martedì 29 luglio 2025

Addio Livio Macchia dei Camaleonti

 di FRANCESCO TRONCARELLI

Applausi di gente intorno a me

Applausi, tu sola non ci sei

Ma dove sei?

Chissà dove sei tu

Perché cantare? (Canta, canta ancora)

Cantare, ma perché? (Canta)

Se l'amore non c'è...


Se n'è andato in punta di piedi Livio Macchia, il bassista baffuto dei Camaleonti, una figura iconica del Beat italiano.

Aveva 82 anni e fino all'ultimo si era esibito col suo gruppo in un applaudito concerto di piazza. Era pugliese ma a Milano aveva trovato la sua dimensione per diventare un musicista.

Ha trascorso una vita sul palco, da quando a metà degli anni Sessanta si unì a Tonino Cripezzi, Riki Maiocchi, Paolo De Ceglie e Gerry Manzoli per fondare i Camaleonti nel mitico locale Santa Tecla dove si erano conosciuti.

Un nome particolare, scelto perché erano capaci di cambiare pelle  suonando di tutto, qualsiasi genere musicale.

Ma loro amavano soprattutto il Beat, il genere che stava conquistando il mondo sulla scia della rivoluzione portata avanti dai Beatles.

Era il tempo dei Capelloni e dei complessi, come venivano chiamate le band che entusiasmavano la gioventù del Bel paese nelle discoteche.

Sha la la la il primo di una interminabile scia di successi come Chiedi chiedi, Mamma mia che Mogol e Battisti scrissero per loro o Applausi che Livio cantava rubando la scena a Tonino, il frontman del gruppo.

E ancora Io per lei con cui vinsero il Festivalbar, Eternità in coppia con la Vanoni a Sanremo che scalò le classiche come Viso d'angelo che trionfò al Disco per l'estate.

30 milioni di dischi in oltre 60 anni di carriera e tanta considerazione da parte del pubblico e della critica per il loro pop di qualità, mai banale e sempre coinvolgente.

Livio con gli anni era diventato il leader del gruppo, il depositario di quel sound e di quella esperienza meravigliosa che aveva accompagnato generazioni su generazioni.

Difendendo con tutte le sue forze l'originalità dei Camaleonti che lui peraltro aveva creato da tentativi di imitazione e polemiche pretestuose.

Ora ha concluso il suo cammino ma i brani che ha lanciato insieme agli altri capelloni che hanno condiviso con lui una storia indimenticabile, resteranno per sempre nella memoria di tutti. 

Canta, canta ancora...diceva Applausi,  la sua canzone, canta ancora Livio, con Tonino il tuo amico di sempre che ritroverai lassù. Gli Applausi ora sono tutti per per te....




domenica 20 luglio 2025

Aridatece Techetechetè

 di FRANCESCO TRONCARELLI 

È stata una sofferenza, un colpo basso che ha spazzato via certezze e affievolito passioni, un'avventura che per fortuna non avrà un seguito, che ha scombussolato il piacere di godersi in santa pace all'ora di cena quello che è stato definito "il miglior programma dell"estate".

Techetechetè torna alle origini, a sketch e canzoni riproposte senza soluzione di continuità e con un ritmo incalzante come è sempre stato e come avrebbe dovuto essere.  E soprattutto senza tante chiacchiere inutili che allungano il brodo.

Sì, rivedremo le scenette memorabili che hanno fatto la storia della Tv e che erano state messe all'indice, che erano sparite dalla riedizione mediatica. E anche se viste e riviste sembreranno nuove, tanta è la gioia per l'incubo che è terminato.

Sandra guarda languida Armando Francioli e gli fa piedino sotto il tavolo sulle note di "E io fra di voi" cantata da Aznavour mentre Raimondo è smarrito per quel menage a trois che sta nascendo. 

grandissimi

Aldo Fabrizi, Bice Valori, Ave Ninchi e Paolo Panelli elegantissimi e tirati a lucido ballano con mosse goffe ma irresistibili sulle note del tormentone degli anni 70 "Neanderthal man", nella sigla di Speciale per noi. Bentornati ragazzi.

"Aridatece Techetechetè" il grido lanciato dai social in rivolta e da chi per lavoro si occupa di critica televisiva. Una sollevazione popolare che ha sortito i suoi effetti. Un coro unanime che la dice lunga su come sia stato recepito il nuovo corso della trasmissione che gli ascolti hanno sonoramente bocciato.

Avevano trasformato il Juke-Box dei ricordi in un one man show, anzi in un one woman show di Bianca Guaccero in cui l'arrembante personaggio parla, straparla, ammicca verso il pubblico in cerca di complicità, sorride senza motivo e addirittura rifà il verso agli artisti proposti o imitandoli o dando la sua versione della canzone proposta. Neanche fosse una star acclamata e di lungo corso come la Goggi.

One woman show

Un protagonismo autoreferenziale e fuori luogo che non c'entra nulla col Techetechetè normale e applaudito da tutti. Quello che da quando venne lanciato da Michele Bovi ha sempre ottenuto consensi bipartizan e ascolti record.

Show "impreziosito" dalla presenza  di tal Dj Giovanni che metteva il braccetto sul 45 giri con il  piatto del giradischi immobile, sì non girava (ma il regista non se ne era mai accorto di questa buffonata?) e che nessuno sa da dove sia spuntato fuori e a quale titolo sia stato piazzato lì.

Techetechetè era un programma brioso e a tutto ritmo a costo zero. Quello visto in questi giorni è stato una lagna, pesante, lenta e "inguardabile" secondo uno dei giudizi più teneri che si possono recuperare sui social. 

Praticamente avevano abbandonato l'usato sicuro a favore del nuovo che avanza e che come è noto non è sempre sinonimo di miglioramento. Anzi.

la televisione

E tra l'altro non più a costo zero. Bastava dare un'occhiata alla fine del programma quando appare l'elenco di quelli che hanno collaborato alla sua messa in onda per capirlo, è un esercito. 

Dice ma la mossa di spostare  Techetechetè Top Ten (questo il nome della nuova versione criticata da tutti) dalla domenica, giorno a cui era destinato inizialmente, a tutta la settimana facendolo così diventare quotidiano è stata strategica.

Fatta per contrastare la discesa in campo di Gerry Scotti con La ruota della fortuna. Ah ah ah. Come se zio Gerry potesse temere qualcosa da Bianca Guaccero e le sue performance e da Dj Giovanni (Dj Giovanni!) che mette dischi con il giradischi che non funziona. E infatti ha vinto sempre la sfida. 

C'era una volta Techetechetè gallina dalle uova d'oro della Rai, poi lo hanno cambiato e hanno combinato una frittata. Pure indigesta. Chi ha tirato le fila del tutto però lo ha capito e stasera l'esperimento che sarebbe dovuto andare avanti se le cose andavano bene, termina. La ricreazione è finita. 

giovedì 17 luglio 2025

Addio Connie Francis

 di FRANCESCO TRONCARELLI

Con una diretta sui social il 9 giugno era stata premiata per il successo su Tiktok di "Pretty little baby" uno dei suoi storici cavalli di battaglia.

Una soddisfazione enorme per Connie Francis sapere che quel brano che aveva lanciato nel 1962 era (è) tornato d'attualità per essere stato utilizzato in 17 milioni di video, totalizzando più di 27 miliardi di visualizzazioni globali sull'app.

