Il numero uno, senza se e senza ma. Nei 123 anni di storia della prima squadra della Capitale, mai nessuno è stato come lui. Lui è stato il più grande di tutti. Anche di chi è stato migliore tecnicamente o ha segnato più reti. Lui era un'altra cosa. Un simbolo, un eroe sportivo, un trascinatore. Non un semplice calciatore seppur capace di magie sul campo o magari col fiuto del gol.
Lui era molto di più, era Giorgio Chinaglia, un tornado che spazzava via avversari e chi si metteva di traverso per ostacolare la Lazio, il giocatore con l'Aquila sul petto che ha dato dignità a un popolo facendogli rialzare la testa dopo tanti anni bui e di emarginazione sportiva nella città e rendendolo orgoglioso di appatenere a una comunità.
Ecco perchè ogni volta che si avvicina il 1 aprile, il giorno che se ne è andato all'improvviso nel 2012, la nostalgia aumenta, perchè i ricordi si fanno più intensi e la mente va a tutto quello che "l'invicibile guerriero" ha fatto per la Lazio sul campo, con i suoi assalti, le sue cavalcate, i suoi gol, le sue imprese.
C'è una foto che spiega nel modo migliore e consegna alla storia chi è stato Long John, l'ha scattata Marcello Geppetti fotoreporter di razza. Quella immagine ha fissato nella memoria collettiva l'animus pugnandi del calciatore più amato dalla gente laziale e dice veramente tutto.
Lo scatto è del 31 marzo del 1974, si disputava Roma-Lazio, con tre
quarti di stadio giallorosso avvelenato contro Giorgione. Quel giorno
era atteso al varco. All'andata, sotto pressione per mesi e mesi di
insulti al limite dell'aggressione fisica, sempre peraltro rintuzzatti,
dopo aver segnato il gol vittoria, aveva esultato correndo verso la
curva romanista innescando il putiferio.
L'odio che i romanisti già provavano nei suoi confronti, aumentò da quel
momento a dismisura con picchi di pura inciviltà e vigliaccheria come
le offese alla moglie nel suo negozio della Balduina o addirittura
mentre era in giro col passeggino e il piccolo George.
A quel clima di tensione perenne che si era così creato, Chinaglia
rispondeva per le rime quando capitava l'occasione. Il giorno prima del
derby, nel consueto pomeriggio al cinema Gregory di via Gregorio VII
precedente tutte le partite, aveva preso a cazzotti due fanfaroni che
sghignazzando, lo avevano insulatato mentre perendeva posto in platea
coi compagni di squadra al grido di "A gobbooo".
Stessi cazzotti che avevano steso in settimana un altro sbruffone che mentre mangiava alla Taverna Flavia gli aveva fatto una penacchia al suo ingresso. Insomma questo succedeva a Roma negli anni 70 se qualcuno cercava di ribaltare le gerarchie del calcio e nel tifo a suon di risultati e soprattutto "non ce voleva sta'" ai gradassi.
Quel pomeriggio di marzo perciò lo stadio è in fibrillazione, l'Olimpico è come il cielo di Baghdad: fumogeni, bomboni, mortaretti, sirene delle auto a "tutta callara". Il clima insomma è rovente ma è benzina per Giorgio che al quinto della ripresa diventa leggenda con il rigore che completerà la rimonta (Spadoni, D'Amico, Chinaglia, risultato finale 1-2).
Dopo aver spiazzato Paolo Conti dal dischetto, scaglia il pallone in Sud e punta l'indice verso quella curva sfidandola beffardo, un gesto per l'eternità che si rafforza alla fine quando al termine della partita raggiungerà da solo e senza scorta della Celere, che sta presidiando il parterre davanti la Sud per i tumulti in corso, il tunnel che conduce agli spogliatoi non prima di aver lanciato un ghigno in faccia ai suoi denigratori.
Gioco, partita, incontro. Roma ha il suo padrone, il primo e l'unico ad accettare il richiamo della strada ed uscirne da dominatore. Ecco perchè Giorgio Chinaglia era il più temuto dagli avversari, perchè era il più forte di tutti, il più grande di tutti, il più laziale di tutti.
Quello che segnava sempre, quello che con le sue bombe spezzava le dita ai portieri, quello che trascinava i compagni alla vittoria, quello che li scuoteva quando le cose andavano male in campo, quello che portò per mano la squadra alla conquista del suo primo scudetto. Quello che per tutti era Giorgio Chinaglia, il grido di battaglia.
E’ una lunga storia d’amore quella fra Long John e il suo popolo perché nessuno è stato come lui, nessuno ha fatto quello che ha fatto lui e soprattutto perché nessuno fra quelli che lo tifavano ha smesso di volergli bene nonostante vicissitudini incredibili e situazioni molto discutibili in cui quel calciatore dagli occhi da buono e la grinta da trascinatore si era trovato. Un amore infinito trasmesso da padre in figlio. Perché lui era Chinaglia, Giorgio Chinaglia, il più grande di tutti.
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