di FRANCESCO TRONCARELLI
Intensa, carismatica, vera, donna del suo tempo, struggente e vitale, malinconica e allegra, animale da palcoscenico, ineguagiabile, inarrivabile, indimenticabile. Anna Magnani è stata la più grande attrice italiana del Novecento.
La prima a vincere un Oscar, il premio da sempre considerato il più prestigioso per chi lavora nel Cinema. Lo ricevette nel 1956 per i film "La rosa tatuata" di Daniel Manin, una pellicola drammatica su soggetto del grande Tennessee Williams, in cui Nannarella recitava al fianco di Burt Lancaster, era un 21 marzo, come oggi.
La ricorrenza di questo prestigioso riconoscimento che andava a coronare una carriera eccezionale che aveva avuto "picchi" starodinari con film come "Roma città aperta", "Bellissima" e "Mamma Roma", ci permette di parlare di lei e di ricordarla, un dovere in un mondo come l'attuale che dimentica in fretta tutto e tutti.
E vogliamo ricordarla con una delle sue ultime interpretazioni, poco conosciuta ma veramente indimenticabile, in cui emerge tutta la sua bravura di attrice, capace di recitare anche solo con gli occhi. Ci riferiamo a un episodio di una serie televisiva degli anni 70 diretta da Alfredo Giannetti, in cui la Magnani interpretava Flora, una sciantosa in declino spedita al fronte per tenere alto il morale della truppa.
E' un momento bellissimo, che coinvolge lo spettatore per la situazione contingente, in cui lei, avvolta nella bandiera tricolore come si usava allora negli spettacoli teatrali per cantare canzoni patriottiche, si rende conto che chi siede nella platea del teatrino, è un pubblico di soldati stravolti dalla guerra.
Molti sono feriti, alucuni mutilati, chi senza le gambe, chi cieco, tutti sono mogi e mentalmente in disarmo, cantare un qualcosa di patriottico e allegro è fuoriluogo e Anna così lascia cadere la bandiera e dopo un attimo di smarrimento intona "O surdato nnamurato". E la scena si trasforma in un momento bellissimo, con lei che col dolore nel cuore va avanti e la truppa che inizia a scaldarsi e tornare a vivere. Brividi. La Magnani in questo momentoè il "Cinema".
Raccontò dopo le riprese Massimo Ranieri che lavorava con lei nel film, che Anna pianse veramente durante la scena, facendo scattare una lacrima anche all'intera troupe che partecipava alla ripresa. E non poteva essere diversamente perchè nella finzione cinematografica si rappresentava una situazione che si era veramente verificata, una, dieci, cento volte in quei giorni drammatici della Prima guerra mondiale e che Anna riviveva idealemente mentre recitava.
La canzone peraltro era malvista dai comandi militari e fu proibita dallo Stato Maggiore delle operazioni di guerra (con soldati mandati a processo per averla cantata), perchè vista come inno dei disfattisti e dei codardi. Una canzone che in sostanza parlava d'amore a una fidanzata lasciata a casa per partecipare alla guerra non poteva andare bene a chi combatteva in trincea sotto il fuoco dei cecchini austriaci. Incredibile ma vero.
Meglio la carneficina di fanti-contadini, ragazzi di poco più di vent’anni strappati alle proprie terre e alle proprie famiglie di cui l’ottanta per cento non sapeva scrivere. In questo clima nasce la madre di tutte le canzoni contro la guerra. In maniera semplice, spontanea. Forse ispirandosi alla lettera di un soldato inviata dal fronte alla sua amata.
La compose Aniello Califano, rampollo di ricca famiglia di Sorrento, un po’ scapigliato e di carattere esplosivo, che amava le donne e la poesia. Quando scoppia la guerra si trova a Napoli e frequenta sempre i tabarin. Per strada nessuno esalta il conflitto, nessuno vuole eroi. Tutti piangono i fidanzati, i mariti, i figli al fronte.
Gli spettacoli nei café chantant sono pieni di retorica patriottica, fatti di lustrini, divise e bandiere tricolori. Ballerine col cappello da bersagliere. Quelle sono di moda. È la legge della propaganda. I morti sono ignorati come pure la malinconia e i drammi della trincea. Califano allora scrive di getto una poesia che parla di cose reali e che viene musicata da Enrico Cannio.
Chi parla è un soldato, ma lo intuiamo solo dal titolo. Non si fa mai riferimento al fronte. Né alla patria. Si tace sulle battaglie, sul sangue, sui morti. Non si maledice, non si irride. Si sogna la propria amata e basta. Però è di fondo, in tutte la strofe, il desiderio di tornare a casa. È questa semplicità che diede grande forza alla canzone e che impaurì i vertici dello Stato maggiore. Per loro era l’inno di chi voleva tornare a casa, lasciare il fronte, la guerra. In pratica disertare.
E nell'interpretazione starordinaria di Anna Magnani, si avverte tutta questa voglia di tornare a vivere come una volta. Il brano quindi è anche tremendamente attuale, perchè tutti vorremmo abbandonare questo fronte in cui siamo costretti a vivere e vorremmo che questa guerra contro un mostro invisibile finisse.
«’O surdato ‘nnammurato» è un messaggio d’amore universale, per tutte le volte che il pensiero va alle cose importanti ma lontane e per tutte le volte che il dolore della vita si rifugia in ciò che si ama. E l'interpetazione superba e meravigliosa di Anna Magnani, in antitesi al canto a squarciagola che si fa negli stadi, fa riflettere ed emoziona. Un soffio di voce e parole dure come macigni che ti entrano dentro.
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Commovente.
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