Una grandissima soddisfazione per una grandissima artista, l'ultima di una vita ricca di trionfii, premi e riconoscimenti vari prima che ci lasciasse in punta di piedi con 87 primavere sulle spalle.

A dare la notizia subito rilanciata dai siti americani, il suo manager Ron Roberts e tra i primi a dolersi per la sua scomparsa, l'intramontabile Neil Sedaka che deve proprio alla Francis l'avvio della sua carriera grazie al boom di "Stupid Cupid" (in Italia proposta da Peppino di Capri) che aveva scritto per lei.

 

Connie Francis, pseudonimo di Concetta Rosa Maria Franconero nata a Newark,nel New Yersey il 12 dicembre 1937 è ampiamente riconosciuta come la "Prima Regina del Rock & Roll" avendo venduto più di 100 milioni di dischi.

Fu la prima donna nella storia del pop a stelle e strisce a raggiungere il numero 1 nella classifica del Billboard Hot 100, con 53 hit certificate nel corso della sua carriera.

Nata in una famiglia di origine italiana (cattolica per parte di padre irpino, ebrea per parte di madre calabrese), la giovane Concetta imparò l'italiano e lo yiddish in parallelo all'inglese, sua lingua madre.

Tanti i suoi brani diventati successi internazionali, pezzi come "Who's Sorry Now", "Where the Boys Are", "Everybody's Somebody's Fool". Il grande lancio avvenne nel 1959, con "Stupid Cupid" che trent'anni dopo divenne nuovamente popolare per aver dato il titolo e la colonna sonora di sottofondo, ad uno sketch della serie Benny Hill Show.

Connie e Neil Sedaka

In Italia ebbe un momento magico di grande popolarità, l'unica donna fra tanti numeri uno americani come Paul Anka, Gene Pitney, Neil Sedaka e Pat Boone che erano stati "catapultati" dalla RCA statunitense nel Bel paese per mietere successi.

"Chitarra Romana" e "Jealous of You", versione in inglese del celebre "Il tango della gelosia" due dischi che fecero letteralmente il botto. Per avere un'idea del successo di vendita italiano di questi 45 giri che che raggiunsero la prima posizione a Hit parade per mantenerla per alcune settimane, è sufficente sapere che a distanza di oltre 60 anni se ne trova almeno una copia  nei mercatini dell'antiquariato in piazza. 

Numerosi suoi brani di successo vennero importati dagli USA, tradotti e da lei reinterpretati in lingua italiana, pezzi come "Someone Else's Boy" (Ti conquisterò), "Many Tears Ago", "Where the Boys Are" (Qualcuno mi aspetta), colonna sonora del suo film La spiaggia del desiderio, prima in Italia per cinque settimane, e "Fly Me to the Moon" (Portami con te). 

Il successo italiano è durato per quasi tutti gli anni Sessanta con brani come "Mamma", "Dammi la mano e corri", "Notti di Spagna", "Una notte così", "La paloma" fino a "Regent's Park" sigla dello sceneggiato televisivo Rai di grande successo Melissa con Rossano Brazzi, Turi Ferro e Laura Adani. 

Come tutti i big dell'epoca ha partecipato anche al Festival di Sanremo, nel 1965 con "Ho bisogno di vederti" cantata in abbinamento con Gigliola Cinquetti e nel 1967 con "Canta ragazzina" interpretata in coppia con Bobby Solo.

Sposata quattro volte, al centro di una vicenda che suscitò molto clamore e interesse negli Stati Uniti per essere stata oggetto di un'aggressione culminata in una violenza in un albergo (dalla causa risarcitoria vinta contro l'hotel scaturì una legge che riordinò la sicurezza negli alberghi), Connie tornò "da grande" a scuola di canto per aver perso la voce a seguito di un intervento al naso.

Connie, Dorelli, Ornella Vanoni, Sonny e Cher a Sanremo

Sul finire degli anni Ottanta era di nuovo sulle scene incidendo per la Malaco Records un doppio album di suoi successi reinterpretati e di alcuni classici degli anni d'oro intitolato "Where the Hits Are". Nel 1995 fu la volta dell'album "The Return Concert", un album live con le sue performance più recenti.

Si è esibita fino all'anno scorso con alcuni sold out al Castro Theatre di San Francisco, ed è apparsa a fianco di Dionne Warwick all'Hilton Hotel di Las Vegas nello spettacolo Eric Floyd's Grand Divas of Stage.

Viveva in Florida col suo cane Lexi e, sempre sorridente, elegantissima e con i capelli freschi di parrucchiere da vera star americana, manteneva i contatti con i fan attraverso la sua pagina Facebook. Ora di lei resteranno per sempre le sue canzoni appassionate e ritmate che l'avevano fatta diventare Connie Francis, la Regina di quella musica che aveva conquistato il mondo. 

sabato 28 giugno 2025

Peppino di Capri e i Beatles, la storia in una foto

 di FRANCESCO TRONCARELLI

Sono passati 60 anni da quando i Beatles si esibirono nel nostro paese, eppure quella tournée veramente memorabile suscita ancora emozioni e riserva continue sorprese. Il passaggio degli "Scarafaggi" in Italia ha lasciato tracce e documenti un po' ovunque, basta cercarli e soprattutto avere il fiuto del segugio.

I quattro ragazzi di Liverpool che stavano conquistando il mondo con la loro musica, arrivarono in Italia il 23 giugno del 65 per un tour che nonostante il disinteresse della Rai e di molti giornali, sarebbe entrato nella storia del Costume.

Molto si è detto di quei concerti tenuti a Milano, Genova e Roma, tanti ricordi e aneddoti sono stati riportati per raccontare quei giorni, ora a suscitare stupore ed interesse c'è una foto pescata in un mucchio di scatti dimenticati negli archivi della Pubblifoto, da Annamaria De Caroli, collezionista ed esperta dei Fab Four fra i più accreditati.

entusiasmo sugli spalti tra Peppino e i Beatles

E' una immagine per certi versi sorprendente, ritrae un gruppo di fan dei Fab Four presenti sugli spalti del velodromo Vigorelli, dove si tenne il loro primo concerto il 24 giugno.

I ragazzi hanno il cappellino della Coca Cola sponsor dell'evento, qualcuno tiene un cartellone inneggiante i Beatles e in primo piano si vede una giovane letteralmente in estasi per il concerto, che ha in mano una foto di Peppino di Capri. 

Incredibile, il commento di molti sui social nel vedere questa foto, incredibile ma vero, per dirla con il titolo di quella famosa rubrica della Settimana Enigmistica che trattava di casi e situazioni assolutamente vere nonostante le perplessità di chi leggeva.

la cortolina pubblicitaria

La foto è piu precisamente una di quelle cartoline pubblicitarie che all'epoca venivono distribuite (Cantagiro, locali, feste di piazza) per essere poi autografate dall'artista ritratto. Si vede Peppino davanti ad alcuni suoi 33 giri. 

Era stata realizzata dalla Carish, l'etichetta per la quale Peppino incideva i suoi brani e che distribuiva in Italia i 45 giri della Parlophone, la casa discografica dei Beatles che a sua volta aveva fatto la cartolina dei suoi artisti.

