lunedì 18 maggio 2020

Lazio 1999-2000, squadra di campioni

di FRANCESCO TRONCARELLI



Quattro giorni dopo aver conquistato lo scudetto più emozionante della storia del Calcio, la Lazio conquistava a Milano la Coppa Italia, un'accoppiata fantastica che premiava la società di Sergio Cragnotti e soprattutto una squadra di Campioni nel vero senso della parola oltre che d'Italia.

Era il 18 maggio del 2000, esattamente venti anni fa quando Simeone e compagni alzavano il trofeo al cielo davanti migliaia di tifosi arrivati a San Siro per incoraggiare i biancocelesti e prolungare quel sogno iniziato alle 18 e 4 minuti del 14 maggio.

Erano scesi in campo praticamente senza allenamenti sulle gambe, reduci dai grandi festeggiamenti post titolo, stravaganti nel look con i capelli dipinti di giallo, blu e tricolori, una cosa mai vista che li esaltava come dei veri artisti del pallone, capaci di tenere a freno chiunque e con quel tocco di folle ironia che addolciva lo sport più bello del mondo.

Era bastata la grande vittoria nella finale d'andata giocata a Roma (allora si giocava in entrambi i campi delle finaliste) firmata in rimonta da Nedved e Simeone, per amministrare al ritorno il risultato e contenere gli assalti degli interisti e vincere così leggittimanante il trofeo.

Tutti erano pazzi per quella Lazio di campioni, tutti la applaudivano. Persino le Poste italiane sulla scia di una simpatia e stima che si stava facendo strada fra gli sportivi del Bel paese, decisero di stampare un francobollo celebrativo dello scudetto e di quella squadra nata per vincere.


Nell'anno del Centenario la Lazio centrava il Double, titolo e coppa nazionale, un trionfo che coronava l'impegno di Eriksson e di tutti quei calciatori con indosso la più bella maglia dopo quella con l'Aquila stilizzata, un successo che ripagava i tifosi per i torti subìti.

Quelle palesi ingiustizie che nessuno aveva difeso l'anno precedente quando alla Prima squadra della capitale venne scippato da "lor signori" un titolo meritatissimo. Una vergogna nella vergogna che la dice lunga su come vengono diffuse le notizie.

Dove erano infatti quei giornalisti della stampa cittadina che avevano accreditato la leggenda, smentita poi dai fatti e dagli interessati (Carlo Sassi alla moviola anni dopo), che "er go de Turone era bbono", quando Bobo Vieri aveva segnato un gol regolare ed incredibilmente annullato a Lazio-Milan?

Dove erano quei cronisti a voce imparziali di fatto con gli straccali giallorossi quando Marcelo Salas venne atterrato con un colpo di Karate a Firenze senza che l'arbitro muovesse un ciglio negando un evidente rigore? Erano impegnati a proteggere quelli dell'altra sponda, pieni da sempre come oggi di buffi e problemi vari, ma intoccabili da banche, poteri forti e mass media. 
 

Scudetto e Coppa Italia (la terza di una serie che si andrà sempre di più allungando con tanto di apoteosi il 26 maggio del 2013) dunque premiavano al di là di tutto e tutti un gruppo di talenti assoluti che insegnavano agli avversari il calcio e deliziavano la gente coi loro colpi e tocchi da fenomeni. Questo bastava ed era tanta roba.

La Lazio della stagione 1999-2000 infatti è stata sicuramente tra le squadre più forti degli ultimi trent’anni. Non a caso da quella rosa è uscita una quantità fuori dal comune di allenatori che stanno facendo grandi cose per i club o le nazionali, in cui si trovano. Da Roberto Mancini a Diego Simeone, da Simone Inzaghi a Sergio Conseiçao, da Nestor Sensini a Matias Almeyda, da Alessandro Nesta a Sinisa Mihajlovic.

Di questi grandi campioni passati dalla maglietta alla tuta Roberto Mncini era quello che già all'epoca, quando giocava, veniva considerato il secondo allenatore in campo, la longa manus di Sven Goran Eriksson, braccio e mente al tempo stesso delle sue strategie vincenti.

Battendo la concorrenza dell'Inter di Moratti, era arrivato alla corte di Cragnotti nel 1997 insieme all'allenatore svedese. Con la gloriosa casacca biancoceleste disputerà tre stagioni. Vince subito la Coppa Italia 1998 nella finale di ritorno disputata il 29 aprile contro il Milan e successivamente, il 29 agosto dello stesso anno, conquista la prima Supercoppa Italiana della storia laziale.


Nella sua seconda stagione realizza, tra le altre, una bellissima rete di tacco nella gara del 17 gennaio  contro il Parma e soprattutto guida la squadra con la sua esperienza, facendo acquisire a tutti i suoi compagni una mentalità vincente.

L'ultima edizione della Coppa delle Coppe nella finale di Birmingham contro il Real Mallorca e la conseguente Supercoppa Europea disputata a Montecarlo il 27 agosto 1999 contro gli "invincibili" del Manchester United (gol del Matador), lo vedono in prima fila col suo estro da numero 10.

Nella terza stagione in biancoceleste raccoglierà quello che aveva seminato in campo conquistando il tricolore coi suoi compagni e disputando l'ultima partita (541 presenze) di una lunga e prestigiosa carriera in serie A, proprio in quel Lazio-Reggina passato alla storia.

L'ultima in assoluto in una gara ufficiale con la Lazio sarà poi quella del 18 maggio, venti anni fa, nella finale di ritorno di Coppa Italia. Una storia insomma finita nel migliore dei modi, peraltro con il medesimo finale per tutti quei numeri uno che con lui divedevano gioie, tante e dolori, pochi di una squadra fortissima.


Una squadra di campioni diventati campioni d'Italia come i tifosi avevano voluto prima che vincessero il titolo ed avevano ribadito dopo, sino a scriverlo non tanto sui muri come si era sempre fatto, ma anche sulle banconote, divenute così testimonial di una vittoria e di una fede sportiva. 

Il primo a "marcarle" fu un bar di viale Jonio, seguito da un ristorante del Casilino e da un pub del quartiere Vescovio. I tre proprietari, laziali fino al midollo, avevano adibito i loro esercizi a centri di creazione e smistamento di banconote biancocelesti.

Le diecimila lire timbrate con l'aquilotto, lo scudetto e la scritta "Lazio campione d'Italia", diventarono subito un vero tormentone ambitissimo dai tifosi. Non certo un gadget ufficiale, come i vari zaini, sciarpe, magliette che venivano messi in vendita nei negozi specializzati, ma una sorta di oggetto di culto artigianale.

Un cimelio da conservare ma anche da smistare nei posti giusti. Smerciare le diecimila, le cinquantamila o le centomila "tifose" agli esercenti (giornalai, bar, negozi) romanisti in quel periodo era uno spasso. Del resto quelle banconote con la scritta diventata storia non avevano prezzo. Come quei campioni che fecero grande la Lazio nella stagione 1999-2000.






1 commento:

  1. Disamina come al solito perfetta e puntuale. Noi tifosi c'eravamo ed abbiamo vissuto in prima persona tutti gli eventi (positivi e negativi) di quegli anni. Grazie caro Tronky

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