrato nella storia della televisione.

i giardini di marzo si vestono di nuovi colori

Il brano rappresenta senza dubbio una delle vette creative più alte della loro produzione. Il testo tra quelli autobiografici di Mogol, al secolo Giulio Rapetti, più significativo, racconta la storia di un ragazzo e del suo disagio di vivere, per poi allargare il discorso alle difficoltà esistenziali di una coppia.

Nello scriverlo Mogol attinse ai suoi ricordi relativi al difficile periodo del dopoguerra a Milano ed al riguardo ha raccontato: «Mi ricordo il punto esatto dove passava un carretto dove potevamo comprare per 10 lire dei gelati quadrati e due biscotti, mi sembra ancora di vederlo. Quando si era vicini alla fine del mese mia madre non mi dava i soldi, la vita era dura anche per i miei, la situazione economica non era florida".

“io pensavo a mia madre /e rivedevo i suoi vestiti” – Mi stupivo che i fiori sui suoi vestiti non fossero ancora appassiti perché li aveva portati così tante volte che era un miracolo che non fossero sciupati. “all’uscita di scuola i ragazzi vendevano i libri” – è un fatto vero anche questo, non avevo mai trovato il coraggio di venderli anch’io perché mi sentivo patetico, non so per quale motivo, era un fatto di orgoglio.

“Le mie mani come vedi non tremano più e ho nell’anima in fondo all’anima cieli immensi e immenso amore”- qui emerge la ricchezza interiore del protagonista, la capacità di spaziare del proprio io, poi però: “ma il coraggio di vivere quello ancora non c’è” – la difficoltà di affrontare il quotidiano. Sono quei momenti che riportano a terra in cui si esce dalla dimensione eroica del sogno per entrare nei fatti pratici della vita e c’è spesso un rifiuto a viverli, a vivere questa competizione con gli altri che io sento come un immiserimento della vita».

Il 45 giri de I giardini di marzo

Nel disco suonano alcuni musicisti che avevano già collaborato con Lucio, come Dario Baldan Bembo, Oscar Prudente, l'ex dei Ribelli Angelo Salvador, Mario Lavezzi e Tony Cicco della Formula 3, ma anche alcuni nuovi arrivi come i chitarristi Massimo Luca ed Eugenio Guarraia presenti la sera prima nel duetto con Mina, il cui apporto per la realizzazione dei vari brani dell'album è stato determinante.

Come ha ricordato infatti il chitarrista Massimo Luca, Battisti arrivava in studio la mattina presto, verso le 9 e faceva sentire il pezzo da registrare ai musicisti, solo con chitarra e voce. Poi  gli chiedeva di seguirlo se non aveva già delle idee precise sulle parti, in modo che l’apporto del gruppo diventasse parte integrante del processo creativo.

Dopo avere provato alcune volte “I giardini marzo” l'artista reatino si rese conto che al brano serviva una introduzione strumentale. Ha in mente qualcosa di mediterraneo e accenna con la sua chitarra qualche accordo, un riff che Massimo Luca rifinisce e completa con la sua chitarra a 12 corde suonata imitando il suono di un mandolino. Una genialata.

Anche il processo creativo e l’alchimia tra le musiche di Battisti e i testi di Mogol era del tutto particolare. «Lucio scriveva solo la musica -ha ricordato Mogol- veniva da me e la suonava continuamente, per ore, finché non avevo composto il testo. Il mio era quasi un atteggiamento medianico: ascoltavo la musica e rovesciavo fiumi di parole sulla carta. A volte, quando avevo terminato mi chiedevo: ma dove sono andato a finire? Mi sembrava di essere uscito fuori tema.

Mina e Battisti a Teatro 10

"Spesso però era lo stesso Lucio che mi diceva: “Ti sbagli, hai scritto grandi cose”. Per “I giardini di marzo” ero convinto di avere perso il filo del discorso andando per boschi, fiumi e praterie, e poi mi sembrava di essere tornato senza sapere il percorso che avevo compiuto. Ero stordito, smanioso, ma fu proprio Battisti, in quel caso, a dirmi che avevo scritto dei grandi versi».

Uscito il giorno dopo quella serata magica con Mina, in appena un mese, il 27 maggio, "I giardini di marzo" è già al primo posto della Hit Parade di Lelio Luttazzi, restando in vetta per 7 settimane e risultando alla fine dell'anno il 4° singolo più venduto in Italia nel 1972.

Da allora questa canzone ha vissuto di luce propria proseguendo il suo cammino oltre il tempo, accompagnando generazioni su generazioni ed emozionando ogni volta che lo si ascolta come fosse la prima volta. Ha assunto poi un valore particolare per i tifosi laziali, che lo hanno fatto proprio come un vero e proprio inno da cantare tutte le domeniche all'Olimpico con tanto di sciarpata.

Un'emozione incredibile, un momento altamente spettacolare che provoca brividi a non finire e al tempo stesso anche un omaggio al Battisti privato, sostenitore discreto della prima squadra della Capitale come il padre Alfiero, in linea col suo essere un artista riservato. Umanamente uomo e biancoceleste nel profondo. 


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