E' una semplice foto, seppur ostentata come un trofeo da quella teen ager, ma molto significativa  perchè unisce due mondi apparentemente lontani in realtà molto vicini musicalmente parlando seppur coi dovuti distinguo, come confermano la passione per la melodia napoletana di John e Paul, certe assonanze ritmiche, l'impasto delle voci nei cori e la cover, molto bella e riuscita, di "Girl" da parte del cantante napoletano.

Peppino e i suoi Rockers al Vigorelli

Lo stupore per la foto è stato tanto ed è comprensibile, è dovuto al fatto che molti conoscono il Peppino degli ultimi tempi, crooner impareggiabile e cantante confidenziale da night con brani come "Champagne" e "Un grande amore e nente più",

A qualcuno perciò quella foto in mano alla ragazza è sembrata una stonatura, ma così non era, perchè l'artista napoletano in quegli anni interpretava pezzi molto ritmati e non solo lenti da mattonella e per questo era stato chiamato da Leo Watcher l'organizzatore del tour, per far parte dei supporters dell'evento che dovevano "scaldare il pubblico".

I vari Guidone del clan Celentano col suo gruppo degli Amici, Angela pioniera del rock tricolore, i New Dada primo complesso beat milanese, i Giovani Giovani di Pino Donaggio, Fausto Leali non ancora espluso con "A chi" con i suoi Novelty, ma soprattutto lui, Peppino di Capri.

la pubblicità del concerto

Uno dei più popolari e applauditi cantanti di quegli anni con decine di successi alle spalle e milioni di dischi venduti, sicuramente il nome più famoso fra quelli che dovevano anticipare il concerto dei ragazzi di  Liverpool.

Non a caso solo lui ebbe il privilegio di essere citato nei manifesti che pubblicizzavano il tour e anche l'onore di essere l'ultimo a esibirsi con i suoi Rockers prima che George, Paul, John e Ringo salissero sul palco del Vigorelli e poi su quello del Palasport di Genova e del Teatro Adriano di Roma. 

E a conferma che la scelta di averlo in quel tour che ha fatto epoca e ha segnato il nostro costume fu indovinata e sicuramente giusta, c'è la foto della ragazza con Peppino in cartolina fra le mani che la dice lunga sulla sua presa sul pubblico accorso al velodromo milanese per acclamare i ragazzi di Liverpool.

Se fino ad oggi a testimonianza imperitura dell'esibizione di Peppino nel tour dei Beatles c'era la foto che lo ritrae nei camerini dell"Adriamo coi suoi Rockers insieme a Paul, John, Ringo e George che apre questo articolo, ora c'è anche questa straordinaria immagine della fan sugli spalti. Una foto per la storia.




venerdì 27 giugno 2025

I Beatles all'Adriano, ecco il filmato inedito

 di FRANCESCO TRONCARELLI

I Beatles in Italia, una tournée entrata nella leggenda, avvenuta nel 1965, esattamente 60 anni fa e svoltasi in tre tappe, Milano, Genova e Roma. 

Un avvenimento molto importante per la musica nel nostro Paese e per gli effetti che produsse nel Costume per la moda, le tendenze e i cambiamenti nei comportamenti giovanili.

C'è un filmato amatoriale in 8mm realizzato dal chitarrista Mario Cenci e dal fratello Gianni al Teatro Adriano di Roma il 27 e 28 giugno del 1965 che ha fissato alcuni momenti di quello storico evento.
 
Cenci faceva parte dei Rockers che accompagnavano Peppino di Capri nella esibizione che precedeva il complesso inglese, era il chitarrista del gruppo ed è stato l'autore dei grandi successi dell'artista napoletano.
 
 
È un documento eccezionale, anche se privo di sonoro come spesso accadeva a quei tempi per i filmini "familiari", in quanto non esistono riprese ufficiali da parte della RAI per servizi giornalistici dedicati a questo concerto.

E non ci sono neanche quelle dei Cinegiornali allora molto in voga e che venivano trasmessi nelle sale cinematografiche prima della proiezione dei film.
 
Il video ha una qualità sorprendente nel colore e nella ripresa stessa che riesce comunque a rendere l'idea del concerto e dell'atmosfera che si viveva. 
 
Nella versione che mostriamo, abbiamo aggiunto come colonna sonora di sottofondo, alcuni brani che furono eseguiti quel giorno e che fanno parte della scaletta preparata dagli artisti.

Peppino di Capri con Mario Cenci e Gabriele Varano  
Per chi poi non conosce la carriera di Peppino di Capri, il video è anche una piacevole sorpresa, perchè lo vede all'opera col suo gruppo in una performance sul palco molto coinvolgente, lontana anni luce dall'immagine consolidata negli ultimi anni come crooner. 
 
Il filmato che pubblichiamo si divide in due parti. La prima vede l'artista napoletano con la inconfondibile giacca di lamè, esibirsi sul palco del teatro di piazza Cavour insieme ai suoi Rockers.

Nella seconda ovviamente ci sono i protagonisti della storica tournée, Paul, George, Ringo alla batteria e John col famoso berretto "alla Beatles" che diventerà di moda per tutti i capelloni del mondo.
 
Per avere una visione ottimale del filmato realizzato, sia per quanto riguarda le riprese storiche in sé che per la parte musicale aggiunta, è preferibile l'uso del computer o del tablet.

   


martedì 24 giugno 2025

60 anni fa i Beatles in Italia, un evento memorabile


di FRANCESCO TRONCARELLI
     
Giugno 1965, i Beatles in Italia. E fu subito delirio. Una tournèe concentrata in tre tappe: il 24 a Milano il 26 a Genova e il 27 e 28 a Roma. Esibizioni pomeridiane e serali in ognuna delle città di appena mezz’ora ciascuna (niente a che fare con i concerti attuali di 2/3 ore delle rockstar), con il meglio del loro repertorio live di quel momento.

Un evento per quei tempi in cui la nostra scena musicale era dominata dai vari Morandi, Celentano, Pavone, Mina, Bobby Solo e Little Tony ovvero le nuove leve della musica leggera tricolore e da stranieri come Paul Anka, Petula Clark, Adamo e Richard Antony che esportavano nel Belpaese i loro successi in italiano.

Loro, i quattro ragazzi di Liverpool, erano la novità che stava entusiasmando il mondo, erano quelli che stavano rivoluzionando la musica, il costume e la moda e che stavano scuotendo i giovani dal tran tran borghese. Erano i “capelloni” con gli stivaletti e i completi attillati e le camicie coi collettoni. Erano i Beatles che stavano sbarcando con le loro chitarre nella Penisola per la gioia di chi li seguiva.

Uno sbarco peraltro snobbato dalla stampa italiana. I Fab Four erano visti principalmente come fenomeno di moda che prima o poi sarebbe passato, di loro si parlava in pezzi di colore (“Arrivano gli scarafaggi”, ecc.), puntando molto sul calore dei fan più che sulle loro proposte artistiche

Se non fosse stato per quei due o tre settimanali specializzati (“Big”, Ciao Amici”) che si occupavano di giovani e musica, il loro tour in Italia sarebbe passato quasi inosservato come conferma l’assenza di riprese dell’avvenimento da parte della Rai. Musicalmente parlando del resto, eravamo una provincia dell’impero e l’eco dei trionfi internazionali, arrivava da noi filtrato.



Il tour
Ecco perché i numeri della tournèe organizzata dall’impresario Leo Watcher (nella foto) e presentata dai volti televisivi Lucio Flauto e Rossella Como, ci dicono di un’accoglienza tiepida, perché non si era attivata la grancassa mediatica. A Milano i Beatles suonarono al velodromo Vigorelli complessivamente per 26 mila persone: 7 mila il pomeriggio e 19 mila la sera, ben lontani dal tutto esaurito. 

A Genova per 3500 paganti alle 16 e 30 e 15 mila alle 21 e 30 in un Palasport dove la capienza massima era di 25 mila. A tenere lontano il pubblico a Roma, ci pensò invece il costo del biglietto, 5mila lire (un giornale costava 50 lire, un caffè 60 e un disco 600 lire), che verrà ribassato il giorno successivo senza che la mossa riesca a però a riempire il Cinema Adriano (capienza 3 mila posti).

I Fan

Quelli che c’erano però si facevano sentire, eccome: «Strillano le ragazzine, dimenandosi come ossessi. Tutti in piedi sulle sedie. È un crescendo che mette i brividi. La polizia fa cordone, accorre dove può, calma, minaccia, picchia. Tre ragazzine fanno a pezzi una fotografia dei ragazzi di Liverpool, ne ingoiano i frammenti. Una, lassù, è colpita dalla tarantola. Si grida, si balla e si grida. L’eccitazione sale e diventa follia collettiva: ammaccatura, bailamme, stordimento, convulsioni. Un gruppo di giovani si strappa la camicia di dosso. Una biondina si rotola su se stessa. Tutti scuotono la testa, agitano fazzoletti, battono le mani. Il fanatismo ha toccato vertici indescrivibili. Le più giovani hanno invocato il nome di Paul, il bellino. Una, in maglietta nera, è stata portata via perché in preda a crisi isterica. Moltissimi ragazzi si sono svestiti delle magliette per adoperarle a mulinello in segno di saluto agli idoli» scrive il 25 giugno 1965 sul Corriere della Sera Alfonso Madeo a commento dell’esibizione al Vigorelli.


La Beatlemania
Scene di fanatismo e grande eccitazione dunque, forse un po’ per imitazione di quello che succedeva dovunque si esibisse il complesso, così come era accaduto negli Usa dopo l’apparizione all’Ed Sullivan Show nei successivi concerti negli stadi del baseball. Nel 1965 infatti siamo in piena beatlemania. Paul, John, George e Ringo hanno alle spalle già nove 45 giri al primo posto in classifica e 4 album (“Please please me”, “With the Beatles”, “A hard day’s night” e “Beatles for sale”) che avevano fruttato 20milioni di dischi venduti e hanno girato anche un film “A hard day’s night” in Italia “Tutti per uno”. Senza contare poi che esattamente 10 giorni prima dell’esibizione al Vigorelli, il 14 giugno, i quattro avevano inciso nello studio di Abbey Road, la versione definitiva di “Yesterday”, un capolavoro assoluto della musica che avrebbe dato una svolta alla loro produzione beat.

Dicevano di loro
Pier Paolo Pasolini: «Non mi so spiegare il successo dei Beatles, questi quattro giovanotti completamente privi di fascino che suonano una musica bellina». Franca Valeri: “Per me il trionfo dei Beatles è un mistero, sebbene sia convinta che chi riesce ad emergere deve avere le carte in regola per farlo». Milva: «Non riesco a rendermi conto della loro bravura, eppure c’è gente che impazzisce per loro». Strehler: «Questi Beatles non mi dicono molto, ma ci deve essere una ragione se vanno tanto forte». Little Tony: “All’inizio della strada trionfale percorsa dai Beatles c’è un segreto di tempestività. Hanno imposto la moda del gruppo mentre in Inghilterra era in declino l’interesse per il cantante solista. Poi hanno il dono di un ritmo istintivo, inconfondibile. Hanno dato a moltissimi giovani il pretesto per scatenarsi, rompendo pregiudizi e veti di costume”.


La musica di quei giorni: Hit Parade del 26 giugno 1965

1) “Ciao ciao”  Petula Clark

2) “Il silenzio”   Ninì Rosso

3) “Il mondo”  Jimmy Fontana

4) “Quello sbagliato”  Bobby Solo

5) “Un anno d’amore”  Mina

6) “Piangi”  Richard Anthony

7) “Se non avessi più te”  Gianni Morandi

8) “La casa del sole”  Los Marcellos Ferial

9) “La verità”  Paul Anka

10) “La notte”  Adamo

I Supporters
Il concerto si componeva di due momenti principali: nel primo si esibivano complessi musicali e cantanti che dovevano fare da spalla all’evento scaldando il pubblico, nel secondo i Beatles. Fra i supporters della prima parte c’erano gli urlatori del rock Guidone e Angela coi rispettivi gruppi, Le Ombre di Alfonso Righetti (con un giovane Gil Ventura al sax), i milanesi New Dada guidati da Maurizio Arcieri in cerca di affermazione, Fausto Leali e i Novelty non ancora esploso col successo “A chi” ma già rampante con le cover italiane degli “scarafaggi”, i Giovani Giovani che di solito accompagnavano Pino Donaggio e soprattutto Peppino Di Capri accompagnato dal suo gruppo i Rockers, che fra tutti era quello più conosciuto e popolare. 

Le foto del concerto al Vigorelli




I brani in scaletta


“Twist And Shout”

“She's A Woman”

“I'm A Loser”

“Can't Buy Me Love”

“Baby's In Black”

“I Wanna Be Your Man”

“A Hand Day's Night”

“Everybody's Trying To Be My Baby”

“Rock And Roll Music”

“I Feel Fine”

“Ticket To Ride”

“Long Tall Sally”.

Tutte le canzoni furono introdotte da Paul con qualche parola d’italiano. Al termine dell’ultima esibizione al Cinema Adriano di Roma, presenti in platea la Magnani, Giorgio Albertazzi, Luchino Visconti, Catherine Spaak, Gianni  Minà e Gianni Bisiach, un fan salì sul palco per rubare il berretto con la visiera di John e Ringo lanciò verso il pubblico le bacchette della batteria. Nei giorni successivi e soprattutto negli anni a venire mezza Roma racconterà di avere a casa le bacchette di Ringo di quella serata anche se erano solo due e l’altra mezza di essere stata al “mitico concerto dei Beatles”, anche se ci andarono solo poche migliaia di persone.  






giovedì 5 giugno 2025

Addio Enzo Staiola

 di FRANCESCO TRONCARELLI

Lo potevi incontrare al baretto della Garbatella, il suo quartiere e lo riconoscevi subito, perché nonostante fossero passati tanti anni, aveva sempre quello sguardo dolce che ispirava serenità e quegli occhioni azzurri che avevano conquistato il mondo.

Enzo Staiola che ci ha lasciato dopo una breve malattia, aveva esordito a 9 anni in "Ladri di biciclette" il capolavoro di Vittorio De Sica, divenendo cosi il più famoso bambino-attore del cinema italiano per la straordinaria sensibilità con cui aveva dato vita al personaggio di Bruno, il figlio del protagonista, l'operaio Ricci interpretato da Lamberto Maggiorani. 

Lasciandosi guidare da De Sica con estrema bravura, il piccolo Enzo divenne una specie di "manifesto" vivente del neorealismo italiano, un protagonista assoluto grazie alla sua umanità veramente notevole e spontanea.  

la bicicletta tanto agognata

La sua faccia da bambino triste col naso a patata era finita addirittura in un francobollo nel 1988, ma nella storia del cinema c’era già da un pezzo per quell'interpretazione che trasudava innocenza, dignità e amore filiale.

«Eravamo cinque fratelli, tre maschi e due femmine. Abitavamo insieme ai nostri genitori in un piccolo appartamento di due stanze nel quartiere San Giovanni» aveva raccontato Staiola. "Mamma Rosa aveva un banco di frutta vicino al Colosseo, mentre mio padre Otello vendeva fiori". 

il francobollo

De Sica lo notò per strada mentre era in macchina, per come camminava ciondoloni: "Stavo tornando da scuola e a un certo momento mi accorgo che una grande auto mi seguiva a passo d’uomo. Poi scende questo signore coi capelli grigi, tutto vestito bene, e mi chiede: “Come ti chiami?”, e io zitto. E lui “Ma non parli?”,“Non mi va di parlare”, risposi. Mia madre mi diceva sempre di non dare confidenza se qualcuno ci fermava. C'era stata la storia di Girolimoni, accusato ingiustamente di rapire i bambini".

De Sica però non si scoraggiò e lo seguì fino a casa e lì ovviamente venne riconosciuto dai genitori. Alla fine venne firmato un contratto che proponeva 300 mila lire per due mesi. Per allora una cifra esagerata a cui non si poteva dire di no 

sul set con De Sica

Sul set De Sica era severo con Enzo, a volte usava modi bruschi probabilmente per avere qualcosa in più nel film a livello di recitazione. Lo stesso regista premiato con l'Oscar per questo film, raccontò che per fare piangere in maniera così naturale il piccolo Staiola, gli aveva messo delle cicche nelle tasche dandogli del “ciccarolo” e del bugiardo.

"Ladri di biciclette" sceneggiato da quel poeta di Cesare Zavattini, ebbe un successo enorme e Staiola continuò a lavorare nel Cinema partecipando a una ventina di film, lavorando anche insieme ad attori del calibro di Humprey Bogart e Ava Gardner come fu nel film "La contessa scalza" ma tutte le pellicole a cui prese parte le interpretò in quanto bambino e poi ragazzetto, senza avere la possibilità da parte dei registi di crescere nei ruoli e così diventare attore professionista.

Enzo Staiola e Lamberto Maggiorani

Passato così il magic moment con gli studi di Cinecittà si diplomò all'Istituto Tecnico, e dopo qualche supplenza come docente di matematica preferì la solidità di un posto fisso al Catasto alle lusinghe del set, senza rimpianti e nostalgie particolari da buon romano fatalista quale era. Gli piaceva molto il calcio e tifava Lazio e nel tempo libero faceva l’allenatore di alcune squadre amatoriali della Garbatella. 

Enzo Staiola aveva 85 anni ed era l'ultimo protagonista ancora in vita del Neorealismo, quel movimento culturale e artistico che aveva caratterizzato il nostro cinema nel dopoguerra e influenzato quello internazionale.

Il suo Bruno in lacrime per le tristi e drammatiche vicende del padre in quel film considerato uno dei film più importanti del Ventesimo Secolo, aveva commosso milioni di spettatori, ora quel dispiacere si rinnova e la parola "FINE" nei titoli di coda della sua esistenza chiude un'epoca indimenticabile che grazie alla magia del cinema vivrà per sempre. 

indimenticabile Enzo


 

domenica 25 maggio 2025

Lazio, tutti a casa. Le Pagelliadi

 di FRANCESCO TRONCARELLI

6+ a Pedro Pedro Pedro Pè - La Lazio è fuori da tutto. Cercava, a parole, un posto al sole, ha trovato con il suo menefreghismo e la scarsa applicazione il buio assoluto. Altro che Europa siamo al terzo mondo del calcio. Che pena, che tristezza, che figura. Un'altra sconfitta in casa nella partita in cui doveva dare il fritto. E abbiamo giocato pure in superiorità numerica. Ma questa squadra non ha nerbo nè dignità. È andata peggio di come si potesse immaginare. Si salva il meglio di Santa Fè ma è una magra consolazione. Meno male che il campionato è finito perché siamo veramente allo sbando. Tutti a casa...

6 a Patrizia Pellegrini - Anche sto giro ha dato quello che poteva. Ma il problema è che il mister non lo ha mai visto. Pensa un po'. 

5 e mezzo a miei cari amici Vecino e lontani -  Poteva dare una mano per recuperare la partita ma si è ritrovato in mezzo a una manica di sfigati che lo hanno bloccato in tutti i sensi. Che fine.  

5 e mezzo a che Dio ce la Mandas buona - Ultimamente non è stato più decisivo. Tanto valeva mettere in porta il padre Rosario Di Vincenzo.

5+ a Castellano e Pipolo - Due gran colpi di testa. Il problema è che ne puoi fare anche dieci di colpi di testa ma poi almeno uno deve entrare. Non è il suo caso.

5- a Hysaj che i papaveri - È il quarto mistero di Fatima, nessuno sa perché giochi. Neanche lui.

5- Guendovunque - se anche un gladiatore come lui non coglie l'attimo (vedi la loro rete) vuol dire che è proprio finita.

5- a Rovella per chi non si accontenta - Lo abbiamo già detto e lo ribadiamo, je manca sempre un sordo pe fa na lira, come si dice a Roma. Nulla altro da aggiungere. 

5- - a Viale dei Romagnoli, 13 Ostia - Coinvolto suo malgrado nel naufragio generale. Il rosso premia la sua prestazione negativa.

5- - a Benigno Zaccagnini - Ei fu. 

5- - a Dio perdona pure Dia - Come il programma di Gigi Marzullo. Inutile.

5- - a Gila il mondo gila (Jimmy Fontana, Cantagiro 1965) - Maniscalco dal volto umano ha perso come un Riccardo Rossi qualsiasi la palla che ha favorito il contropiede salentino. Una cappellata che neanche in terza categoria. Tristezza.

5- - a senti che musica coi Tavares - C'era una volta la freccia biancazzurra, Roma-Milano in un'ora scarsa saltando i passaggi a livello. Una volta. Adesso con un solo cross in 90 minuti più recupero è come se si fosse fermato su un binario morto.

5- - a Somarusic - Nè carne ne pesce. Nè.

4 a Pighin-Sanguin-Noslin - Fortemente voluto da Ricky Tognazzi Baroni . Ah ah ah.

4 a Lisasken dagli occhi blu - Quando l'hanno inquadrato in primo piano ha fatto tenerezza. Occhi spenti, espressione  svagata, più magro del solito, sembrava uscito da un riformatorio. Ha dato molto nella prima parte del torneo poi si è avvitato su se stesso. Manco fosse Holly che dopo Sanremo è sparito dalle scene. Una promessa rimasta tale. Come questa Lazio. Sipario.



martedì 20 maggio 2025

Addio Nino Benvenuti

 di FRANCESCO TRONCARELLI

È morto a Roma, all'età di 87 anni, Nino Benvenuti, icona del pugilato italiano e mondiale. Era malato da tempo. Nato a Isola d'Istria il 26 aprile 1938, Benvenuti è stato campione olimpico dei pesi welter nei Giochi Olimpici di Roma 1960, campione mondiale dei pesi superwelter tra il 1965 e il 1966, campione europeo dei pesi medi tra il 1965 e il 1967, campione mondiale dei pesi medi tra il 1967 e il 1970. 

Nel 1968 aveva vinto il prestigioso premio di Fighter of the year e nel 1992 è stato inserito nella International Boxing Hall of Fame, primo italiano a ricevere entrambi i riconoscimenti. Leggendari i suoi combattimenti con Emile Griffith che fecero la storia non solo dello sport ma anche della società dell'Italia di quei tempi. Come furono epiche le sfide con Sandro Mazzinghi, suo rivale storico.  Ottantadue vittorie (35 per KO), un pareggio e sette sconfitte fra cui quelle con Monzon a cui cedette il titolo, il bilancio della sua carriera.

"Sei entrato nell'Olimpo e hai dominato sul ring diventando un'icona senza tempo. Hai conquistato il Mondo, vincendo i Giochi di Roma '60 e poi i titoli iridati, regalando al pugilato e a tutto lo sport italiano un esempio sinonimo di orgoglio": così sui suoi profili social il presidenbte del Coni, Giovanni Malagò ha ricordato il campione triestino. "Ciao Nino. Le tue gesta, il tuo sorriso, la tua classe rimarranno un marchio di fabbrica intramontabile. Sei stato un campione straordinario, rimarrai una leggenda, un Mito per sempre".

Sì un vero mito, orgoglioso delle sue radici istriane,  un simbolo dello sport italiano non solo per i grandi risultati raggiunti ma anche per la sua dirittura morale ed etica, un atleta che non mai fatto una polemica nè un commento negativo verso un rivale ma che ha trasmesso solo positività a tutti i livelli, un esempio da seguire per la dedizione totale alla Noble art.

Ne è la testimonianza l'incontro entrato nella leggenda con Griffith, un duello fra campioni all’ultimo colpo, una delle pagine di sport più avvincenti che è rimasta nell’immaginario collettivo e ha segnato un’epoca, ma anche una bella storia di amicizia fra due uomini di sport al di là della rivalità che un tempo li aveva messi l’uno contro l’altro.

Si svolse il 17 aprile 1967 al Madison Square Garden di New York per la corona mondiale dei Medi e fu uno scontro epico. All’ultimo jab che consacrò il pugile istriano che nella velocità, classe e tecnica aveva le sue doti migliori, come uno dei boxeur più grandi di sempre e come uno degli atleti più amati dagli italiani.     

Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma del 60, già detentore del titolo mondiale dei Medi junior dopo le drammatiche ed emozionanti “battaglie” col rivale storico Sandro Mazzinhgi, Benvenuti lanciando la sfida a Griffith, e soprattutto vincendola contro tutti i pronostici della vigilia, vide aumentare la sua popolarità enormemente, diventando un idolo sportivo nazionale, secondo italiano dopo il mitico Carnera a conquistare un titolo mondiale negli Stati Uniti. Una vera e propria impresa.

E che impresa. Griffith, il detentore, nativo delle Isole Vergini ma americano a tutti gli effetti, aveva fama dell’invincibile e del picchiatore. Era considerato il pugile del momento dopo Muhammad Ali. Cinque anni prima aveva affrontato il cubano Benny Paret, che prima del match durante le operazioni di peso, gli aveva dato del «maricon», epiteto gergale e offensivo per deridere la sua omosessualità non dichiarata. La sfida si trasformò in mattanza, Paret crollò sotto i colpi feroci del campione, andò in coma e morì dieci giorni dopo.

Nessuno in America accredita lo sfidante Benvenuti come vincitore, gli addetti ai lavori lo snobbano, qualcuno lo schernisce definendolo un pugile dalla lingua lunga e quindi un fanfarone, lo stesso suo arrivo passa inosservato, non ci sono cronisti ad attenderlo quando sbarca dal volo Alitalia proveniente da Roma all’aeroporto Fiorello La guardia di New York come di solito si usa. Tutti però si dovranno ricredere di lì a poco.

il duello con Griffith


Quando Benvenuti e Griffith salgono sul quadrato del Madison davanti a 15 mila spettatori tra cui a bordo ring personaggi come Sugar Ray Robinson, Jack La Motta, Frank Sinatra e i nostri Enrico Maria Salerno e Milva arrivati con altri 500 connazionali per sostenere Nino, a New York solo le 22, in Italia le 4 di notte.

L’attesa per la sfida da noi è alle stelle, la Rai però non fa la diretta seguendo le indicazioni venute dall’alto, da parte del Governo presieduto allora da Aldo Moro si disse dopo, perchè non si voleva turbare il sonno degli italiani che il giorno dopo sarebbero dovuti andare a lavorare.

Precauzione inutile, 18 milioni di connazionali (solamente Italia-Germania ha registrato un numero simile) mettono la sveglia alle 4 per seguire l'evento alla radio grazie alla cronaca di Paolo Valenti. Il Paese intero vive così in diretta, incollato ai transistor, il saliscendi di emozioni di quello “scontro” sulla carta (stampata a stelle e strisce) impari. Con Nino insomma c’è anche l’Italia che sale sul ring.

Inizia il match, i due si studiano, Benvenuti sfrutta l’allungo, Griffith la corta distanza. Al 2° round Griffith va al tappeto, al 4° tocca a Benvenuti. I due se le danno di santa ragione, elegante e  preciso nei colpi Nino, potente e aggressivo Emile. Si arriva alla 12ma ripresa, Griffith è stanco, Benvenuti prende il sopravvento, il suo rivale barcolla. Gli ultimi round sono un delirio di pugni sino al gong finale, è fatta. E stata una gara di resistenza e attacco da parte dello sfidante, e così i giudici danno 10 riprese su 15 a Nino, è un trionfo. L'Italia vede l'alba col titolo di campione del mondo, Benvenuti entra nella leggenda e al ritorno sarà accolto come un eroe.

«La storia del costume italiano si è arricchita di una pagina densa di significato: nel cuore della notte, in ogni città come nei borghi più sperduti, migliaia e migliaia di persone hanno interrotto il sonno per seguire trepidanti, attraverso la radio, l’impresa sportiva di un giovanotto di Trieste che, a settemila chilometri di distanza, nella più famosa e temuta arena pugilistica del mondo, s’apprestava a vivere un’affascinante avventura».

Così Gino Palumbo futuro direttore della Gazzetta, racconta l’indomani sul “Corsera” quello che successe quella notte indimenticabile rendendo perfettamente l’idea della carica emotiva con cui un’ intera nazione visse quell’evento sportivo che avrebbe poi visto solamente la sera in televisione in differita, con il commento competente e appassionato di Paolo Rosi, la “voce” del pugilato.

Al match del Madison ne seguirono altri due, sempre a New York, completando un trittico tra i più famosi nella storia del pugilato. Nel secondo combattimento che si svolse allo Shea Stadium il 29 settembre successivo Griffith si prese la rivincita conquistando il verdetto ai punti, nel terzo, la bella, che fu proposta il 4 marzo 68 nel nuovo Madison, Nino si riprese la corona dei Medi battendo il rivale sempre ai punti, ma con margine minimo.

Dopo 45 round complessivi, il duello ricco di colpi puliti e mai proibiti, da campioni veri, aveva espresso un vincitore incontrastato, Nino Benvenuti, 29 anni, istriano di nascita, triestino d’adozione, italiano applaudito ovunque.

Ma la vicenda sportiva fra i due contendenti ebbe un’appendice che durò molto di più rispetto a quei match e che li vide passare dal ruolo di acerrimi nemici a quello più sorprendente considerato  ciò che c’era stato fra loro, di amici sinceri. I due infatti rimasero sempre in contatto negli anni successivi, ritrovandosi spesso (Emile è stato padrino di Cresima di uno dei figli di Benvenuti) e dando vita a un rapporto incentrato sulla stima reciproca che ebbe il momento più importante quando Griffith facendo coming out, destò scandalo nel mondo della boxe mettendosi tutti conto.

Senza pensarci un attimo, Nino si schierò al suo fianco. Poi, quando Griffith colpito da demenza pugilistica e con un conto in banca vicino allo zero, cominciò a perdere colpi fisicamente, corse in suo aiuto, organizzando una raccolta di fondi necessari alle cure e continuando ad interessarsi a lui fino alla sua morte avvenuta nel 2013.

Ora lassù, nel paradiso dei pugili, Nino ritroverà Griffith e anche l'amico-nemico Mazzinghi per degli incontri che non saranno più a base di pugni ma di sorrisi e sentimenti di vera amicizia: Per l'eternità.

Nino bacia la salma di Mazzinghi


domenica 18 maggio 2025

Pedro santo subito. Le Pagelliadi

 di FRANCESCO TRONCARELLI

9 a Pedro Pedro Pedro Pè - La Lazio ha giocato una grande partita e fermato l'Inter dei campioni. Ha giocato al limite delle sue possibilità cercando di ovviare i limiti tecnici dei suoi uomini con tanta grinta e buona volontà. E non è un caso che la riscossa sia stata suonata dal meglio di Santa Fè che ha ripreso due volte i nerazzurri. È la conferma che la differenza la fanno i migliori, i fuoriclasse, i campioni, e che se vuoi centrare un obiettivo importante lo fai solo con gente di livello non con scommesse o giovani "prospetti" . Santo subito Pedro. E avanti Lazio fino alla fine.

7 a Guendo è bello esse laziali - Guendovunque non ha paura di nessuno e lo trovi dappertutto. Ma è solo, questa è la realtà.

6 e mezzo a miei cari amici Vecino e lontani -  Un combattente. Ne ha viste e fatte più lui di Salvini e Vannacci messi insieme. Sino alla fine ha trascinato la squadra è suonato la carica. Daje.

6+ a Rovella per chi non si accontenta - Gli manca sempre un soldo pe fa na lira. Quando ce l'avrà saremo milionari.

6+ a Gila il mondo gila (Jimmy Fontana, Cantagiro 1965) - Tra i pochi a lottare e dare il fritto. Peccato che l'olio messo dai compagni di merende fosse bruciato.

6+ a Viale dei Romagnoli, 13 Ostia - Al di là della partita, applausi perché gliene ha dette quattro ad Antonio Elia Acerbis (vedi collezione Pagelliadi), per gli amici "Riderà". 

6 a Castellano e Pipolo - Come il programma di Gigi Marzullo. Da sonno. Poi si è svegliato e ha scodellato l'assist per il collega di reparto. Ma è stato come parlare a un albero. Il rigore procurato lo assolve da ogni peccato senza bisogno di ricorrere al Papa.

6- a che Dio ce la Mandas buona - Il secondo gol che ha preso parando con le mani aperte è la conferma che anche lui è un uomo come tutti noi, che può sbagliare sul posto di lavoro come tutti gli esseri umani. Del resto il padre, Rosario Di Vincenzo, di sbagli ne faceva, per cui tutto resta in famiglia. Di padre in figlio. 

5 e mezzo a Hysaj che i papaveri - Sicuramente meglio di chi ha sostituito, il problema è che è scarso di suo. 

5 a Dio perdona pure Dia - L'uomo in meno. Come Amadeus per 9 che non ne azzecca una è fa un flop dopo l'altro. Il gol che ha mancato a venti minuti dalla fine è la fotografia del suo campionato giocato all'insegna del vorrei ma non posso.

5- a senti che musica coi Tavares - È partito in quarta è finito in folle. La freccia biancazzurra doveva arrivare al mare si è fermata a Vitinia in mezzo alla campagna come un locale qualsiasi. Tristezza.

5- a Somarusic - Avete presente Gabry Ponte all'Eurovision? Uguale. Era mejo se non c'annava. 

5- -  a Lisasken dagli occhi blu - Ha avuto sui piedi l'occasione per passare alla storia. Se l'è xaxata come un dilettante allo sbaraglio. Si è fatto ipnotizzare manco Sommer fosse Silvan. O forse è proprio lui che è un pollo tout court. Amadori non a caso gli ha messo gli occhi addosso. Sipario. 

venerdì 16 maggio 2025

Storie di tifo e di bomber

 di FRANCESCO TRONCARELLI

14 Novembre 1971, si gioca Lazio - Palermo e decidiamo di portare lo striscione dei Commandos Monteverde allo stadio. È il debutto del gruppo che ho fondato insieme a Gino e Luciano nel nostro quartiere in un momento difficile per la prima squadra della Capitale. 

La Lazio è in serie B e perciò vogliamo essere vicini ai ragazzi guidati dal nuovo allenatore Tommaso Maestrelli. Lo striscione è enorme e il più lungo di tutti coi suoi 22 metri, lo posizioniamo nella parte bassa della Curva. 

Attenzione, nella Cuva Sud, dove in quegli anni si riunivano i tifosi più caldi di entrambe le squadre cittadine per via della vicinanza al sottopassaggio da dove uscivano i giocatori per andare sul campo. La Sud insomma, e più precisamente il suo lato verso la Monte Mario, era quindi il posto ideale per far sentire il tifo e gli incoraggiamenti alla squadra. 

Luciano

La Curva di quegli anni era popolata da tifosi ruspanti che davano comunque tutto. Capello il playboy, primo a portare le ragazze allo stadio, il Sardo cugino del bandito Graziano Mesina, i fratelli Cavallo, chiamati così per il volto molto lungo, Olio, perchè aveva i capelli unti, Fascination, perché nonostante gli occhi strabici andava a Fontana di Trevi per rimorchiare le turiste e Luciano che cantava "Marina" in piedi sul Muretto dopo essersi scolato un fiasco di vino.

Un'umanità incredibile e affascinate per noi ragazzini che andavano allo stadio per portare una ventata di freschezza e organizzazione a quel tifo che viveva di tanta caciara e nessun coordinamento. Ma non era facile non tanto perché eravamo gli ultimi arrivati ma perchè c'era proprio una mentalità diversa nel modo di tifare. Molto casareccia.

Troja il primo in piedi, Ferrari il penultimo tra Reja e Landini

Nel Palermo il centravanti si chiamava Troja ed era il più temuto degli avversari, un attaccante di razza col vizio del gol. Quando i rosanero entrarono in campo per il riscaldamento, dalla Sud iniziarono a strillargli di tutto. Epiteti irripetibili che sfruttavano il doppio senso legato al cognome. Una vera ondata di fango composta da tutti i sinonimi che quel cognome evocava.

Troja che da quando era nato aveva subìto sfottò per motivi facilmente intuibili e che si diceva avesse cambiato la "i" in una "j" nel cognome per evitare l'accento che avrebbe ricondotto al mestiere più antico del mondo, si voltò verso la Sud e fece il segno 2 con le dita, come dire ve ne faccio due, alimentando così ulteriormente quel bullismo vocale nei suoi confronti e scatenando il putiferio. 

La sua partita però andò diversamente, "il Re di Palermo" come lo definiva la stampa siciliana, prese poche palle, marcato stretto come era da Facco in prima battuta e Wilson a seguire. Niente gol, in compenso a farne due fu Enzo Ferrari l'altro attaccante palermitano, un ala dal tiro potente passata alla storia del Calcio per aver segnato un gol alla Roma da 77 metri. 

Il gol segnato da Chinaglia

Per la Lazio segnarono Peppiniello Massa e Giorgio Chinaglia, il nostro idolo, che con quel gol fu come se avesse inaugurato lo striscione del CML destinato a fare la storia del tifo laziale. Finì cosi 2 a 2, un pareggio pirotecnico, tra parolacce, boati e gol di bomber di una volta, quelli detti "di sfondamento", tenaci, travolgenti e con la castagna nel piede.

Come Enzo Ferrari, razza Piave, il vendicatore di Tanino Troja, che dopo aver riportato il Palermo in serie A quell'anno a suon di reti e giocato in vari club iniziò un'onorata carriera da mister culminata nell'allenare l'Udinese di Zico. 

Ferrari ci ha lasciato alcuni gioni fa a 81 anni. Ora ritroverà lassù l'amico Troja per scontrarsi con Facco e Wilson nel paradiso dei calciatori. Ma non ci sarà nessuno che li insulterà, solo applausi per quei bomber di un calcio in bianco e nero a misura d'uomo e non di sponsor che faceva sognare a colori. Meglio tardi che mai.

lunedì 12 maggio 2025

Lazio, scudetto del 74: ecco il video inedito

 di FRANCESCO TRONCARELLI

Emozionarsi per un film, per una pellicola particolare, per un video che racconta una giornata speciale vissuta all'Olimpico da un popolo in festa per un sogno diventato realtà. Una chicca straordinaria che ti rimanda a un mondo che non c'è più ma che è stato bello vivere quando la Lazio era una grande famiglia ed era vissuto dalle famiglie intere.

Genitori, figli e nonni tutti insieme appassionatamente per tifare i colori biancocelesti e vederli vincere grazie alla banda Maestrelli. Tutto questo è in un filmino amatoriale girato il 12 maggio del 1974, una data storica per chi ha la Prima squadra della Capitale nel cuore, quella del giorno in cui il sodalizio che ha portato il calcio a Roma vinse il primo scudetto della sua storia.

E' un superotto a colori che racconta quel famoso Lazio-Foggia cogli occhi di una famiglia di laziali come tante, che quella domenica di maggio partecipò a un evento memorabile. Un evento che coinvolse 83mila e rotti presenti paganti, record ineguagliato nella storia delle partite giocate all'Olimpico da sempre.

Immagini riprese alla buona, con una di quelle cineprese che in quel periodo si usavano per le occasioni speciali (matrimoni, comunioni, vacanze, gite), ma proprio per questo sono immagini eccezionali, perchè sanno di amore, di passione, di tifo spontaneo e casareccio, di quando il calcio era a misura d'uomo e non di sponsor, quando si andava allo stadio con la giacca, il panino e il fiasco di vino. E con la bandiera.

Sette minuti di Lazio, sette minuti di brividi, sette minuti di emozioni, sette minuti di uno Scudetto che ancora oggi fa venire i lucciconi. Iniziano con la femminuccia di casa che guarda l'obiettivo poi c'è il fratello.

Ha la bandiera in mano, la sventola, e come lui tanti altri tifosi si avviano verso la giornata più bella della loro vita, tra palloncini colorati e bandiere al vento. Da quel momento è tutto un susseguirsi di emozioni e flash di una partita vista dalla Sud, dove negli anni 70 c'era il cuore del tifo biancoceleste.

Il gruppo è posizionato in basso, subito sopra il parterre, lato verso la tribuna Tevere. E subito arriva un momento bellissimo: Luciano, il capo tifoso storico che avevo immortolato nel mio film "Ultimo mambo all'Olimpico", sfila nei posti in piedi, il parterre, con uno starno vestito, una specie di saio da monaco a righe biancocelesti.

Una maschera incredibile come lui, che mentre cammina agita due bandiere, una per mano. Poi migliaia di bandiere al vento svegliano lo stadio, i tifosi sono già a mille, ecco papà Sabatello, capello lungo alla Pooh come andavano in quel periodo che agita un campanaccio, i figlioli contenti come la gente intorno a lui col cappello della Rosso Antico che veniva regalato quel giorno.

Entra Lenzini, il presidente, siamo al 2° minuto e una manciata di secondi del video, è l'apoteosi, lo stadio esplode, lui saluta soddisfatto il pubblico, felice di essere arrivato a questo match così importante che può regalare in anticipo di una giornata il Tricolore a Roma. Lo si vede vicinissimo il Sor Umberto.

E si capisce dall'entusiasmo generale, come fosse amato e perchè ancora oggi viene rimpianto da chi c'era allora. Poi è il momento delle squadre e le bandiere tornano ad impazzire al vento, ecco Felice Pulici che si avvia alla sua porta compiendo il solito rituale: un tocco con le mani all'incorocio sinistro, poi a quello destro.

Inizia la partita, foggiani e laziali "combattono",  le azioni si susseguono, ma sta per arrivare il momento clou. E' il minuto 3 del filmato, c'è il rigore. Chinaglia è pronto, lo si vede bene, inizia la rincorsa, parte la bomba, tutti schizzano in piedi, anche davanti la cinepresa, è letteralmente il caos.

L'Olimpico è tutta una bandiera, l'entusiasmo è a mille. E' fatta. E così al minuto 4° si vede l'invasione di campo. Uno, due, dieci, mille tifosi entrano sul prato dell'Olimpico, sugli spalti la ripesa coglie due fratelli, sono in estasi e frastornati, le guance rosse per l'eccitazione, uno beve direttamente dal fiasco di vino l'altro piange e si asciuga le lacrime, sul tabellone a caratteri cubitali compare la scritta LAZIO.

Mezzo stadio è entrato in campo ed è iniziata la folle, liberatoria corsa sulla pista che circonda il rettangolo di gioco, una marea di tifosi corre con le bandiere, giri su giri, un carosello impazzito di felicità che non si era mai visto nè si vedrà mai più.

Una mongolfiera si alza verso il cielo, tutti si abbracciano c'è chi piange per la gioia. Scene incredibili che ti scuotono, poesia pura, meglio di un film neorealista di Vittorio De Sica o di una pellicola visonaria di Fellini. E la felicità continuerà fuori l'Olimpico con una Fiat Giardinetta addobbata per la festa.

La festa per il sogno raggiunto, la festa di una famiglia laziale, come avrebbe potuto essere la nostra. Come l'hanno vissuta i nostri genitori, i nostri fratelli, noi. Grazie Lazio, grazie a chi c'era e soprattutto grazie alla famiglia Sabatello che ha effettuato con tanta passione le riprese amatoriali, grazie a questa famiglia che è la famiglia di tutti noi laziali.

 


Addio Livio Macchia dei Camaleonti

  di FRANCESCO TRONCARELLI Applausi di gente intorno a me Applausi, tu sola non ci sei Ma dove sei? Chissà dove sei tu Perché cantare? (Cant...